A scuola di partecipazione: Reggio Emilia città delle persone

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Sono poche le città che sono riuscite ad avviare una solida politica della partecipazione in ambito smart city. Un esempio interessante arriva dall’amministrazione comunale di Reggio Emilia con il progetto Open Urbe. Definita la città delle persone, Reggio Emilia nel tempo ha investito molto nell’ambito dei processi partecipativi e oggi può applicare la conoscenza e l’esperienza acquisita per capire cosa la comunità chiede alla tecnologia. Una domanda a cui tutte le città dovranno riuscire a dare una risposta.

17 Febbraio 2014

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Luca Mora e Roberto Bolici

Sono poche le città che sono riuscite ad avviare una solida politica della partecipazione in ambito smart city. Un esempio interessante arriva dall’amministrazione comunale di Reggio Emilia con il progetto Open Urbe. Definita la città delle persone, Reggio Emilia nel tempo ha investito molto nell’ambito dei processi partecipativi e oggi può applicare la conoscenza e l’esperienza acquisita per capire cosa la comunità chiede alla tecnologia. Una domanda a cui tutte le città dovranno riuscire a dare una risposta.

In un’iniziativa smart city di successo ogni soluzione tecnologica proposta deve essere orientata alla risoluzione di uno specifico bisogno. Per raccogliere questi bisogni a Reggio Emilia l’amministrazione comunale ha deciso di affidarsi ai suoi cittadini. Grazie alla definizione di un percorso dove la pubblica amministrazione si è impegnata non ad imporre scelte, ma ad ascoltare e registrare le esigenze espresse dai propri cittadini al fine di produrre l’Agenda Digitale Locale, uno dei principali strumenti di supporto alla pianificare e all’implementazione di un’iniziativa smart city.

Il fattore umano nell’iniziativa smart city

Un’iniziativa smart city può essere paragonata a un’equazione dove il risultato da perseguire è rappresentato dalla risoluzione dei problemi di una comunità attraverso il corretto utilizzo di soluzioni tecnologiche del mondo dell’informazione e della comunicazione. Il raggiungimento di questo risultato dipende da come vengono messi in relazioni una serie di fattori che appartengono a due ambiti.

Infrastrutture, piattaforme, dispositivi, sistemi e apparati tecnologici resi disponibili da un costante e continuo avanzamento tecnologico e dall’innovazione, caratterizzano l’ambito tecnologico. Un ambito ampiamente discusso che ha fornito al concetto di smart city una fortissima spinta iniziale, ma al tempo stesso ha generato un pericoloso eccesso di fiducia nella tecnologia, con la convinzione che la sua presenza diffusa permettesse automaticamente di trasformare e migliorare le città. Possiamo interpretarlo come un effetto iceberg, dove la tendenza è quella di vedere soltanto la punta che affiora dall’acqua, senza percepire che la massa di ghiaccio è molto più grande e articolata.

 

La tecnologia è solo una componente, uno strumento che diventa efficace soltanto se chi la utilizza ne coglie le opportunità. Infatti, alcune esperienze di smart city hanno subito ridimensionato questa estrema fiducia mostrando che l’effettiva attivazione dei benefici portati da apparati tecnologici richiede la maturazione di un complesso apparato di fattori sociali che caratterizzano l’ambito umano.

Parliamo di aspetti che hanno un peso davvero rilevante e che possono condizionare lo sviluppo di una iniziativa in termini di successo e fallimento; fattori la cui attivazione richiede un grande sforzo e una stretta collaborazione da parte della comunità locale a cui è demandato il compito di: stabilire una motivazione chiara per cui l’iniziativa smart city è necessaria; costruire una organizzazione basata sul sostegno, la collaborazione e il coinvolgimento continuo di attori pubblici e privati, e cittadini; individuare una leadership solida in grado di motivare, ispirare e sostenere la crescita e l’avanzamento dell’iniziativa; definire gruppi di lavoro con specifiche competenze incaricati della corretta pianificazione e programmazione delle attività; sviluppare una visione condivisa di lungo periodo in cui inserire azioni di medio-breve termine; selezionare le azioni sulla base di analisi continue, perché non tutto è utile o indispensabile; stabilire priorità di intervento; e molto altro ancora.

Sviluppare un’iniziativa smart city richiede la costruzione di una strategia in grado di legare i fattori appena elencati, ma come molti altri percorsi di rigenerazione o sviluppo urbano, la complessità di questo progetto non può essere portata avanti da un singolo soggetto. Occorre maturare una propensione alla collaborazione, e agire come una comunità unita e coesa verso il raggiungimento di un unico obiettivo. Purtroppo però, il compito non è semplice e in molti casi il processo di coinvolgimento proposto dalle pubbliche amministrazioni non ha avuto la capacità di sostenere il ruolo attivo di tutti gli attori pubblici e privati locali, così come dei singoli cittadini, ognuno dei quali rappresenta un soggetto da coinvolgere, e non solo da informare. Un problema che l’amministrazione comunale di Reggio Emilia ha deciso di risolvere con il progetto Open Urbe.

Processi partecipativi strutturati nell’iniziativa smart city: il caso di Open Urbe

Il percorso partecipativo è stato lanciato con l’apertura di un sito web dedicato e con un evento pubblico di presentazione che si è tenuto lo scorso 28 Gennaio. Queste due azioni hanno dato avvio alla prima tappa del progetto, ancora in corso di svolgimento, dove chiunque potrà partecipare alla mappatura dei bisogni della città facendo pervenire le proprie idee, opinioni e proposte. I bisogni possono essere proposti rispetto a sei assi strategici: mobilità, sviluppo economico, territorio e tutela dell’ambiente, cura delle persone e la socialità, attrattività e le opportunità culturali, e relazioni con l’amministrazione pubblica.

Un dibattito continuo che inizia nell’immaterialità della rete e proseguirà nella metà di Febbraio con un’assemblea aperta a tutti e organizzata con la metodologia dell’Open Space Technology; un approccio ampiamente utilizzato nell’ambito aziendale e che permette di gestire i processi partecipativi, mettendo attorno allo stesso tavolo persone con diversi interessi ma focalizzate su uno stesso problema e portandole a ragionare e a proporre insieme azioni risolutive. Un momento importante durante il quale ogni asse strategico verrà assegnato ad un tavolo di lavoro che dovrà analizzare e approfondire i bisogni segnalati, così come individuarne di nuovi. Al termine dei lavori, verranno votati i bisogni considerati prioritari. La votazione ovviamente sarà aperta anche ai non presenti, che potranno esprimere la loro opinione online sul sito web di progetto. Dopo essere stati gerarchizzati, nell’ultima fase i bisogni verranno presi in carico dalla Giunta Comunale che produrrà il documento dell’Agenda Digitale Locale e chiuderà i lavori entro la fine di Marzo. A tutto questo si aggiunge la modalità gamification, tanto discussa negli ultimi tempi. Fra tutti coloro che avranno partecipato alla raccolta dei bisogni online e che parteciperanno all’assemblea e voteranno successivamente sul web le idee emerse, saranno estratti tre vincitori ai quali verrà dato in premio un tablet.

Nelle previsioni dell’amministrazione la possibilità di definire soluzioni concrete a partire dal quadro dei bisogni rilevati verrà garantita dall’organizzazione di un’Idea Challenge da realizzarsi all’interno del Fab Lab Reggio Emilia. La formula dell’Idea Challenge rappresenta un’opportunità per aziende e istituzioni di sostenere e promuovere la ricerca e il successivo sviluppo di soluzioni concrete in risposta ai bisogni rilevati. Soluzioni che possono arrivare addirittura alla prototipazione e alla produzione industriale. Tutto questo nel tentativo di stimolare un processo di innovazione sociale dove potranno essere coinvolti i numerosi creativi, professionisti, makers e civic hackers che fanno parte del network del Fab Lab. Attraverso la contaminazione e la visione “laterale” generata da gruppi di lavoro eterogenei e interdisciplinari sarà possibile provocare gli stimoli necessari ad innescare processi di innovazione. I gruppi di lavoro coinvolti saranno scelti sulla base delle qualità e delle competenze già rivelate spontaneamente nelle attività realizzate dal Fab Lab. Si tratta di un approccio veramente interessante che unisce domanda e offerta appoggiandosi all’intelligenza collettiva presente sul proprio territorio. Ma soprattutto un’azione basata sulla fiducia nei confronti del proprio capitale umano e sociale quale leva per gestire la complessità insita nel concetto di smart city.

Questa è la struttura del progetto vista dall’esterno. Semplice da descrivere, ma complessa da costruire, perché se osservato dall’interno, il processo è caratterizzato da un percorso abbastanza articolato fatto di sostegno dall’alto, comunicazione efficace e coordinamento inter-dipartimentale, capacità di analisi e utilizzo di conoscenze proprie basate su esperienze pregresse. Tutti fattori dell’ambito umano, senza i quali niente sarebbe stato avviato.

Dietro le quinte: la costruzione di Open Urbe

Grazie ad un incontro con due dirigenti del Comune di Reggio Emilia direttamente coinvolti nello sviluppo del progetto è stato possibile capire come ha preso vita Open Urbe. Dalle parole di Nicoletta Levi (Direzione Generale – Responsabile Servizio Comunicazione, Relazioni Esterne e Marketing) e Roberto Montagnani (Area Pianificazione Strategica – Vice-Segretario del Servizio Decentramento Partecipazione e Processi Deliberativi) sono emersi alcuni fattori determinanti che hanno permesso di avviare il processo partecipativo del Comune in ambito smart city. Tanti fattori coordinati in una solida capacità di pensiero strategico:

  • Sostegno dall’alto: il percorso partecipativo Open Urbe si inserisce nel progetto MADLER (Modello partecipato per Agende Digitali Locali in Emilia-Romagna) della Regione Emilia-Romagna, da cui proviene il forte stimolo alla scrittura partecipata dell’Agenda. Quindi uno stimolo sostenuto dall’alto e poi trasferito all’intero territorio regionale, dove alcune amministrazioni fra cui Reggio Emilia, ma anche Modena e Bologna, hanno accettato con entusiasmo questa sfida non semplice da gestire.
  • Competenza ed esperienza: i processi partecipativi solitamente vengono condotti con il supporto di un facilitatore che le amministrazioni locali acquisiscono in consulenza dall’esterno. Una collaborazione che nel caso di Reggio Emilia non è quasi mai necessaria, grazie alle competenze maturate dal suo personale interno. Competenze acquisite con soprattutto con l’esperienza diretta sul campo. Un esempio significativo è quello della metodologia Open Space Technology, già utilizzata dall’amministrazione in due occasioni: la ridefinizione delle destinazioni d’uso della Reggia di Rivalta e soprattutto, la predisposizione del Piano Urbano della Mobilità. Quest’ultimo, molto simile per caratteristiche al progetto Open Urbe, dato che entrambi sono caratterizzati da un’articolazione complessa in più assettematici. Inoltre, l’approccio integrato fra partecipazione online in combinazione con incontri faccia a faccia era già stato testato nell’ambito della progettazione territoriale delle aree verdi. Situazione in cui è emersa la necessità di agire su entrambi i fronti per garantire la partecipazione di cittadini di tutte le fasce di età. Infatti, come segnalato da Roberto Montagnani, esperto in materia di processi partecipativi, la procedura online permette di acquisire il sostegno delle fasce più giovani di popolazione, perché agli incontri la loro tendenza è quella di non partecipare.
  • Collaborazione interdipartimentale: il progetto nasce nell’Area Pianificazione Strategica per poi estendersi agli altri settori dell’amministrazione, suddivisa in cinque aree. Infatti, dopo un primo ragionamento sugli indirizzi dell’Agenda Digitale Europea, la scelta degli asset da implementare è stata discussa con il Direttore dell’Area Pianificazione Strategica. Successivamente, per ciascun asset sono stati individuati uno o due dirigenti collegati alle politiche di sviluppo di quello specifico ambito. Ad ognuno è stato chiesto di fornire informazioni su cosa l’amministrazione aveva già programmato di fare su quel tipo di asset nell’ambito dell’Agenda Digitale Locale e in aggiunta, di mettere in contatto i referenti del progetto Open Urbe con i vari stakeholders del territorio potenzialmente interessati a quell’ambito. Una situazione che mette in luce una propensione alla collaborazione non solo con gli attori esterni, ma che si manifesta anche all’interno dell’amministrazione stessa.
  • Comunicazione efficace: a tutto questo si aggiunge l’efficace approccio comunicativo con l’esterno, dato che le informazioni sul progetto sono state divulgate attraverso due modalità complementari: sia online che offline, in coerenza con le fasi del progetto. Infatti, nella prima fase, dedicata alla segnalazione dei bisogni sul sito di progetto, i messaggi sono stati concentrati sui canali digitali e ovviamente i social network, mentre per sostenere la fase dell’OST, sono stati preferiti canali di comunicazione tradizionali: campagna affissioni, radio, TV e carta stampata. In questo modo è stato mantenuto un rapporto di coerenza tra il pubblico destinatario del messaggio in ogni specifica fase e il canale scelto per veicolare il messaggio stesso. Un metodo efficace che rappresenta anche una delle poche soluzioni al problema del digital divide, che limita la possibilità di veicolare le comunicazioni soltanto online. Inoltre, occorre segnalare che i vari stakeholders del territorio potenzialmente interessati ai vari ambiti dell’iniziativa, individuati con l’aiuto dei vari dirigenti, hanno avuto un ruolo fondamentale nella comunicazione in qualità di agenti attivi nella promozione e diffusione delle informazioni presso il loro pubblico di riferimento.

 

Luca Mora. Dottorando in Progetto e Tecnologie per la Valorizzazione dei Beni Culturali presso il Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano e dottorando di alta qualificazione in Gestione dell’Innovazione e Sviluppo del Prodotto della Scuola Interpolitecnica di Dottorato fondata dai tre Politecnici italiani (Torino, Milano e Bari). Ha conseguito la laurea triennale in Scienze dell’Architettura e la laurea magistrale in Architettura, entrambe al Politecnico di Milano. Dedica la propria attività di ricerca allo studio dei sistemi di integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’interno dei sistemi urbani, con particolare riferimento ai processi di gestione e sviluppo delle strategie smart city. Collabora con il Laboratorio di Ricerca Mantova – Unità di ricerca T.E.MA. (Technology, Environment and Management) del Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Mantova e con l’Urban and Regional Innovation Reserach Unit (URENIO) dell’Artistotle University of Thessaloniki.

Roberto Bolici. Architetto, Ricercatore in Tecnologia dell’Architettura, Direttore dell’Unità di Ricerca T.E.MA. (Technology, Environment and Management) del Laboratorio di Ricerca Mantova del Politecnico di Milano – Polo Territoriale di Mantova e Docente di Tecnologia dell’Architettura presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano nei corsi di Laurea e Laurea Magistrale di Milano, Mantova e Piacenza. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento A.B.C. (Architecture, Built environment, Construction Engineering) del Politecnico di Milano in qualità di membro dell’Unità di Ricerca Tecnologie Innovative per il governo del territorio e dei sistemi edilizi, dove si interessa ai temi dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, della competitività territoriale, delle tecnologie edilizie e delle tecnologie per la valorizzazione del patrimonio culturale, e della progettazione tecnologica per lo sviluppo e la valorizzazione del capitale territoriale. Membro del Collegio dei Docenti del Dottorato in Progetto e Tecnologie per la Valorizzazione dei Beni Culturali.

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