Il volo del gabbiano (ovvero: il cloud computing)

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Annunciato la settimana scorsa ecco il primo cigno nero della squadra della direzione Sistemi Informativi Automatizzati della Corte dei Conti. Il primo dei 4 rac-corti ha come tema il cloud computing (e il volo gabbiani…) e prova a scardinare le vecchie consuetudini radicate nelle nostre amministrazioni, suggerendo di compiere un salto dalla scogliera per librarsi tra le “nuvole”.

10 Novembre 2015

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Luca Attias e Michele Melchionda

Come già anticipato, tratteremo di cloud computing, ma non solo. Parleremo, difatti, anche di gabbiani, che iniziano il loro volo dalla terraferma per seguire le bianche scie dei pescherecci in cerca di cibo. Insieme, abbandoneremo le vecchie consuetudini e spiccheremo il volo nel cloud computing; un volo, né scontato, né prevedibile, tra le nuvole bianche e quelle nere.

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Oggigiorno esistono molti soggetti che volano nel cloud computing: dalle aziende ai cittadini, dai professionisti alle industrie, dalle piccole e medie imprese alla Pubblica Amministrazione, nonché detentori di tecnologie ed attori interessati a vario titolo. Che si tratti di cloud pubblico, privato, ibrido, oppure di comunità, poco importa, ciò che maggiormente interessa è, sostanzialmente, il nostro approccio ad esso. Possiamo cioè vagare tra le nuvole alla mera ricerca di cibo, oppure possiamo volteggiare nei cieli alla ricerca della performance e della perfezione. Detto in altri termini, non dovremmo interessarci al cloud perché è trendy e far finta di essere dei veri innovatori (cloud nero), piuttosto dovremmo cercare di avvicinarci ad esso per uno scopo virtuoso, ovvero utilizzare pienamente e consapevolmente le potenzialità che questa tecnologia è in grado di offrire (cloud bianco).

Volendo prendere in prestito una locuzione di Carlo Alberto Carnevale Maffè, potremmo dire che: “il cloud è istituzione economica, non solo un’infrastruttura tecnologica. Esso è un luogo ove sono ridefiniti persino i rapporti (centenari) fra lavoro e capitale. Il cloud non è (più) Utopia, ma ‘luogo comune’ della modernità, motivo ricorrente dell’opera organizzativa contemporanea”. E ancora, sempre in merito al cloud, aggiunge che: “rappresenta un crocevia naturale di interessi e convergenze di attori diversi”.

Noi tutti dovremmo accostarci all’argomento nella maniera più adeguata e propositiva, riflettendo sul fatto che le nuove scoperte, e le conseguenti nuove conoscenze, possano essere d’ausilio a tutta la comunità alla quale apparteniamo, anziché un motivo per creare delle ulteriori diversità da emarginare. Queste scoperte e conoscenze renderebbero il cloud un luogo di memoria, non solo di transito; il miglior presupposto per impiantare processi economici che “imparino” e che, coerentemente, portino con sé gli aspetti positivi dei processi conoscitivi.

Una definizione esaustiva e sintetica delle principali caratteristiche del cloud computing viene fornita dal NIST (National Institute of Standards and Technology – U.S. Department of Commerce): “Cloud computing is a model for enabling ubiquitous, convenient, on-demand network access to a shared pool of configurable computing resources (e.g., networks, servers, storage, applications, and services) that can be rapidly provisioned and released with minimal management effort or service provider interaction” (“The nist definition of cloud computing”, Peter Mell e Timothy Grance, Special Publication 800-145, settembre 2011).

Il cloud rappresenta, pertanto, un modello per consentire l’accesso ad un insieme di risorse condivise in rete. Tale accesso ha la prerogativa di essere sempre disponibile, indipendente dalla nostra posizione geografica e conveniente dal punto di vista economico. I servizi offerti in cloud hanno il vantaggio di essere prontamente erogati da parte di un provider con il minimo sforzo manageriale, nonché con minima interazione, da parte del fruitore di tale servizio, con il fornitore stesso.

Dunque, perché non usare le nostre ali per il volo di precisione e per ricercare la perfezione, anziché limitarci, invece, ad utilizzarle solo per il volo orizzontale e per elemosinare del cibo sulla scia dei pescherecci?

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Il cloud computing si basa su tecnologie innovative e nuove logiche architetturali; esse comportano il ritorno alla centralizzazione dei server, la riduzione del numero dei data center, l’aumento di capacità elaborativa, la riduzione dei consumi energetici, una crescente disponibilità della banda di connessione, l’opportunità di utilizzo della SOA (Service Oriented Architecture), una maggiorata virtualizzazione, adozione di architetture ad alta affidabilità, di sistemi di controllo, monitoraggio e misurazione di ciò che consumiamo e, pertanto, di quanto spendiamo.

Se avremo la passione ed il coraggio di perseguire l’adozione del cloud bianco, a dispetto di quello nero, inopinatamente scopriremo che esso non è solo proficuo a tutti gli attori coinvolti, per quanto peculiari i loro interessi possano essere, ma depaupera anche il vigore delle obiezioni che al cloud stesso vengono solitamente mosse circa la privacy dei dati trattati, circa la loro sicurezza e la conformità alle vigenti normative.

Se continueremo a volare senza una meta, contribuiremo a mantenere in vita consuetudini ormai desuete, le stesse che hanno condotto, nel corso degli anni, alla creazione in Italia di oltre 11.000 data center pubblici; ciascuno con le proprie acquisizioni, con il proprio ciclo manutentivo, necessità ed interessi. A fronte di ciò, possiamo nutrirci di teoria e di solenni discorsi, come spesso se ne fanno: “dobbiamo evitare di digitalizzare le attuali inefficienze”, “dobbiamo ridisegnare tutti i processi”, oppure possiamo procedere operando un sano e profondo cambiamento di assetto organico delle attuali strutture IT.

A noi la scelta, ma appare fin troppo evidente che, se impareremo a volare aspirando alla perfezione, arriveremo ovunque ed in tempi brevi. A tal fine, è necessario avere un obiettivo da perseguire, nonché un modello organico dei servizi, che sia unitario e condiviso; non possiamo più permetterci di investire in risorse IT come se fossimo trascinati da correnti aeree mutevoli ed effimere, col rischio di incappare in eventuali e spiacevoli “tempeste”.

Secondo Marc Russell Benioff, Presidente del C.d.A e CEO di salesforce.com: “Il Cloud Computing è un modello dirompente che cambia radicalmente il modo in cui si usa l’IT a supporto del business e la sua affermazione nei prossimi anni è più che scontata. Sicuramente tra i suoi più grossi vantaggi ci sono le molte opportunità per le piccole e medie organizzazioni, perché tutte possono beneficiare dell’IT a basso costo e non solo le grandi organizzazioni che possiedono i data center. La potenza del Cloud Computing è la democratizzazione della tecnologia, perché la rende disponibile per tutti”. Dunque, dobbiamo superare le limitazioni imposte dalle usuali risorse, soprattutto economiche, perché queste rendono la tecnologia, ed i servizi da essa offerti, un privilegio fruibile esclusivamente da una fortunata élite.

Ovviamente, l’utilizzo di soluzioni cloud computing comporta anche un notevole impatto, sia sull’organizzazione, che sui processi in atto, nonché sulle specifiche competenze professionali degli individui impattati dal cambiamento. In termini assoluti, tali effetti non possono non essere considerati sani e proficui; abbiamo, difatti, l’opportunità di imparare a lavorare in modo innovativo, imparare un nuovo modo di collaborare e di interagire. Anziché aver timore di tutto ciò, sfruttiamo l’opportunità in maniera consapevole, rendiamo i cittadini partecipi di questa nuova tecnologia e diffondiamo la conoscenza per il suo utilizzo.

Sempre riguardo agli effetti derivanti dalla piena e corretta adozione del cloud computing, e della sua cultura, bisogna sottolineare che tali impatti sono talvolta notevoli, sia per le organizzazioni che formulano la domanda, sia per quelle che formulano l’offerta. Nel primo caso, il riferimento alla Pubblica Amministrazione (centrale e locale) è d’obbligo; gli impatti sarebbero ingenti, in quanto ne stravolgerebbero i tradizionali canoni e ne evidenzierebbero gli attuali limiti. Anche nel secondo caso gli impatti sarebbero altrettanto ingenti, in modo specifico in Italia, dove esiste un mercato IT decisamente stagnante e che rifugge dalle innovazioni. Difatti, qui esiste un ampio e variegato panorama di piccole e medie imprese operanti nei ruoli più disparati (rivenditori, installatori, integratori di sistemi, consulenti, mediatori, distributori, ecc.). Queste aziende, come gabbiani sulla scia di un peschereccio, si trovano spesso nella condizione di poter fruire solo dei residui di cibo; il loro margine di guadagno è molto sottile e derivante da esigue percentuali sulle vendite di licenze o servizi a corredo (installazioni, parametrizzazioni, personalizzazioni, addestramento del personale, manutenzione hardware, assistenza applicativa e sistemistica, ecc.). Le aziende stesse potrebbero invece rivoluzionare il loro approccio e proporsi come broker di servizi, o come generatrici di servizi innovativi, proprio utilizzando al meglio le potenzialità del cloud bianco.

Il Cloud computing contribuisce a rivoluzionare vecchi schemi e credenze, ormai parte di un retaggio culturale obsoleto. Del resto, se aziende come Amazon, Microsoft, Oracle, HP, IBM (solo per citarne alcune tra le più importanti), erogano software sotto forma di servizio (SaaS) si riduce drasticamente la necessità di una fase di intermediazione, di installazione e di formazione del personale. Se gli utenti utilizzassero i servizi on line non avrebbero più la necessità di customizzazioni esasperate, né di particolarità derivanti da consuetudini ormai antiquate, di cui, solo per citare un valente esempio, le applicazioni dei tanti Enti della Pubblica Amministrazione sono traboccanti. Detto in termini diversi, l’utente è spinto ad utilizzare servizi preconfezionati, così come sono, facendo un piccolo sforzo di adattamento alle funzionalità offerte dal servizio che si intende utilizzare.

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“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.”

Questa frase, pronunciata dal Mahatma Gandhi, sembra descrivere l’ineluttabile destino dei veri innovatori. Anziché osteggiarli, dovremmo piuttosto imparare a coltivare noi stessi, la nostra passione e curiosità, evitando di agire solo perché “così vuole il capo”, o in base a consunte e sbrigative massime di vita: “non capisco, ma mi adeguo”, “si è fatto sempre così”, “mi basta arrivare alla pensione”. Dovremmo renderci persuasi del fatto che il miglior modo per prevedere il futuro è crearlo.

“Al di là delle infrastrutture (cloud pubblico, privato, ibrido) il cloud è per sua natura ibrido nel senso di commistione di pubblico e privato: è una città che esprime il proprio potenziale solo se gli abitanti accettano lo stato di ‘polis’, cioè la condivisione” (Carlo Alberto Carnevale Maffè, grazie!). Condividiamo le risorse, impariamo ad utilizzare servizi standard, purché ben progettati, abbandoniamo gli individualismi ed i localismi, ne otterremmo un tesoro insperato che, finora, soprattutto nel panorama IT della Pubblica Amministrazione, non è mai stato trovato: l’uniformità dei procedimenti amministrativi.

Potremmo addirittura scoprire che, utilizzando le stesse funzioni per eseguire azioni simili, anche i dati trattati si uniformerebbero conseguentemente, secondo un processo virtuoso che richiederebbe del tempo, certamente, ma con risultati garantiti. Dati puliti, esatti e disponibili a chi, legittimamente, ne fa richiesta: non più una chimera, ma una vera e propria rivoluzione.

In ultima analisi sottolineiamo che il cloud opera una magnifica azione democratica, riducendo le disarmonie tecnologiche ed organizzative, così come, negli ultimi anni, Internet ha ridotto quelle informative. In questo, il cloud rappresenta un bellissimo esemplare di cigno nero “informatico”, ovvero un enorme balzo in avanti, che può contribuire a spalancarci le porte del progresso sociale, culturale ed economico futuro.

Innovazione è progresso.

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Articolo già pubblicato in precedenza su agendadigitale.eu

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