Istituzioni e licenze aperte, connubio per lo sviluppo

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Un’intervista con Juan Carlos De Martin – Facolta’ di Ingegneria dell’Informazione del Politecnico di Torino, coordinatore del Gruppo di Lavoro Creative Commons Italia.

10 Gennaio 2007

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Tommaso Del Lungo

Articolo FPA

Un’intervista con Juan Carlos De Martin – Facolta’ di Ingegneria dell’Informazione del Politecnico di Torino, coordinatore del Gruppo di Lavoro Creative Commons Italia.

Quando è partita l’avventura delle Creative Commons in Italia e come è stata gestita?
Nel dicembre del 2002 Creative Commons America presentò il primo set di licenze modulari, ovviamente in lingua inglese, ma già all’inizio del 2003 cominciò a diffondere appelli in giro per il mondo e a radunare volontari con indiscusse competenze e professionalità in ambito giuridico, interessati a tradurre le licenze nelle singole lingue e, se opportuno, adattarle alle specifiche norme di ogni singolo paese.
In Italia l’appello venne raccolto quasi immediatamente da un gruppo di persone coordinate dal professor Marco Ricolfi del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino e raggruppate attorno al CNR, che siglarono un memorandum of understanding con Creative Commons per poter lavorare ufficialmente alle licenze italiane.
Il lavoro di traduzione ed adattamento è assai meno semplice di quello che può sembrare e ci ha tenuti impegnati per un intero anno, finché nel dicembre 2004 sono state presentate le licenze italiane. Ovviamente lo spirito con cui si muove il gruppo di lavoro italiano è esattamente quello di Creative Commons America, cioè totalmente collaborativo e volontario con il coinvolgimento di personaggi di altissimo livello sia informatico che, soprattutto, giuridico.
Attualmente il gruppo di lavoro scientifico è coordinato da me.

Quindi le istituzioni non sono mai entrate in questo percorso?
Dipende da cosa intendiamo per "entrare". Innanzitutto un’istituzione di riferimento c’è sempre stata. Come le dicevo all’inizio era il CNR mentre ora è diventata il Politecnico di Torino, la cui attività non si limita al mio contributo isolato, ma si concretizza in una serie di iniziative, come la creazione, insieme alla Regione Piemonte, del servizio SeLiLi – Servizio Licenze Libere che offre consulenze professionali finanziate dalla Regione Piemonte, per venire incontro alle esigenze di giovani autori, musicisti ed associazioni no profit che non possono permettersi una consulenza professionale sulle Licenze Creative Commons. Altra iniziativa che il Politecnico sta mettendo in piedi è quella di alimentare un centro di studi che si occupi di analizzare ed indagare a livello accademico i temi e i problemi relativi alla governance di internet, ai rapporti tra tecnologia digitale e vita quotidiana, ai diritti d’autore sul web e così via.

E per quanto riguarda l’attenzione delle istituzioni come possibili fruitori delle Licenze Creative Commons?
In questo senso le istituzioni si sono fatte avanti in modo significativo in diversi Paesi, tra cui anche l’Italia. Ovviamente se guardiamo ai numeri, i maggiori destinatari delle licenze Creative Commons restano gli individui singoli, i giovani autori, musicisti e designers, i bloggers, i docenti ed i video maker, ma un numero notevole di istituzioni comincia ad utilizzare le CC o, comunque, comincia a studiarne il processo di funzionamento per legarlo ai propri contenuti. Non possiamo dimenticare, infatti, che i tempi delle istituzioni pubbliche non sono paragonabili a quelli dei singoli privati.
Per quello che ci riguarda abbiamo potuto riscontrare aperture notevoli, alcune delle quali sono state segnalate durante l’incontro internazionale a Torino dello scorso 16 dicembre. Il Ministero dei Beni Culturali, ad esempio, ha presentato per la prima volta pubblicamente il progetto, elaborato nell’ambito di una partnership europea, per il rilascio sotto licenza CC di tutti i metadati di un gigantesco portale dedicato ai beni culturali. Anche la Polizia ha scelto di distribuire alcuni contenuti del proprio portale sotto Creative Commons. Infine altre collaborazioni o dimostrazioni di interesse sono venute dalle Regioni Sardegna e Piemonte, dal CSI Piemonte e dal Ministero per l’Istruzione, il cui Osservatorio Tecnologico ha adottato le licenze CC per il proprio sito da almeno un paio d’anni.

Però, se ho capito bene, non ci sono vere e proprie alleanze istituzionali.
Non è nella filosofia del progetto costruire alleanze vere e proprie, così come non è negli obiettivi del progetto fornire consulenza e questo sia per via della missione totalmente volontaria che non ci permetterebbe di seguire un’attività del genere a tempo pieno, sia perché sulla scia di quanto fa Creative Commons America, vorremmo tenere separate le due funzioni di indirizzo (linea guida) e consulenza, lasciando quest’ultima a terzi. Tutte le licenze sono a disposizione libera e gratuita di chiunque le voglia utilizzare. Sono scaricabili dal sito senza comunicare, pagare, né compilare assolutamente nulla. Anzi spesso non serve nemmeno scaricare tutta la documentazione, basta aggiungere ai propri contenuti una postilla che dichiara che l’opera è rilasciata con Licenza Creative Commons, inserendo, poi, il riferimento web della licenza scelta. Questo ovviamente limita enormemente la nostra rete relazionale e a volte scopriamo che enti ed istituzioni anche di grandi dimensioni utilizzano le licenze CC senza che ci siano stati dei contatti diretti con il nostro gruppo di lavoro.

In che modo questo tipo di licenze potrebbero rappresentare un’opportunità di sviluppo da un punto di vista economico ed industriale di un territorio?
In questo senso per i contenuti si può fare un discorso molto simile a quello che oggi molti esperti economisti ed imprenditori fanno per il software anche se con i debiti distinguo. Sono ormai anni che in tutto il mondo sono emersi e sono riusciti ad affermarsi modelli di business basati sulla condivisione e sulla congiunzione tra le varie licenze GPL o Creative Commons ed un’intuizione commerciale. Nel caso dei contenuti, forse, siamo ad un livello ancora embrionale, ma senza dubbio ci sono un paio considerazioni che non possiamo tralasciare. La prima è che per acquistare qualcosa bisogna conoscerlo, e quindi la rete si presenta come una gigantesca vetrina, dove non si può far pagare per vedere le merci esposte. La seconda è che allo stato attuale, in situazioni come in quella che viviamo nel nostro Paese, le persone che riescono a vivere esclusivamente con le royalties delle loro opere sono pochissime (siamo nell’ordine di una decina per quanto riguarda i libri e poco più per quanto riguarda la musica). Questo vuol dire che il modo in cui guadagnano e vivono le migliaia di autori del nostro Paese è un altro, ed è proprio su questo "altro" che punta chi sceglie di sviluppare modelli di business alternativi a quelli del copyright, a partire da quello più banale di farsi semplicemente conoscere, a quelli più sofisticati in cui non si vende il prodotto creativo, ma una serie di altri prodotti aggiuntivi (performance live, merchandising, immagine e così via).

Ancora una volta è questione di mentalità?
Esattamente! La spinta che deriva dall’utilizzo di questo tipo di licenze è quella a cambiare tipo di mentalità di business. Spingere per Creative Commons da un punto di vista politico ed istituzionale, allora, può avere una funzione pedagogica, come per dire "attenzione che il mondo sta cambiando e sta andando in una direzione in cui si aprono nuove possibilità sia per i grandi che per i piccoli, purché siano in grado di capire cosa sta avvenendo".
Se non sperimentiamo e se non abbiamo il coraggio di esplorare, le nostre imprese arriveranno troppo tardi, sempre un passo dietro a quelle dei paesi in cui questa cultura è quella dominante ormai da dieci anni.

Dal punto di vista di questa nuova mentalità ci sembra particolarmente interessante Science Commons. Potrebbe sintetizzarcene gli obiettivi?
Science Commons è un progetto che nasce come Spin off di Creative Commons. Ha sede all’MIT di Boston ed è ancora in fase iniziale. L’obiettivo è quello di concentrarsi sui problemi relativi alla condivisione di dati e di contenuti in ambito scientifico ed accademico.
Si tratta di un argomento molto complesso e delicato sul quale nel corso dei secoli si è costruito il concetto stesso di progresso scientifico. In ambito scientifico, infatti, gli operatori hanno sempre agito attraverso il principio della condivisione e della pubblicazione di tutte le informazioni e tutti i dati di ricerca. Ora fin quando la cultura ci ha permesso, o ha permesso agli scienziati, di ignorare le leggi e le normative sul diritto d’autore che, ovviamente valgono anche su questi contenuti, tanto di guadagnato, ma ciò non elimina il problema. Nel momento in cui le Università cominciano a strutturare propri uffici legali e a mettere vincoli all’utilizzo del proprio sapere, dunque, occorre individuare strumenti che consentano di essere preparati e cautelati anche sotto questo punto di vista. Occorre andare oltre l’ethos e procedere con un approccio più organico e completo, senza dare per scontato cose che in realtà non lo sono per tutti allo stesso modo.

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