Nicita (Agcom): “Un nuovo servizio universale per la trasformazione digitale del Paese”

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Sebbene l’intervento normativo sia finalizzato a risolvere importanti
fallimenti di mercato, esso dovrebbe essere comunque vincolato
all’obiettivo, non meno importante rispetto alla coesione sociale, della
minimizzazione delle potenziali distorsioni delle dinamiche competitive
che, oggi, producono rilevanti benefici

8 Febbraio 2016

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Antonio Nicita, Agcom

Il servizio universale è il più importante presidio normativo a tutela dei consumatori e, in particolare, nei confronti di quei consumatori che, per ragioni esterne alla loro disponibilità a pagare e ai loro bisogni, si trovino ad essere discriminati in ragione di fattori esogeni. Il fine del servizio universale è dunque quello di impedire ai fornitori dei servizi di pubblica utilità, di discriminare la qualità e i prezzi dell’offerta nei confronti di quelle categorie di utenti che si trovino in condizioni geografiche o socioeconomiche tali da generare maggiori costi unitari di fornitura o minori ricavi.

Il contenuto del servizio universale ha il fine di garantire la coesione sociale attraverso la fornitura di un insieme di servizi offerto a un livello minimo di qualità e a un dato prezzo sull’intero territorio nazionale, indipendentemente dal livello di profittabilità delle varie categorie di utenti.

SI tratta quindi di una materia evidentemente soggetta a processi evolutivi che dipendono soprattutto dal cambiamento di fattori tecnologici e dal conseguente mutamento delle preferenze di consumo degli utenti nel tempo. Accade, infatti, frequentemente che le dinamiche di mercato possano essere più rapide ed efficaci, nel soddisfare le esigenze di fasce minoritarie della domanda, rispetto a quelle stesse norme – poste a protezione degli utenti contrattualmente deboli – che impongono al fornitore del servizio universale di offrire un set di servizi, ad un livello minimo di qualità e a un dato prezzo sull’intero territorio nazionale.

Oggi le norme che impongono l’universalità della fornitura disciplinano l’offerta di servizi di scarso interesse per i consumatori, spesso anche di quella parte di consumatori destinatari di tutela perché negozialmente deboli (consumatori residenti in aree remote, basso spendenti o richiedenti bassa qualità). Nell’offerta minima garantita dal servizio universale figurano infatti: (i) l’attivazione della linea su tutto il territorio nazionale; (ii) la capacità della linea di inviare e ricevere chiamate nonché di veicolare traffico Internet; (iii) la fornitura dell’elenco di informazione abbonati; (iv) la telefonia pubblica; (iv) l’applicazione di canoni di abbonamento agevolati alle categorie deboli di utenti (disabili e a basso reddito).

I prezzi regolati dal servizio universale prevedono, al momento, che le categorie deboli di utenti paghino un canone di abbonamento scontato rispetto all’offerta generale e una tariffazione a consumo, non regolamentata, separata per la telefonia e Internet. Tali prezzi possono tuttavia eccedere le condizioni economiche presenti nelle offerte degli operatori concorrenti e disponibili a tutti i consumatori. In assoluta controtendenza, le offerte di mercato, inclusa quella del fornitore del servizio universale, tendono ormai a fornire bundle di servizi con tariffazione flat che comprendono, appunto, oltre alla telefonia, servizi di messaggistica, cloud, Internet, antivirus, apparati, contenuti, ecc.

Già oggi, anche se si tratta di una parte minoritaria, alcuni paesi europei (Spagna, Svezia, Finlanda, Belgio, Croazia e Svizzera) hanno previsto, tra gli obblighi di servizio universale, che ogni collegamento di rete fissa debba consentire collegamenti su rete Internet ad una velocità almeno superiore a 1Mbps.

Tali paesi hanno incluso la banda larga nel servizio universale nel rispetto dei criteri contenuti dalle raccomandazioni e le comunicazioni (non vincolanti) della Commissione europea. Da queste ultime si evince che gli Stati membri, per ampliare il contenuto del servizio universale, dovrebbero tener conto di fattori tecnici di penetrazione nel mercato e di valutazioni di impatto dei costi/benefici derivanti da tale ampliamento.

I criteri tecnici prevedono che l’inclusione della banda larga sia possibile quando: (i) oltre il 50% degli utent di un paese dispone di una linea a banda larga; (ii) la velocità fissata sia già fruita da oltre l’80% degli utenti.

I criteri economici sono basati su un’analisi costi/benefici in grado di misurare: (i) quale sarebbe la penetrazione della banda larga senza l’ampliamento del contenuto del SU; (ii) gli svantaggi socioeconomici per gli utenti esclusi; (iii) i costi di fornitura dell’ampliamento del contenuto del SU; (iv) i benefici dell’ampliamento del contenuto del SU e gli effetti sulla concorrenza.

L’approccio europeo non è di per sé contrario ad un ampliamento del contenuto del servizio universale, purché ciò sia finanziato con risorse pubbliche e non con mezzi finanziari provenienti dagli operatori di mercato (compreso il fornitore del servizio universale).

L’ormai obsoleta offerta del servizio universale pone quindi una serie di discussioni tematiche legate soprattutto alla definizione di un set minimo di servizi di comunicazioni elettroniche in grado di perseguire l’obiettivo dell’inclusione sociale per tutti gli utenti, tenendo conto delle tecnologie prevalentemente in uso e secondo le reali esigenze e modalità di comunicazione dei cittadini.

E’ evidente come gli obblighi di fornitura presentino un alto grado di asincronia rispetto all’evolversi delle tecnologie impiegate e alle dinamiche di fruizione dei servizi di comunicazioni elettroniche da parte dei consumatori. Mentre, da un lato, gli obblighi di servizio universale sono limitati a servizi, ormai quasi in disuso, offerti su rete fissa, la maggior parte dei consumatori fruisce di una vasta gamma di servizi ICT (telecomunicazioni, contenuti, IT, apparati/terminali) tramite rete mobile.

Per quanto non siano attualmente avvertiti come prioritari nella “ to do list” dell’industria, gli obblighi vigenti di servizio universale necessiterebbero, a mio avviso, di una profonda riforma sia sotto il profilo oggettivo – volto a definire un contenuto di servizio universale soddisfacente rispetto alle tecnologie e servizi prevalentemente in uso – sia sotto l’aspetto soggettivo, mirato ad identificare quelle categorie di utenti meritevoli di tutela rispetto all’obiettivo dell’inclusione sociale, in quanto parti contrattuali deboli.

L’intervento normativo di riforma del servizio universale non potrà che essere nazionale, nell’ambito della flessibilità riconosciuta agli Stati membri, posto che dal quadro europeo emergono due importanti aspetti: il primo è che la Commissione europea non sembra intenzionata a riformare significativamente il servizio universale, quanto piuttosto a lasciare agli Stati membri, sotto particolari condizioni, una flessibilità limitata all’inclusione della banda larga nel contenuto del servizio universale di rete fissa. Il secondo aspetto è che il contenuto del servizio universale è liberamente ampliabile dagli Stati membri sotto la circostanza che i costi derivanti da tale ampliamento siano finanziati dal settore pubblico.

D’altra parte, sebbene l’intervento normativo sia finalizzato a risolvere importanti fallimenti di mercato – riconducibili agli obiettivi di redistribuzione e di promozione dei beni meritori – esso dovrebbe essere comunque vincolato all’obiettivo, non meno importante rispetto alla coesione sociale, della minimizzazione delle potenziali distorsioni delle dinamiche competitive che, oggi, producono rilevanti benefici, in termini di qualità e prezzi dei servizi di comunicazioni elettroniche, per la parte preponderante dei consumatori.

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