EDITORIALE

I cittadini digitali sono solo “cittadini”

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Non esiste un “cittadino digitale”, ma deve esistere un “cittadino” tout court che sperimenti le amministrazioni come piattaforme abilitanti che lo sostengono. Questo è lo spirito con cui presentiamo questa settimana il primo dei nostri “report” scaturiti dai “Cantieri della PA digitale” che, riunendo politica, amministrazione, aziende ed accademia, hanno lavorato sulle condizioni dell’execution della trasformazione digitale

26 Gennaio 2017

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Carlo Mochi Sismondi @Carlomochisis

Questo inizio d’anno ci restituisce speranze e timori e insieme la sensazione che non ci sia più tempo. Che perderne ancora vorrebbe dire precipitare il Paese in una crisi di fiducia così grave da comportare pesantissime conseguenze sulla tenuta economica e, prima ancora, democratica.
Lo slogan che ieri campeggiava in Piazza Montecitorio è emblematico: “Ad Amatrice la scossa, Roma dateve ‘na mossa”. Riferito alla “burocrazia che uccide più del terremoto”, questa incitazione è utile per tutto il processo di riforma della PA e di riconoscimento dei nuovi diritti, anche quelli di cittadinanza digitale.
Chi è in fondo un cittadino a cui vengano riconosciuti questi diritti? Semplicemente un cittadino che trova uno “Stato partner” che, veloce e vicino, gli permette di ottenere servizi, accedere facilmente a informazioni e dati, partecipare alla vita sociale, collaborare in modo che, perseguendo i propri obiettivi, possa aiutare l’interesse generale. Il tutto attraverso le enormi potenzialità che la digitalizzazione dei processi e la conseguente riorganizzazione della burocrazia mettono a disposizione delle amministrazioni.
Insomma non esiste un “cittadino digitale”, ma deve esistere un “cittadino” tout court che sperimenti le amministrazioni come piattaforme abilitanti che lo sostengono.
Questo è lo spirito con cui presentiamo questa settimana il primo dei nostri “report” scaturiti dai “Cantieri della PA digitale” che, riunendo politica, amministrazione, aziende ed accademia, hanno lavorato sulle condizioni dell’execution della trasformazione digitale. Tenendo sempre chiaro in mente che quel che conta è quanto queste riforme si traducono in cambiamenti di comportamento e siano quindi percepite dai cittadini e dalle imprese come innalzamento della qualità della vita.
Il report che presentiamo oggi riguarda proprio la “cittadinanza digitale” che, anche come titolo del primo articolo della “riforma Madia”, costituisce il punto di partenza di qualsiasi discorso sulla digitalizzazione: usiamo il digitale perché questo abilita diritti e offre opportunità e capabilities.
Ma parliamo della cittadinanza digitale anche perché partire dai diritti, e non dalle organizzazioni e dalle norme, costituisce anche il migliore antidoto contro quel veleno che abbiamo chiamato spesso “burocrazia difensiva” che usa le leggi e i regolamenti non per fare, ma per astenersi dall’agire.
Assieme a gravi motivi di preoccupazione che l’instabile stato della politica e delle istituzioni ci restituisce, questo inizio anno ci porta anche speranze: il processo di “Italia login” va avanti: il numero delle identità digitali rilasciate è finalmente divenuto significativo superando il milione, i pagamenti elettronici verso la PA stanno faticosamente divenendo la prassi abituale, la dematerializzazione dei processi è ormai quasi ovunque by default. Ma tutto questo non diventerà vero cambiamento se il 2017, sia o non sia un anno elettorale, non ci porterà manuali al posto di leggi; casette degli attrezzi al posto di regolamenti; formazione vera, seria e diffusa per un efficace empowerment dei dipendenti pubblici, invece che regole rigide e centralizzate di organizzazione che pretendano di normare quello che deve essere invece il risultato dell’autonoma responsabilità dei dirigenti; engagement reale dei cittadini singoli e associati perché partecipino con i loro bisogni, ma soprattutto con le loro soluzioni al cambiamento, piuttosto che incitamenti ad una partecipazione solo formale, che non ha rispetto per la diversità.

Per tutto questo ci sono sia le intelligenze sia i soldi, se non sprecheremo le ingentissime risorse della programmazione europea del PON Governance. È ora quindi di rimboccarci le maniche e di aprire in cantieri. Noi con un nuovo anno di lavoro dei “Cantieri della PA digitale” faremo la nostra parte.


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