Dalla new Urban Crisis alla Smart Sustainable City

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Per quindici anni l’inventore della “creative class”, Richard Florida, aveva teorizzato la trasformazione delle città in centri di produzione di ricchezza dovute alle “tre T” – tecnologia, talento e tolleranza -, grazie alle quali la classe creativa sarebbe stata in grado di produrre crescita illimitata, pace e benessere per tutti. Nel 2017, in The new Urban Crisis, Florida cede parte del suo ottimismo urbano e fiducia nel futuro, smascherando il vero aspetto che caratterizza le dinamiche che animano le metropoli della conoscenza

10 Gennaio 2018

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Paola Musollino

Per quindici anni l’inventore della “creative class” [1], Richard Florida, aveva teorizzato la trasformazione delle città in centri di produzione di ricchezza dovute alle “tre T” – tecnologia, talento e tolleranza -, grazie alle quali la classe creativa sarebbe stata in grado di produrre crescita illimitata, pace e benessere per tutti.

Nel 2017, in The new Urban Crisis, Florida cede parte del suo ottimismo urbano e fiducia nel futuro, smascherando il vero aspetto che caratterizza le dinamiche che animano le metropoli della conoscenza. Ben lontana dalla prosperità inclusiva, la distribuzione della nuova ricchezza genera disuguaglianza e segregazione dove “chi vince prende tutto”, generando la cosiddetta “plutocratizzazione”: poche città superstar, nelle quali vive e lavora solo il 7% della popolazione che genera il 40% dell’economia mondiale. Da tolleranti a NIMBY – Not in my beck yard -, il successo della classe creativa si nutre della linfa delle altre città, delle risorse sottratte alle periferie e ai suburbia, mentre le altre classi sono spinte ai margini della città. È la gentrification che spinge la classe media ad abbandonare il positive thinking e a elaborare risposte articolate al conflitto.

Studiando negli ultimi cinque anni la disuguaglianza urbana, l’estensione della segregazione economica e le dimensioni della gentrificazione, Florida si è reso conto che le cause dellla “nuova crisi urbana” sono da ricercare in almeno cinque dimensioni:
  • Il gap tra le città superstar e le altre;
  • La plutocratizzazione delle città superstar, sempre più care ed accessibili a pochi;
  • La scomparsa della classe media in favore di una città-patchwork o mosaico urbano, che genera crescente disuguaglianza e segregazione;
  • La nascente crisi delle periferie;
  • La crisi dell’urbanizzazione nei Paesi in via di sviluppo.

Esiste dunque un fattore che plasma e contraddistingue la nuova crisi delle città, la contraddizione fondamentale dovuta alla concentrazione urbana. È la crisi delle periferie, dell’urbanizzazione stessa e del capitalismo della conoscenza urbana. Il paradosso dell’urbanizzazione è che “ogni primo mondo ha al suo interno un suo terzo mondo”. [2]

Per affrontare la crisi con le giuste strategie bisogna, dunque, “ricalcolare il percorso”, creando un modello di urbanizzazione che porti ad una prosperità inclusiva. La soluzione che Florida propone è una re-urbanizzazione, un nuovo modello di urbanizzazione, un “urbanism for all”, basato su 7 pilastri chiave per arginare e superare la crisi, puntando su una maggiore connessione tra città e politiche urbane: fare un lavoro aggregante per noi e non per gli altri; investire nell’infrastruttura necessaria per stimolare la densità e limitare l’espansione incontrollata; costruire alloggi più accessibili in zone centrali; espandere la classe media trasformando i lavori di servizio a basso costo in lavori più retributivi; contrastare la povertà investendo in persone e luoghi; impegnarsi in uno sforzo globale per costruire città più forti; dare potere alle comunità.

Dalle tre T ai tre pilastri dell’Agenda Urbana: migliorare il finanziamento, le conoscenze, la regolazione. I tre pilastri trovano applicazione su dodici assi tematici identificati nel documento: inclusione di migranti e rifugiati, qualità dell’aria, povertà urbana, politiche abitative, economia circolare, lavoro e competenze per l’economia locale, adattamento climatico, transizione energetica, uso sostenibile del suolo, mobilità urbana, transizione digitale, acquisti pubblici innovativi e responsabili.

Sembra strano che Florida sollevi un problema e proponga delle soluzioni quando a livello mondiale questo fenomeno è stato altamente metabolizzato. Il 25 settembre 2015 è stata sottoscritta l’Agenda 2030 [3] dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU e, in particolare, le azioni per contrastare la crisi delle città sono state definite nell’Obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.

Le sfide che le città affrontano possono essere vinte in modo da permettere loro di continuare a prosperare e crescere, migliorando l’utilizzo delle risorse e riducendo l’inquinamento e la povertà. Il futuro che i diversi Paesi prospettano include città che offrano opportunità per tutti (dall’accesso ai servizi di base all’energia, dall’alloggio ai trasporti etc.).

A maggio del 2016, a seguito di un articolato percorso di formulazione era stato, inoltre, sottoscritto da tutti i rappresentanti dei paesi dell’Unione il cosiddetto “Patto di Amsterdam”, promosso dalla presidenza olandese di turno dell’Unione Europea. Il documento, intitolato “Urban Agenda for the EU” giunge a seguito di un percorso pluriennale [4] promosso dagli Stati membri anche su pressione dei network urbani europei.

Il contesto nel quale è stato sottoscritto il Patto di Amsterdam è lo stesso in cui l’ONU ha adottato una propria Agenda urbana a seguito della conferenza Habitat III tenutasi a Quito nel mese di ottobre 2016. L’Agenda di Quito si pone in continuità con l’Agenda 2030 approvata dall’ONU l’anno precedente, nella quale si propongono 17 obiettivi di sviluppo sostenibile.

Parallelamente rispetto al dibattito sull’Agenda urbana europea, anche in Italia il tema delle politiche urbane è tornato ad assumere una centralità nell’agenda pubblica e da più parti è stata evidenziata l’esigenza di un’Agenda urbana nazionale.

Se da una parte permane una realtà frammentata in cui programmi e risorse stentano a trovare un quadro coerente cui essere ricondotti, dall’altro sono aperti processi e scenari che possono contribuire a formulare una politica per le città. Le città sono fondamentali per tutti e 17 gli obiettivi dell’Agenda 2030 e nessuna Agenda urbana nazionale può ormai nascere separata da questo quadro di riferimento. Risulta, dunque, impossibile pensare, progettare e governare delle smart city senza tenere conto degli obiettivi di sostenibilità.

La Smart Sustainable City di FPA
La Smart Sustainable City è la città che fa ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per portare avanti processi di innovazione sociale, culturale ed organizzativa per migliorare la qualità della vita, i livelli di occupazione, la competitività come risposta ai bisogni delle generazioni attuali e future e garantendone la sostenibilità economica, l’inclusione sociale e ambientale. La scelta delle 15 dimensioni [5] compiuta da FPA per il Rapporto ICity Rate 2017, attraverso l’analisi degli indicatori legati agli SDGs dell’Agenda 2030 e della loro traduzione riportata nella Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile [6], ci ha permesso di sviluppare e costruire uno strumento di rilevazione sul posizionamento delle città italiane rispetto ai diversi ambiti di policy e agli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, ai traguardi che si sono poste al 2030 e i progetti strategici per raggiungerli.

L’iniziativa Smart Benchmarking promossa da FPA nel 2017 cui hanno partecipato le città di Bergamo, Firenze, Parma, Reggio Emilia e Cosenza, è un percorso di analisi, approfondimento e confronto che mira idealmente a definire a livello locale gli elementi cardine dell’agenda urbana della città con una traiettoria di lungo periodo. Lo strumento, e la metodologia a cui è legato, ci ha consentito di realizzare un banco di prova importante per le città italiane che scelgono di confrontarsi con altre città italiane ed europee attraverso una progettazione integrata di qualità e un forte coinvolgimento dei cittadini e degli stakeholder nella definizione delle politiche urbane.

Se, come sostiene Florida, “un urbanismo nuovo e migliore è possibile ma non si crea da solo”, noi abbiamo provato a ricalcolare il percorso, impegnandoci in uno sforzo comune condiviso con le amministrazioni locali e i loro stakeholder per costruire città più forti. È un punto di partenza e non certo di arrivo né, tantomeno, un esercizio di autoreferenzialità delle città che idealmente va nella direzione di far convergere le diverse strategie di sviluppo in una cornice più ampia che guarda al 2030 e alle sfide globali.


[1] The Rise of the Creative Class: And How It’s Transforming Work, Leisure, Community, and Everyday Life, Richard Florida, 2002
[2] G. Shabbir Cheema, Urban Management. Policies and innovations in developing countries, 1993
[3] L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
[4] Programma di Lille nel 2000, la Carta di Lipsia nel 2007, la Dichiarazione di Riga nel 2015
[5] Trasformazione digitale, Povertà, Ricerca e innovazione, Suolo e territorio, Cultura e turismo, Governance, Istruzione, Mobilità sostenibile, Energia, Occupazione, Acqua e aria, Rifiuti, Legalità, Crescita economica, Verde urbano.
[6] ASviS, insieme a Urban@it e ANCI, ha elaborato il documento “L’Agenda per lo sviluppo urbano sostenibile. Obiettivi e proposte” che, da una parte, declina per le città italiane i target del Goal 11 dell’Agenda 2030 specificamente dedicato alle città (“Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”), dall’altra individua in modo trasversale per tutti i 17 goal degli obiettivi tipicamente urbani e li collega alle attività delle amministrazioni locali e del governo nazionale.

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