Appalti Pubblici digitali: l’Europa chiama, l’Italia tarda a rispondere

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12 Novembre 2015

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Paola Conio

Gli affidamenti pubblici – e di questo si è ben resa conto anche l’Unione Europea – sono una straordinaria leva di politica economica e industriale che, se ben manovrata, può concorrere in modo determinate alla ripresa del vecchio continente.

Attraverso gli appalti pubblici, difatti, non ci si limita ad iniettare nuove risorse nel tessuto economico ed imprenditoriale di un Paese, ma si può indirizzare in modo virtuoso le dinamiche di crescita e di sviluppo, influendo in modo determinante sulla competitività delle imprese e sulla capacità di innovazione, che costituiscono fattori chiave per garantire uno stabile progresso economico.

Se, quindi, questo strumento dalle straordinarie potenzialità viene reso inefficiente o viene piegato a logiche diverse da quelle che dovrebbero sottendere al suo utilizzo, gli effetti negativi non si limiteranno ad un’errata allocazione delle relative risorse pubbliche, ma saranno amplificati e andranno ad impattare sulle potenzialità di crescita dell’intera economia.

Mai come in questo momento storico, quindi, vi è l’esigenza imprescindibile di gestire gli affidamenti pubblici in modo virtuoso, così da renderli un reale volano per l’economia.

L’Europa spinge verso il procurement innovativo e quello che da tempo gli operatori “sani” – sia dal lato delle stazioni appaltanti che dal lato delle imprese – chiedono è semplificazione, trasparenza e tracciabilità dei processi di affidamento.

Tutti sembrano – giustamente – concordi nel ritenere che in questa importante partita un ruolo fondamentale lo giochino i processi di digitalizzazione.

Fin dalla Comunicazione COM(2012) 179 “Una strategia per gli appalti elettronici” e dalla successiva COM(2013) 453 “Appalti elettronici end-to-end per modernizzare la pubblica amministrazione”, la Commissione Europea ha indagato il tema della digitalizzazione e suggerito azioni volte a favorire l’evoluzione in tal senso del sistema del procurement.

E’ evidente che la digitalizzazione non deve essere intesa semplicemente come dematerializzazione dei documenti e trasferimento degli stessi dal supporto cartaceo tradizionale a quello digitale, ma va concepita soprattutto come reingegnerizzazione e ripensamento dei processi e cambio radicale dell’approccio agli stessi. E’ questa la vera sfida della digitalizzazione che, spesso, le norme in materia non sono riuscite a cogliere appieno.

Le riflessioni sulle potenzialità della digitalizzazione applicata alle procedure di affidamento dovrebbero, quindi, approfondirsi ulteriormente in occasione del recepimento delle nuove Direttive Europee in materia di contratti pubblici (Dir. 2014/23/UE sulle concessioni, Dir. 2014/24/UE sugli appalti “settori ordinari” e Dir. 2014/25/UE “utilities” ovvero settori speciali).

Le nuove direttive europee, che devono essere recepite entro il termine ultimo del 18 aprile 2016, attribuiscono una grande importanza all’innovazione e all’utilizzo dei mezzi elettronici per la gestione dei processi di affidamento, che entro il 2018 dovranno diventare per tutti i Paesi membri gli unici utilizzabili.

A distanza di oltre 18 mesi dalla loro entrata in vigore, il processo di recepimento è però ancora lontano dall’essere completato.

Prosegue in questi giorni alla Camera dei Deputati l’esame del disegno di legge delega approvato a giugno scorso dal Senato, cui seguirà l’adozione degli atti attuativi, che ancora non è chiaro se saranno due – un decreto legislativo di “recepimento” secco da adottarsi entro il 18 aprile 2016 e un decreto legislativo di “riordino” di tutta la materia degli affidamenti pubblici da adottarsi entro il 31 luglio 2016 – o uno soltanto.

Nel testo attualmente in discussione, è esplicitamente indicata l’esigenza della semplificazione, della trasparenza e della tracciabilità delle procedure di gara da ottenersi anche attraverso la progressiva digitalizzazione delle stesse e l’unificazione delle banche dati esistenti.

In particolare, si prevede, tra i criteri di delega:

“Lett. i (ex f)) semplificazione, armonizzazione e progressiva digitalizzazione delle procedure in materia di affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, attraverso la promozione di reti e sistemi informatici già sperimentati in altre procedure competitive, anche al fine di facilitare l’accesso delle micro, piccole e medie imprese mediante una maggiore diffusione di informazioni e un’adeguata tempistica, e di soluzioni innovative nelle materie disciplinate, con particolare riguardo allo sviluppo delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, nonché all’innovazione tecnologica e digitale e all’interconnessione della pubblica amministrazione.”

E ancora:

“Lett. q (ex l)) armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i conflitti d’interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione:

1) omissis

2) disciplinando le suddette procedure di gara e le relative fasi e durata, sia mediante l’unificazione delle banche dati esistenti nel settore presso l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), con esclusione della banca dati centralizzata di cui alla lettera z), sia con la definizione di idonee misure quali la previsione di poteri di vigilanza e controllo sull’applicazione delle norme in materia di appalti pubblici e di contratti di concessione, con particolare riguardo alla fase di esecuzione della prestazione, finalizzati ad evitare la corruzione e i conflitti d’interesse ed a favorire la trasparenza, e la promozione della digitalizzazione delle procedure stesse, in funzione della loro tracciabilità”

Pur essendo principi importanti per porre le basi di uno sviluppo virtuoso della normativa in materia, è evidente che si tratta di criteri di delega abbastanza generici, la cui concreta traduzione normativa ad opera dei decreti delegati sarà determinante per valutare si tratti di previsioni efficaci o meno.

D’altro canto non va sottovalutato neppure il fatto che non vengano stanziate risorse specifiche per supportare la transizione degli attuali sistemi e delle attuali reti informatiche delle pubbliche amministrazioni verso la completa digitalizzazione delle procedure di gara e l’unificazione delle banche dati esistenti.

Il rischio, dunque, potrebbe essere quello di accontentarsi ancora una volta di una enunciazione teorica del principio senza innescare un’effettiva evoluzione dei processi.

Bisognerà, quindi, seguire da vicino i prossimi passi dell’iter di recepimento delle direttive e di riordino complessivo della materia dei contatti pubblici per vedere se la sfida della digitalizzazione verrà realmente raccolta.

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