Miur, mettere i Big Data al centro del processo decisionale

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Il primo passo operativo è realizzare una mappatura dei centri che operano nel settore con riferimento alla formazione, ricerca e costruzione di competenze. Il rapporto finale del Gruppo sarà consegnato entro il 15 maggio 2016

10 Marzo 2016

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Enrico Martini, Miinistero dello Sviluppo Economico

Dal 27 gennaio è costituito, presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), un gruppo di lavoro per avviare una riflessione condivisa sui Big Data , coordinato da Fabio Beltram, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa.

L’organo opera con la finalità di utilizzare, strategicamente e attraverso nuovi approcci, i Big Data di competenza del MIUR, ossia quelli afferenti al settore scolastico, universitario, della ricerca e dell’alta formazione.

Obiettivo è, dunque, quello di mettere i Big Data al centro del processo decisionale, nonché nella elaborazione di politiche di sviluppo in ambito formativo e scientifico.

Il primo passo operativo è realizzare una mappatura dei centri (universitari e non) che operano nel settore con riferimento alla formazione, ricerca e costruzione di competenze.

Pertanto, il gruppo di lavoro ha invitato tutti i soggetti attivi nel campo dei Big Data attraverso programmi di formazione, valorizzazione o ricerca a segnalare tali iniziative all’indirizzo bigdata@miur.it, fornendo i link ai siti dove tali iniziative sono illustrate.

Il rapporto finale del Gruppo sarà consegnato entro il 15 maggio 2016.

Prima di tutto però il nostro Paese deve ridurre una grave lacuna dal lato della domanda di servizi digitali. Il Digital Economy and Society Index per il 2015, recentemente pubblicato dalla Commissione Europea, ha evidenziato che un terzo della popolazione non è in grado di cogliere le opportunità offerte dalla rete, né può contribuire all’economia digitale.

Lo sviluppo dell’economia digitale è frenato dal basso livello di competenze digitali (solo il 59% degli utenti, una delle percentuali più basse dell’UE, usa abitualmente internet e il 31% della popolazione italiana non lo ha mai utilizzato) e dalla scarsa fiducia (solo il 42% degli utenti di internet utilizza i servizi bancari online e il 35% fa acquisti online). In tal senso, non aiuta la bassa percentuale di laureati nelle materie ‘Stem’ (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) l’1,3% degli italiani tra i 20 e i 29 anni, percentuale insufficiente per un’economia avanzata nell’era digitale.

Anche sul fronte della connettività l’Italia è in ritardo , poiché solo il 21% delle famiglie ha accesso a una connessione internet veloce (il livello di copertura più basso dell’UE), solo il 51% delle famiglie ha un abbonamento a banda larga fissa (la percentuale più bassa dell’UE) e gli abbonamenti a banda larga superiore a 30 Mbps sono pari solo al 2,2% (media UE pari al 22%).

Uscendo dal caso italiano, l’analisi della Commissione fotografa nitidamente un divario tra i Paesi più avanzati e quelli più arretrati ampio e invariato, con le politiche europee che non sono ancora in grado di sostenere con incisività lo sviluppo del digitale in tutti i Paesi dell’Unione .

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