Giovani, riforme e riformisti

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Tra le tante notizie brutte o discrete (le buone sono veramente rare) che ci bombardano in questi giorni di bilanci di fine d’anno, una mi sembra più di altre meritare una riflessione approfondita: l’OCSE, nell’ultima rilevazione, indica per l’Italia una occupazione giovanile che cala ancora e ci pone al penultimo posto nell’area OCSE. Insomma l’Italia non è più un Paese per i giovani e quel che è peggio, ci stiamo rassegnando a questo. Credo che se al 31 dicembre vogliamo guardare al dibattito sulle riforme fatte o mancate dobbiamo ripartire da qui: dalle centinaia di migliaia di giovani che rischiano di essere derubati di un posto attivo, di un futuro dignitoso, di una speranza di inserimento.

21 Dicembre 2010

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

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Tra le tante notizie brutte o discrete (le buone sono veramente rare) che ci bombardano in questi giorni di bilanci di fine d’anno, una mi sembra più di altre meritare una riflessione approfondita: l’OCSE, nell’ultima rilevazione, indica per l’Italia una occupazione giovanile che cala ancora e ci pone al penultimo posto nell’area OCSE.[1].

Insomma l’Italia non è più un Paese per i giovani e quel che è peggio, ci stiamo rassegnando a questo.

Credo che se al 31 dicembre vogliamo guardare al dibattito sulle riforme fatte o mancate dobbiamo ripartire da qui: dalle centinaia di migliaia di giovani che rischiano di essere derubati di un posto attivo, di un futuro dignitoso, di una speranza di inserimento. Penso ai tanti che ho incontrato in questi mesi: ai loro racconti di precario e recidivo sfruttamento, all’umiliazione di dover essere ancora figli di papà, alle modalità vecchie con cui si rapportano ad un mondo del lavoro profondamente cambiato. Cercano un posto come lo cercavamo noi alla loro età: amici, raccomandazioni, concorsi per il posto fisso (centinaia di migliaia di candidati ogni decina di posti messi in palio). Nella maggior parte dei casi non hanno né aiuti né consigli né dal Governo centrale, né dal mondo dei garantiti che discute su aggiustamenti delle garanzie, piuttosto che su una radicale innovazione.

Credo che qui si giochi la sfida vera dei riformisti: aprire opportunità ai giovani.

In questo senso non smetterò di protestare vivamente per il blocco del turnover nel pubblico impiego che non solo toglie qualsiasi ragionevole speranza di fare vera innovazione nella PA (senza i giovani non si innova, lo sappiamo bene), ma impedisce ai nostri giovani migliori di pensare ad un futuro di civil servant. L’età media della pubblica amministrazione italiana, come abbiamo più volte detto, è la più alta al mondo (sfiora ormai i 49 anni e cresce, come è ovvio mancando un serio rimpiazzo, di quasi un anno ogni anno), ma nonostante questo non c’è una programmazione certa e quindi prevedibile, per i concorsi pubblici.

Ma altrettanto grave mi sembra la sciagurata e miope “non-politica” culturale che sta bloccando le opportunità di creazione artistica un’intera generazione o la sempre più carente azione per il sostegno all’occupazione nelle piccole imprese innovative.

Che fare quindi, immersi come siamo in una crisi finanziaria che non sembra aver fine? Una serie di proposte interessanti arrivano dal dossier presentato da Italia Futura, a cui hanno lavorato Irene Tinagli, Stefano Micelli e Marco Simoni. Mi pare che quello proposto lì non sia solo un inventario di manovre correttive, quanto piuttosto un cambio di paradigma che rimette al centro della politica quello che deve essere il suo principale interesse: la visione del domani.

Un altro documento mi sembra di grande interesse: sono le risposte che molti giovani hanno dato alla lettera di Roberto Saviano sulle violenze a Roma in occasione delle manifestazioni del 14 dicembre: qui, più che in tanti discorsi dotti, possiamo percepire la rabbia di chi trova tutte le porte sbarrate, ma anche la grande energia dei giovani che non si rassegnano. È una grande responsabilità di quelli come me, che bene o male giovani non siamo più e siamo un pezzetto della classe dirigente, se questa energia non diventa spinta propulsiva per il Paese, ma solo vetrine rotte.

È con questi pensieri e queste preoccupazioni che vi faccio gli auguri per un nuovo anno che ci faccia intravedere maggiori speranze per i nostri figli, e quindi anche per noi.

 


[1] In Italia nel 2009 risultava occupato solo poco più di un giovane su cinque tra 15 e 24 anni, il 21,7 per cento dice l’Ocse a fronte del 35,8 per cento tra 19 paesi dell’Unione europea e il 40,2 per cento della media Ocse. Un livello più basso si registra solo in Ungheria (dove è crollata 18,1%). In Italia, poi, la disoccupazione giovanile durante la crisi, ovvero tra il secondo trimestre del 2008 e il secondo trimestre 2010, è salita di circa 8 punti percentuali, tre volte in più rispetto agli adulti, con uno degli aumenti peggiori tra i principali Paesi industrializzati. L’Italia viene indicata, inoltre, come uno dei paesi più a rischio per giovani nella transizione tra scuola e lavoro. Arriva infatti quasi al 20% la percentuale dei giovani lasciati indietro, ovvero i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che hanno lasciato la scuola senza un diploma e non lavorano. È il terzo peggiore dato dell’area Ocse, dopo Messico e Turchia.

 

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