Il Consiglio di Stato si pronuncia sulla comunicazione istituzionale via tweet: attenzione ai cinguettii inopportuni

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Nell’ambito della collaborazione con il Digital&Law Department dello studio Legale Lisi presentiamo un articolo di Sarah Ungaro che tocca un tema ormai di gran moda: la comunicazione politica e i social media. Nello specifico l’articolo prende spunto dalla recente sentenza del Consiglio di stato che ha giudicato un "tweet" del Ministro Massimo Bray come "segnale" (spia) di abuso.

25 Febbraio 2015

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Sarah Ungaro*

Nell’ambito della collaborazione con il Digital&Law Department dello studio Legale Lisi presentiamo un articolo di Sarah Ungaro che tocca un tema ormai di gran moda: la comunicazione politica e i social media. Nello specifico l’articolo prende spunto dalla recente sentenza del Consiglio di stato che ha giudicato un "tweet" del Ministro Massimo Bray come "segnale" (spia) di abuso.

È ormai un dato di fatto che i social media siano sempre più utilizzati anche dalle pubbliche amministrazioni e da coloro che rivestono cariche istituzionali per comunicare in modo più diretto, immediato e trasparente con i cittadini.

Già dal 2011, l’allora DigitPA (ora Agenzia per l’Italia digitale) aveva redatto un Vademecum su pubblica amministrazione e social media in cui si affrontavano tali tematiche, chiarendo in particolare che l’uso dei social network da parte della pubblica amministrazione può indubbiamente rientrare tra le attività di informazione e comunicazione istituzionali previste dalla Legge n. 150/2000, la quale all’art. 1, comma 4, espressamente specifica che tali attività siano finalizzate a:

a) illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione;

b) illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento;

c) favorire l’accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza;

d) promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale;

e) favorire processi interni di semplificazione delle procedure e di modernizzazione degli apparati, nonché la conoscenza dell’avvio e del percorso dei procedimenti amministrativi;

f) promuovere l’immagine delle Amministrazioni, conferendo conoscenza e visibilità a eventi d’importanza locale, regionale, nazionale e internazionale.

Tuttavia, tali strumenti di comunicazione (si pensi a facebook, twitter, youtube, etc.) possono nascondere delle insidie se chi li utilizza non ne fa un uso appropriato e consapevole, anche in relazione al “contesto mediatico” in cui si comunica.

Riguardo all’uso di questi strumenti non si pone solo la questione del legittimo affidamento del cittadino nei confronti delle comunicazioni degli enti istituzionali tramite i social media (il cui utilizzo, peraltro, risulta in linea anche con l’attuazione dell’art. 3 del Codice dell’amministrazione digitale – D.Lgs. n. 82/2005 – che prevede un vero e proprio diritto all’uso delle tecnologie, da parte di cittadini e imprese, nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni), ma anche il profilo relativo a eventuali “abusi” nell’utilizzo di tali strumenti comunicativi.

In effetti, non si può trascurare che tali forme di comunicazione da parte di una pubblica amministrazione possono sì essere utili a favorire un più proficuo dialogo con i cittadini, ma in ogni caso – ovviamente – non possono essere ritenute idonee ad attribuire alle comunicazioni così effettuate l’effetto giuridico proprio che l’ordinamento riconosce alle forme tipiche di manifestazione di volontà della pubblica amministrazione.

In argomento, una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (n. 769 del 12 febbraio 2015) ha prefigurato i possibili rischi di abuso perpetrato mediante un uso improprio dei social media da parte di istituzioni, pubbliche amministrazioni e soggetti che rivestono cariche pubbliche.

Nella vicenda oggetto della pronuncia, nello specifico, veniva in rilievo il tweet del Ministro per i Beni e le Attività culturali con cui veniva preannunciata la richiesta al Comune di La Spezia di sospendere i lavori oggetto del contenzioso in attesa della verifica del progetto da parte del Ministero. In seguito a tale presa di posizione, il Comune di La Spezia impugnava innanzi al TAR Liguria – Genova anche le dichiarazioni del Ministro, sostenendo che le stesse integravano un’inammissibile usurpazione di funzioni amministrative di esclusiva competenza dirigenziale.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che “gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione […], anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica”.

Già nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5444/2003, richiamata nella pronuncia n. 769/2015, i Giudici di Palazzo Spada avevano evidenziato che le forme tipiche degli atti e dei provvedimenti amministrativi rappresentano uno “strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbìtri, sia nell’interesse della stessa p.a., agevolando detta forma l’espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione”. Anche la Cassazione Civile, nella sentenza n.1970/2002 (anche questa richiamata nel recente arresto del Consiglio di Stato) aveva precisato che la volontà di obbligarsi della p.a. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme, necessariamente rigide, richieste dalla legge.

 

In sintesi, dunque, attesa la necessità di adottare le forme previste dalle legge per gli atti e i provvedimenti amministrativi, nella sentenza del 12 febbraio il Consiglio di Stato ha evidenziato come nel caso specifico l’utilizzo di tweet fatto dal Ministro abbia costituito quantomeno una “spia” di disfunzione dell’esercizio del potere discrezionale attribuito allo stesso, senza specificamente pronunciarsi sul vizio di eccesso di potere lamentato nel ricorso dal Comune di La Spezia. 

* avv. Sarah Ungaro – Digital & Law Department (www.studiolegalelisi.it)

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