Il franchising del non-profit

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by Alli

Non è una novità: anche nel campo, per non dire mercato, del non-profit ci si accapiglia per accedere a fondi di finanziamento, conquistare aree geografiche e fasce di popolazione. Quando poi il non-profit incrocia l’informatica la lotta è all’ultimo bit.

 

24 Marzo 2008

M

Maria Di Paolo

Articolo FPA
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by Alli

Non è una novità: anche nel campo, per non dire mercato, del non-profit ci si accapiglia per accedere a fondi di finanziamento, conquistare aree geografiche e fasce di popolazione. Quando poi il non-profit incrocia l’informatica la lotta è all’ultimo bit.

 

È vera e propria concorrenza quella che si sta consumando tra la Intel, storica azienda produttrice di microprocessori, e Nicholas Negroponte, studioso del Massachusetts Institute of Technology famoso per i suoi studi sulle interfacce uomo-macchina.Ma facciamo un passo indietro, esattamente al 2005 anno in cui Negroponte presenta il progetto OLPC- One Laptop Per Child (un computer portatile per ogni bambino t.d.r.) per la diffusione di un computer portatile a basso, bassissimo, costo. Appena 100 dollari per un portatile dotato di processore low-cost, sistema operativo Linux, programmi applicativi open source e possibilità di essere alimentato sia con un trasformatore di rete che con batteria interna ricaricabile a manovella.

Il progetto portato avanti da Negroponte si presenta immediatamente di grandi ambizioni: portare i dispositivi informatici, e con essi la cultura della società della conoscenza che viaggia sulle autostrade informatiche, là dove a malapena giunge la corrente elettrica.
L’organizzazione no-profit OLPC nasce grazie ai finanziamenti di aziende del calibro di  Google, Motorola, eBay, News Corporation e altre grandi realtà, ognuna delle quali dona due milioni di dollari. Nel 2007 si aggiunge Intel che però agli inizi del 2008 abbandona la cordata motivando la scelta con presunti disaccordi con Nicholas Negroponte.
Inizia così la concorrenza tra l’OX, il portatile promosso dal progetto di Negroponte, ed il Classmate un prodotto molto simile per costi e prestazioni, ma targato Intel.

La soluzione brasiliana

Senza entrare troppo nel merito di questa diatriba, combattuta a  colpi di dichiarazioni incrociate e contese per accordi con paesi in via sviluppo e non, c’è qualcuno che ha pensato di organizzarsi per conto proprio, trovando una soluzione che si adatta – dalle dichiarazioni del referente del progetto – meglio delle altre due soluzioni alle esigenze locali.
Stiamo parlando della città brasiliana di Serrana, che attraverso l’iniziativa del suo sindaco Valerio Galante e l’appoggio di Victor Mammana, dirigente del Ministero della Scienza e della Tecnologia, sta avviando un progetto per dotare i 7.000 alunni delle scuole della città di un computer inserito direttamente nei banchi: il Serrana digital desk. Lo schermo è una tavolozza su cui si agisce con una penna. Secondo i produttori la grandezza dello schermo e la sua posizione garantiscono una migliore leggibilità e postura da parte dello studente. Il PC da tavolo avrà la connettività Wi-Fi, i processori Intel Celeron e Linux come sistema operativo. Ogni classe avrà il suo server che conserverà tutti i dati e ogni insegnante avrà accesso ad un sistema di content management attraverso cui caricare e pubblicare i programmi svolti e i piani didattici.
Quello che salta subito agli occhi è che pare che né Mammana né Galante vogliano fare affari su questo progetto. “L’idea non è di farci un business, ma piuttosto un franchising sociale. Quello che abbiamo fatto è trovare una soluzione locale per un problema locale”.
In effetti con il progetto si è attivato un meccanismo integrato che, partendo da una specifica esigenza, ha coinvolto tutte le risorse del territorio per la produzione e la distribuzione di questi computer. Sebbene i Serrana digital desks – come suggerisce il nome – non siano apparecchi portatili e il loro costo si aggiri sui 500 dollari, il valore aggiunto dell’iniziativa sta proprio nell’impatto su tutta la realtà economica locale poiché è lì che il computer viene costruito, con materiali prodotti da industrie locali che danno lavoro a operai, ingegneri, economisti, comunicatori, avvocati… Attivando e valorizzando l’indotto presente su territorio. 
D’altronde – ha dichiarato Mammana – non sono sicuro che avere un computer portatile sia importante per un ragazzino di  8 -12 anni. Non devono certo controllare le mail all’aeroporto né avere l’esigenza (o la schiavitù? N.d.r.) di essere sempre connessi”. 
Inoltre limitando l’uso del computer alla struttura scolastica si può controllare che i ragazzi non lo usino impropriamente ed evitare che il pc venga rivenduto sul mercato nero o utilizzato per scopi illeciti.

Un nuovo rivale per Negroponte la Intel?

Mammana non si sbilancia, anzi appare molto cauto e dichiara che quest’esperienza non sarebbe replicabile in città di maggiori dimensioni, come San Paolo, che conta 17 milioni di abitanti.
Devono sussistere le giuste condizioni  e non credo che questo prototipo possa adattarsi alle 10.000 città del Brasile. Se anche si riuscisse a riprodurre in 50 città questo social frachising sarebbe un grande risultato”. Tuttavia con la tecnologia, come del resto per molte altre cose, non si può mai dire.

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