Le 12 mosse di Piacentini viste con la lente dei dati ISTAT: quant’è lunga la strada per l’Italia digitale?

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Leggere le 12 mosse di Piacentini con la lente dei dati Istat ci aiuta a comprendere quanta strada le Pubbliche Amministrazioni locali devono percorrere per recuperare il ritardo nel processo di digitalizzazione e tradurlo in riduzione della spesa del settore pubblico e efficienza dei servizi

19 Gennaio 2017

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Valentina Piersanti

In tema di PA digitale il 2016 si è chiuso con la presentazione del programma del team del Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, Diego Piacentini, e il 2017 si è aperto con la pubblicazione dell’Istat dei dati relativi al processo di informatizzazione delle PA locali.

Il primo rappresenta un passaggio importante e carico di aspettative, in primis perché chiude l’anno degli interventi normativi e apre la stagione dell’adeguamento da parte delle pubbliche amministrazioni a quanto previsto dai decreti attuativi della riforma delle PA e dell’Agenda digitale. Mentre la fotografia scattata dall’Istat ci restituisce un quadro d’insieme – al 2015 – sul livello di informatizzazione delle Amministrazioni; il punto di partenza dal quale si deve partire per recuperare il passo – li dove ce ne sia bisogno – nei processi di digitalizzazione.

Leggere, dunque, le 12 mosse di Piacentini con la lente dei dati Istat ci aiuta a comprendere quanta strada le Pubbliche Amministrazioni locali devono percorrere per recuperare il ritardo nel processo di digitalizzazione e tradurlo, finalmente, in riduzione della spesa del settore pubblico e efficienza dei servizi. Allo stesso tempo, i numeri dell’Istat ci danno un’idea inequivocabile sui servizi, sull’architettura organizzativa e sulle tecnologie che, a livello locale, dovranno declinare e dare gambe ai progetti strategici del Paese in ambito di digitalizzazione e innovazione.

Rispetto al primo e più generale obiettivo di Piacentini e del suo team, vale a dire quello di “…attivare un processo di cambiamento e di fare in modo che la digitalizzazione non sia più straordinaria ma diventi la normalità nella PA”, la PA disegnata dai dati Istat non sembra ancora pronta, né in termini di struttura organizzativa e di competenze, né in termini di capacità di investimento. Tra le barriere incontrate dalle Pubbliche Amministrazioni nell’ambito della digitalizzazione troviamo nell’ordine proprio: la mancanza di risorse finanziarie, ostativa per il 67,5% delle amministrazioni locali; la carenza di staff qualificato in materie Ict (60,7%) e la mancanza di un’adeguata formazione in materia di Ict (50,2%).

Solo il 16,8% della PAL sceglie ed è nelle condizioni di disporre nella propria struttura di uno o più uffici autonomi di informatica, con una grande difformità tra le diverse tipologie di enti: tutte le Regioni e Province Autonome e la maggior parte delle Province (86,9%) dichiarano di disporre nella propria struttura di uno o più uffici autonomi di informatica, che interessano rispettivamente soltanto il 22,9% e il 15,5% delle Comunità montane e dei Comuni (nel 2012 le quote erano 21,9% e 16,1%). Tuttavia, la scelta di non dotarsi di un ufficio d’informatica interno all’organizzazione è in parte bilanciata da quella di istituirne uno nell’ambito di una gestione associata, che permette di condividere le competenze Ict attraverso associazioni di Amministrazioni.

In tema di competenze e personale la situazione che emerge dai numeri non fa certo pensare ad una strada in discesa per la “normalizzazione” delle attività legate all’Ict all’interno degli enti locali, nei quali la quota di personale che si occupa (prevalentemente o parzialmente) di Ict rappresenta appena 1,4% del totale del personale dell’amministrazione e la quota di dipendenti che hanno preso parte ad almeno un corso in materia Ict nel corso dell’anno precedente è pari al 7,7%. Per altro si è trattato nella maggior parte di casi di corsi relativi ad applicazioni e software specifici (86,1%).

Uno sguardo veloce su questi primi dati porta da subito in evidenza la necessità di agire interventi che dovranno riguardare “l’hardware” delle amministrazioni, ancora strutturalmente impreparate ad un percorso di informatizzazione profondo e d’impatto reale sulla qualità dei servizi.

Cinque tra i diversi punti previsti nella roadmap del digital team sono stati oggetto di confronto (il 16 gennaio a Palazzo Chigi) del gruppo di Piacentini con alcuni Comuni perché, come ha detto in questa occasione il Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, “… le amministrazioni locali giocheranno un ruolo decisivo sul territorio, dando impulso all’esecuzione delle innovazioni esistenti e future in maniera integrata con una metodologia agile e un approccio open data”. I progetti strategici ai quali il team si impegna a imprimere un’accelerazione significativa riguardano direttamente le PA territoriali e devono, necessariamente, fare i conti con lo stato dell’arte, tanto eterogeneo quanto preoccupante, delle organizzazioni locali. E’ il caso degli interventi in tema di sicurezza informatica per i quali, allo stato attuale, le amministrazioni presentano sistemi di difesa ancora insufficienti e bassi livelli di consapevolezza sui rischi informatici. Ancora basso, seppur in crescita rispetto al 2012 per effetto delle novità introdotte nel CAD, il ricorso a tecnologie avanzate quali la cifratura dei dati (15,6% contro 13,3% ), i server SSL (62,4% contro 31,9%) e i piani di disaster recovery (dal 36,5% al 48,8% ).

Al punto due delle “12 mosse” del digital team troviamo l’obiettivo di velocizzare le procedure dei subentri delle anagrafi comunali sulla piattaforma dell’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (ANPR) sulla quale, al momento, è sbarcato solo il comune di Bagnacavallo. Dalla fotografia dell’Istat il 20,3% dei servizi anagrafici e di stato civile sono ancora impegnati nel processo di informatizzazione in locale. Anche il livello dei servizi offerti dalle anagrafi comunali è decisamente arretrato: solo nel 2,4% dei comuni è possibile concludere per via telematica l’intero iter relativo alle richieste di certificazioni anagrafiche e nell’1,4% quello per la Carta d’identità.

Il digital team lavorerà anche sugli altri due progetti strategici per la PA digitale: SPID e Pago PA. Ma anche qui i dati Istat sono una doccia fredda perché ci raccontano di un insieme di servizi digitali estremamente basici sui quali si stanno andando ad innestare il sistema di identificazione e quello di pagamento. Sarà necessario tenere conto del fatto che, ad oggi, quello che si trova davanti il cittadino che tenta di relazionarsi con le pubbliche amministrazioni utilizzando il web è principalmente la possibilità di avere informazioni, può quindi sapere cosa è necessario fare e quali moduli dovrà compilare in quasi tutte le amministrazioni locali (93,5%); in oltre 8 amministrazioni su 10, può scaricare i moduli; arrivati a questo punto, l’accesso on line ai servizi si ferma per almeno 4 cittadini su 10 che non potranno compilare e re-inoltrare la documentazione on line, ma dovranno probabilmente recarsi allo sportello; dei 6 che hanno invece avuto la possibilità di inoltrare on line la modulistica, solo 3 avranno la fortuna di poter pagare o comunque ricevere il certificato, il documento, la risposta, (…), attraverso i canali telematici. Per altro, i servizi più offerti via web al livello massimo di disponibilità on-line sono quelli connessi allo Sportello Unico per le Attività Produttive (24,0%) e la Dichiarazione di inizio attività produttiva (14,1%).

Altro tema nel manifesto del digital team è quello del open source e del riuso, due questioni centrali che le si guardi in termini di cultura digitale pubblica o in una logica di riduzione dei costi nell’uso delle nuove tecnologie. La nuova indagine dell’Istat ci dice che l’utilizzo di software open source da parte delle pubbliche amministrazioni locali ha subito tra il 2012 e il 2015 un leggero arretramento passando dal 55,2% al 54,1%. Tra le soluzioni di open source rilevate, quelle relative a browser web e office automation rappresentano le più scelte (rispettivamente dall’87,8% e dal 69,8% delle Amministrazioni locali che utilizzano open source). Forte passo indietro anche per le esperienze di riuso: nel 2012 il 35,2% delle PAL aveva utilizzato software sviluppato per conto e a spese di un’altra amministrazione, a tre anni di distanza questa percentuale è passata al 12,7% e scende ancora più in basso (dall’1,8% allo 0,8%) la quota di chi ha ceduto il proprio software per il riuso di altri.

Che dire poi di Open Data? Il Commissario punta dritto verso il progetto di una “nuova interfaccia all’interno della quale singole amministrazioni comunichino e condividano tra loro dati e API in maniera libera e aperta, permettendo la nascita di servizi e data application nuovi e prima impensabili realizzati sui bisogni del cittadino”, ma solo un terzo delle Amministrazioni locali rende disponibili in formato aperto i propri dati, dando priorità a quelli relativi a economia, finanza, tributi (67,4%) e al government e settore pubblico (61,9%). Un contesto nel quale anche un aggiornamento della valutazione dei dataset del portale Dati.gov sarebbe auspicabile!


Tenendo nella mano destra i dati dell’Istat e nella sinistra il manifesto del digital team di Piacentini, ci sembra che debbano essere posti al centro interventi consistenti e differenziati, di potenziamento delle organizzazioni territoriali e di rafforzamento delle competenze di quelle persone che, in queste, operano nell’ambito dell’ICT e dell’innovazione. Può sembrare un ritornello ripetitivo, ma se i dati Istat sull’informatizzazione ci danno un senso di déjà vu non si può non tornare sempre lì: è necessario puntare non solo sull’innovazione tecnologica, ma anche su quella culturale ed organizzativa. Gli strumenti ci sono e si chiamano PON Governance e PON Metro. Il tempo scorre, non perdiamo anche questa occasione di cambiare il Paese.

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