Il procurement pubblico al tempo del Correttivo. Due focus a FORUM PA 2017

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A un anno
dall’entrata in vigore del Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) la
riforma del procurement pubblico non
è ancora decollata. Nel frattempo sono state apportate oltre 400 modifiche al
testo, alcune delle quali cambiano profondamente alcuni aspetti, anche
cruciali, della riforma. Il 23 e 24 maggio a FORUM PA sono in programma due
appuntamenti per approfondire questo percorso e rispondere alla domanda: un
nuovo modello di procurement pubblico è possibile?

26 Aprile 2017

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Paola Conio, Studio Legale Leone

Un anno fa è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 50/2016, capitolo (quasi) conclusivo di un processo di riforma profonda del procurement pubblico partito da lontano, con le nuove direttive europee del 2014, e proseguito, arricchendosi di contenuti, con la legge delega per il relativo recepimento (L. 4/2016).

Un anno è trascorso eppure l’auspicata riforma, in realtà, non è ancora decollata e anzi molte regole del gioco, anche relative a quegli aspetti che erano stati immediatamente identificati come i “pilastri” sui quali avrebbe poggiato il nuovo e rivoluzionario contesto, sono già cambiate prima ancora di essere state concretamente attuate.

Il Codice dei Contratti pubblici (il D.Lgs. 50/2016, benché comunemente definito “codice appalti”, disciplina difatti anche le concessioni, i partenariati pubblico-privato, le sponsorizzazioni e altre fattispecie negoziali che non sono affatto riconducibili all’appalto), come noto ha previsto un numero estremamente consistente di provvedimenti attuativi di varia natura (linee guida, decreti ministeriali, altri decreti etc.) da adottarsi a cura di autorità diverse (ANAC, MIT, AGID, etc.) ed aventi diversa efficacia e cogenza.

Degli oltre cinquanta provvedimenti di attuazione previsti dal Codice, a distanza di un anno dalla sua entrata in vigore, solo pochissimi hanno visto la luce. Nel frattempo, come detto, già si pensava ad adottare delle modifiche alle norme primarie, in parte per superare l’impasse che la brusca entrata in vigore delle nuove disposizioni aveva – prevedibilmente – determinato, in parte per correggere l’approccio originario ad alcuni istituti (si pensi al rating d’impresa) che avevano manifestato sin da subito criticità resesi particolarmente evidenti proprio durante il procedimento di consultazione che avrebbe dovuto condurre all’approvazione dei relativi atti di attuazione, in parte per scendere a patti con una certa resistenza al cambiamento manifestata non solo dalle stazioni appaltanti ma anche degli operatori economici, in parte per tenere (tardivamente e non sempre fedelmente) conto delle osservazioni fatte dal Consiglio di Stato già in occasione del parere fornito sul testo originario del Codice.

Il cammino del decreto correttivo non è stato privo di colpi di scena – come, ad esempio, la lettera inviata dalla Commissione Europea al Governo italiano a seguito dell’esposto presentato dall’ANCE sulla disciplina dei subappalti – ed ha visto il rapido susseguirsi di schemi diversi del provvedimento di fine-tuning che hanno fatto, di volta in volta, esultare e disperare gli stakeholders per modifiche date ormai per certe, ma che alla fine non sono state incluse nella stesura definitiva che, di contro, ha visto comparire emendamenti del tutto inattesi (come il dibattuto ridimensionamento dei poteri ANAC, con l’eliminazione dell’altrettanto discusso potere di raccomandazione vincolante).

Delle 441 modifiche apportate ad un Codice di soli 220 articoli, alcune si riducono a mere correzioni, eliminazione di refusi ed errati riferimenti sfuggiti all’errata corrige già pubblicato a luglio scorso, altre sono destinate ad avere un’efficacia soltanto transitoria, altre cambiano profondamente alcuni aspetti, anche cruciali, della riforma, condizionano i provvedimenti attuativi in corso di adozione ed impongono il ripensamento di alcuni di quelli già adottati.

Certamente si avverte una profonda esigenza di cambiamento e, sotto alcuni profili, si ha la sensazione che il correttivo sia parte di un processo di tâtonnement, probabilmente inevitabile quando si affrontano riforme significative, nel quale ricompaiono anche norme già introdotte e poi eliminate nell’ambito del codice previgente, delle quali si cerca oggi una formulazione più efficiente e finalmente efficace.

Un nuovo modello di procurement pubblico è possibile?

Forse dovremmo dire che un nuovo modello di procurement pubblico è inevitabile.

Se è vero quello che le nuove direttive europee hanno – per la prima volta – apertamente suggerito e, cioè, che la leva dei contratti pubblici non è soltanto un mezzo attraverso il quale garantire quei risparmi di spesa che non sembrano mai sufficienti, ma anche uno straordinario volano per la crescita economica del vecchio continente, è anche vero l’esatto contrario. Una leva così cruciale maldestramente manovrata non solo non darà alla nostra economia quell’auspicato impulso per innescare la ripresa, ma contribuirà attivamente (e il sospetto che già lo abbia fatto è piuttosto consistente) ad alimentare la spirale recessiva.

Un nuovo modello di procurement pubblico significa non soltanto nuovi strumenti, nuove procedure, ma anche e soprattutto un nuovo approccio e un nuovo modo di pensare i processi di approvvigionamento, di ottimizzarne e semplificarne l’andamento, rendendoli più efficaci, trasparenti ed efficienti.

In quest’ottica, la mente corre subito al digitale. Se tutti – o quasi – gli ambiti e le attività della vita comune sono stati radicalmente trasformati dalle tecnologie digitali e resi da queste più semplici, efficienti, inclusivi, perché non dovrebbe essere il digitale la chiave di volta che consente la rivoluzione tanto auspicata nel settore del procurement pubblico?

L’introduzione delle tecnologie digitali nei processi di approvvigionamento pubblico, però, è per molti versi meno semplice di quanto potrebbe sembrare. La strutturale resistenza ai cambiamenti, la mancanza di una strategia unitaria e di una effettiva interoperabilità dei sistemi hanno sinora contribuito a frenare quell’evoluzione naturale verso le nuove tecnologie che sembra guidare prepotentemente lo sviluppo negli altri settori.

Per un nuovo modello di procurement pubblico occorre, quindi, una potente sinergia tra disposizioni normative, provvedimenti attuativi di regolamentazione flessibile, infrastrutture materiali e immateriali, conoscenza degli strumenti disponibili, capacità di programmazione, disponibilità al cambiamento. Nessun fattore, da solo, è in grado di generare un reale cambiamento ma tutti i fattori sono essenziali e non possono essere trascurati.

Per chi vuole approfondire questi temi, a FORUM PA 2017 sono in programma due appuntamenti:

  • 23 maggio ore 15:00-18:00 il convegno “Un nuovo modello di procurement pubblico è possibile? Come gestire attraverso il digitale procedure di acquisto pubbliche trasparenti ed efficienti”. Programma e iscrizioni
  • 24 maggio ore 16:00-16:50 l’Academy “Codice degli Appalti. Correttivo: come orientarsi?”. Programma e iscrizioni

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