Contrattazione collettiva del lavoro dei dirigenti pubblici: riconoscimenti e diritti

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No alla precarizzazione del ruolo dirigenziale, maggiore equilibrio tra politica e autonoma responsabilità della dirigenza, riconoscimento del diritto all’incarico e trasparenza nel conferimento degli incarichi esterni: di questo si è parlato a FORUM PA 2018 in occasione del convegno “La stagione contrattuale della Dirigenza Pubblica: stato dell’arte”. Sono on line gli atti

4 Luglio 2018

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Patrizia Fortunato

Dopo 8 anni dal 22 febbraio 2010 riparte la contrattazione collettiva del lavoro dei dirigenti pubblici. Durante l’ultima edizione di FORUM PA, in occasione del convegno “La stagione contrattuale della Dirigenza Pubblica: stato dell’arte”, un focus sul rinnovo contrattuale per il triennio 2016-2018, finalizzato al miglioramento del trattamento giuridico ed economico dei dirigenti dello Stato. Sebbene il rinnovo sia giunto a triennio scaduto, permette di demandare alla prossima stagione 2019/2021 alcune priorità e di porre all’attenzione del nuovo governo alcune scelte di indirizzo.

“Che dirigenza vogliamo?”. L’invito è alla non precarizzazione del ruolo dirigenziale, alla valutazione indipendente dal governo, al riconoscimento del diritto all’incarico e trasparenza nel conferimento degli incarichi, che impedisca ogni tentativo di corruzione.

Barbara Casagrande, Segretario Generale dell’Unadis, ha evidenziato una anomalia dettata dal proliferare di leggi. Non bastano le grandi riforme, sono anni che la dirigenza pubblica si vede versata e maltrattata con interventi di legge che superano le norme di contratto, precarizzano la dirigenza, creano situazioni di spoils system, di spending review e che impediscono di rendere effettivamente un servizio ai cittadini.

Alfredo Ferrante, Segretario Nazionale dell’Unadis, ha posto l’attenzione sull’ultimo rapporto annuale dell’Istat, dal quale emergono elementi che fanno crescere l’Italia dei rancori: il decremento del tasso di natalità e invecchiamento, siamo il secondo paese più vecchio al mondo dopo il Giappone; la fatica delle famiglie a contrastare la crisi economica; la trasformazione del lavoro e le incognite da affrontare per la quarta rivoluzione industriale; la crisi del welfare; il fenomeno migratorio.

La sfiducia nella PA contribuisce a delineare il quadro di crisi che sta attraversando l’Italia. Quanto è vecchia la PA? Dal “Rapporto OCSE – Government at a Glance” siamo assolutamente i più vecchi dell’area OCSE e siamo invecchiati rapidamente, rispetto agli altri, in 5 anni. Questo perché? “Perché – continua Ferrante – il personale va in pensione, non c’è un rinnovo di entrata e quindi siamo drammaticamente scesi con l’età media del personale pubblico”.

Esiste una marginalità consapevole della dirigenza rispetto alla macchina amministrativa tra i presenti al tavolo di lavoro, tra i quali anche: Francesca Macioce dell’Unadis, Sergio Gasparrini dell’Agenzia per la Rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, Valerio Talamo del Dipartimento della Funzione Pubblica, Marco Villani della Corte dei Conti, Danilo Toninelli, Cinzia Bonfrisco e Paola Binetti del Senato della Repubblica.

Francesca Macioce ha portato l’attenzione su un primo equivoco rilevante: il rapporto tra il dirigente e la contrattualizzazione. Il dirigente contrattualizzato, detto anche privatizzato, non è libero nei fini, è obbligato a perseguire l’interesse pubblico. Quello che negli anni 90 ha attraversato la storia del nostro Paese è stato un innesto di politiche imprenditoriali, tipiche dei manager privati, nella pubblica amministrazione con una motivazione ben giusta: un recupero di efficienza, di produttività e di qualità dell’azione amministrativa. Questa figura contraddittoria, descritta da Valerio Talamo in una sorta di “Giano bifronte”, ha inficiato la credibilità della figura del dirigente. La legislazione degli anni successivi, in particolare la riforma Brunetta, ha tentato un recupero della credibilità di questa figura, sostituendo alcuni istituti legislativi che erano trattati nella contrattazione e questo ha determinato un altro paradosso, ovvero che il dirigente, più che interessato alla produzione del risultato è rimasto interessato a non essere tacciato da una responsabilità per inadempimento della legge e quindi ha fornito un alibi a quei dirigenti poco interessati a rendere produttiva, efficace, efficiente la pubblica amministrazione.

In discussione è emerso il circuito virtuoso tra autonomia, responsabilità e valutazione e il rapporto ambiguo tra dirigenza e politica. Come ha evidenziato Valerio Talamo nel 1993 da un lato si parlò di privatizzazione come esportazione delle regole del diritto privato al rapporto di lavoro in quanto compatibili, dall’altro lato si parlò di aziendalizzazione della pubblica amministrazione, cioè di trasportare il microcosmo organizzativo aziendale, con le sue autonome regole di funzionamento, nell’ambito delle pubbliche amministrazione. Ciò detto,il datore di lavoro non esiste in natura nel pubblico impiego, nella carta Costituzionale all’articolo 97 c’è solo l’indicazione di quello che deve essere il funzionario pubblico al servizio esclusivo della nazione e che deve operare secondo disciplina ed onore. Sempre a norma dell’articolo 97 la pubblica amministrazione deve essere sottoposta a regime di legalità, imparzialità e buon andamento: principio dal quale ne deriva un’immagine della pubblica amministrazione neutrale. Sempre nella stessa carta costituzionale all’articolo 95, troviamo un principio diverso, il principio di responsabilità ministeriale che configura una pubblica amministrazione soggetta all’esecutivo.

Ci troviamo quindi in una situazione in cui entrambi i modelli devono tenersi insieme. Come è possibile?

Per un maggiore approfondimento consigliamo di consultare gli atti on line e di contribuire con riflessioni sul tema nella rielaborazione del Libro bianco sull’innovazione della PA.

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