Ministro si, Ministro no. Ma serve o non serve un ministro per l’innovazione?

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Nella storia dei Governi italiani dal 1948 ad oggi in solo quattro Governi c’è stato un Ministro dell’Innovazione. Tra i 27 Paesi dell’Unione Europea 11 Paesi hanno un Ministro con una delega specifica per l’innovazione o la Società dell’Informazione in generale insieme a deleghe per la ricerca o la scienza. Negli altri paesi l’innovazione tecnologica è trasversale ai vari dicasteri. Insomma le scelte sono diverse. Ma se in sé non è un dramma se nello scarno Governo Monti non c’è un Ministro delegato all’Innovazione, perché allora io sono così preoccupato? Perché è un fatto incontrovertibile che l’Italia è attualmente ai margini nella geografia mondiale dell’economia digitale. Ma senza economia digitale non c’è sviluppo e non c’è crescita neanche in termini di qualità della vita e sostenibilità. Non è possibile però risalire la china senza scelte coraggiose, che per loro definizione sono politiche.  Vediamo quali… 

22 Novembre 2011

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Nella storia dei Governi italiani dal 1948 (per la cronaca, prima del Governo Monti, abbiamo avuto 60 governi durati in media un anno e 18 giorni ciascuno) in solo quattro Governi c’è stato un Ministro dell’Innovazione (Lucio Stanca nei Governi Berlusconi II e III con delega specifica; Luigi Nicolais nel Governo Prodi II e Renato Brunetta nel Governo Berlusconi IV con delega congiunta alla funzione pubblica). Tra i 27 Paesi dell’Unione Europea 11 Paesi hanno un Ministro con una delega specifica per l’innovazione o la Società dell’Informazione (Austria, Bulgaria, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Olanda, Regno Unito, Romania, Spagna, Svezia) in generale insieme a deleghe per la ricerca o la scienza. Negli altri paesi l’innovazione tecnologica è trasversale ai vari dicasteri.

Insomma le scelte sono diverse. Ma se in sé non è un dramma se nello scarno Governo Monti non c’è un Ministro delegato all’Innovazione, perché allora io sono così preoccupato?
Perché è un fatto incontrovertibile che l’Italia è attualmente ai margini nella geografia mondiale dell’economia digitale. Ma senza economia digitale non c’è sviluppo e non c’è crescita neanche in termini di qualità della vita e sostenibilità. Non è possibile però risalire la china senza scelte coraggiose che per loro definizione sono politiche.

Si può certamente fare a meno di un Ministro per l’Innovazione (o tanto più di un immaginifico Ministro per Internet!), ma non si può fare a meno, quindi, di una politica di innovazione che sia unitaria, coesa e di lungo periodo. Può essere in capo all’intera compagine governativa? Senza dubbio. Può dipendere da un efficace board dei Ministri più direttamente interessati (Sviluppo economico, Ricerca, Economia, Ambiente, Coesione territoriale in primis)? certamente sì. Ma non può essere assolutamente lasciata a sé stessa. Stanno maturando, infatti, scelte importanti e le strade che intraprenderemo oggi saranno quelle che, volenti o nolenti, dovremo percorrere domani.
Ne cito solo quattro che riguardano la strategia per l’innovazione tecnologica nella PA, ma molte di più sarebbero da ricordare, a cominciare dalle reti di nuova generazione.

1.      Nello scorso ottobre è partito un primo embrione di politica nazionale per l’open government, basato su tre assi strategici: Open data, PA 2.0 e G-Cloud. Era un primo vagito, ma il neonato non è assolutamente in grado di sopravvivere senza iniezioni robuste di volontà politica che garantiscano investimenti e indirizzi e portino ad unum le esperienze, anche profondamente diverse, che autonomamente stanno nascendo nel Paese. Si può fare senza una visione politica che indichi scelte e priorità? Non credo.

2.      La PA rimane di gran lunga il più grande acquirente di innovazione tecnologica del Paese, ma fa fatica a comprare innovazione piuttosto che pezzi di ferro e linee di codice perché non ha né un impianto legislativo di procurement adeguato, né tantomeno professionalità aggiornate, agguerrite e consapevoli che possano pretendere qualità e strategie. Ne conseguono gare anche ricche (sempre meno, ma ce ne sono), ma sciatte sia nell’impianto sia nella successiva implementazione. Possiamo invertire la rotta senza un’inversione di politiche? Possiamo immettere nella PA le professionalità che servono, strappando i migliori al privato, senza un’inversione di tendenza nella politica del personale pubblico? Non credo

3.      Il Codice dell’Amministrazione Digitale è uno strumento utile per sancire diritti e prescrivere comportamenti, ma in sé non fa innovazione. Se lo lasciamo a se stesso e rallentiamo lo sforzo per le regole tecniche, le linee guida, la “manutenzione” della legge e la sorveglianza politica sulla sua attuazione piano piano andrà a morire nel già affollato “cimitero delle leggi” , come successe al suo fratello più anziano del 2005. Ma si può operare in questo senso con un organo tecnico come DigitPA così debole e prosciugato di risorse umane, professionali e economiche? E si può rilanciare la digitalizzazione della PA senza una visione politica che metta in fila gli interventi? Non credo.

Leggi le "10 proposte per rinnovare la PA" di Mauro Bonaretti su Saperi PA

4.      Gran parte dei servizi ai cittadini e alle imprese sono appannaggio degli Enti territoriali, ma anche quelli virtuosi non possono spendere in innovazione (alla faccia dei proclami per le smart cities!) perché sono azzoppati da un patto di stabilità cieco e sordo, che non discrimina gli investimenti che portano risparmi ed efficienza, dagli sprechi da abolire. Così stando le cose le nostre città e i nostri territori rischiano di vedere un pluriennale fermo nell’innovazione che, alla luce della velocità di crescita dell’economia digitale, li metterà fuori competizione per decenni. È possibile, senza una politica chiara e strategica, correggere il tiro e tener fuori dal patto di stabilità gli investimenti in innovazione? Non credo.

Ripeto: per tutto questo e per le altre decisive scelte che abbiamo davanti, e che ho volutamente trascurato, non serve necessariamente un Ministro per l’innovazione, ma serve necessariamente una lungimirante politica per l’innovazione.

Sarà in grado questo Governo di produrla? Staremo a vedere: hic Rhodus, hic salta.

 

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