Le Linee Guida Anac per la trasparenza degli incarichi ex art. 14: un primo commento

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È stato pubblicato lo scorso 20 dicembre, in consultazione fino al 12 gennaio, lo schema di Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013 “Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali”, come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016

12 Gennaio 2017

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Morena Ragone* e Vitalba Azzollini**

Le istruzioni operative relative all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 erano state tenute fuori dallo schema relativo ai generali obblighi di pubblicazione, in considerazione delle numerose precisazioni che l’articolo citato richiedeva: come rileva Anac, “le disposizioni dell’art. 14 rivestono un particolare rilievo, tenuto conto dell’intento perseguito dal legislatore di rafforzare il regime di trasparenza”. Anac evidenzia il “rafforzamento” della trasparenza operata, ma sarebbe stato più corretto che, invece, ne avesse rilevato l’ampliamento, considerato che i due concetti non sono sempre coincidenti. Infatti, per alcuni motivi di seguito esposti, se pure vi è una più estesa trasparenza sotto il profilo soggettivo, sotto quello oggettivo talora essa manca o non è realizzata compiutamente.

Allargato il novero dei soggetti interessati, con l’evidente finalità di rendere conoscibili le informazioni specificate dalla norma con riferimento a tutte le figure che, a vario titolo, ricoprono ruoli di vertice a cui sono attribuite competenze di indirizzo generale, politico-amministrativo o di gestione e di amministrazione attiva, si è ritenuto necessario farne una separata ricognizione.

Come già per le Linee guida precedentemente elaborate, Anac chiede alle amministrazioni destinatarie della normativa una valutazione “caso per caso”, questa volta finalizzata all’individuazione dei titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo, vista l’eterogeneità di strutture organizzative cui la norma si riferisce e le differenze sostanziali tra ente ed ente. Non solo: considerata la diversa possibile articolazione delle competenze all’interno delle differenti tipologie di enti, occorre anche considerare l’esistenza – e, quindi, individuarli – degli organi nei quali tendono a concentrarsi competenze, al di là della denominazione degli stessi.

Due modifiche emergono tra tutte: 1) la previsione dei dirigenti e delle posizioni apicali – con specifiche deleghe di funzioni dirigenziali – quali soggetti passivi di cui all’art. 14; 2) l’assoggettamento alla disciplina anche dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.

Nel primo caso, l’estensione vale a ricomprendere nell’orbita del “controllo sociale” anche i soggetti titolari di specifico potere decisionale gestionale – quindi dirigenti, in primis, ma anche tutti i funzionari apicali delle amministrazioni, come posizioni organizzative e alte professionalità, ma – in questo caso – solo se delegati di specifiche funzioni dirigenziali.

Nel secondo caso, anche in tale contesto, Anac non manca di sottolineare come le caratteristiche dimensionali degli enti non siano necessariamente un presupposto per la non applicabilità della normativa. Anche in occasione delle Linee guida in esame, Anac non risparmia uno specifico cenno agli ordini professionali – per i quali le Linee Guida costituiscono indicazioni di indirizzo – non ritenendosi sussistenti ragioni di incompatibilità delle disposizioni in argomento con l’organizzazione di tali soggetti”.

Se il primo comma, estensioni menzionate a parte, resta sostanzialmente invariato, qualche dubbio, invece, desta la precisazione relativa alla predisposizione di ulteriori, future Linee guida per “gli altri soggetti indicati nell’art. 2-bis, c. 2 del d.lgs. 33/2013 ovvero enti pubblici economici, società in controllo pubblico, associazioni, fondazioni, enti di diritto privato, sarà trattata in distinte Linee guida”. Tale precisazione sembrerebbe anticipare l’introduzione di un differente regime per tali soggetti, che andrebbe tuttavia al di là del tenore letterale della norma, che non prevede esclusioni di sorta. Restiamo in attesa, quindi, della prossima produzione di soft law da parte dell’Autorità di Cantone.

Suscita qualche dubbio la specificazione, contenuta nelle Linee guida in esame, in merito agli incarichi dirigenziali di cui al comma 1-bis dell’art. 14, che a parere dell’Autorità ricomprendono anche quelli conferiti, tra le altre cose, per l’espletamento di funzioni di consulenza e studio. Ci si chiede come tale precisazione possa conciliarsi con il disposto del successivo art. 15, il quale tratta proprio di incarichi di collaborazione o consulenza“, prevedendo un regime diverso con riguardo alle informazioni da divulgare e includendo anche quelli a titolo gratuito, a differenza di quanto prescrive l’art. 14: se il riferimento è al diverso profilo giuridico del rapporto di lavoro, non era forse il caso di esplicitarlo? Ci si augura che nella versione definitiva delle Linee guida il dubbio venga sciolto e l’incongruenza rilevata venga eventualmente sanata.

Se pure è ineccepibile l’intento del legislatore di ampliare i confini della trasparenza, cui si accennava inizialmente, tuttavia una circostanza lascia perplessi: incarichi dirigenziali conferiti fiduciariamente – cioè senza procedure pubbliche di selezione – dall’organo di indirizzo politico, dunque transitori per definizione e, al contempo, maggiormente oggetto di pubblico interesse rispetto a incarichi, per così dire, ordinari, vengono trattati dalla legge in maniera paritetica rispetto a quelli di soggetti in posizioni dirigenziali incardinati stabilmente nella pubblica amministrazione. Anche in questo caso, ci si sarebbe aspettati che l’Anac intervenisse – almeno a titolo di moral suasion – rimarcando la differenza e l’importanza degli adempimenti relativi ai primi, al fine di consentire alla collettività un più consapevole giudizio della cosa pubblica”, di cui la politica e quanto da essa promana costituisce elemento essenziale. Hanno di certo natura più delicata e necessitano di più attenta valutazione incarichi conferiti a specifiche professionalità prescelte senza alcuna procedura di pubblica evidenza, che quelli esercitati da soggetti vincitori di concorsi.

Il comma 1-quinquies dell’art. 14 estende l’obbligo di pubblicazione dei dati, delle informazioni e delle dichiarazioni di cui al c. 1, lett. da a) ad f) anche ai titolari di posizioni organizzative. In particolare, l’Anac si premura di precisare che nelle Agenzie fiscali sono sottoposti all’obbligo sopra indicato i funzionari ai quali i dirigenti, per esigenze di funzionalità operativa, delegano le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale e i connessi poteri di adozione di atti. Appare evidente il riferimento dell’Autorità alla recente e controversa vicenda riguardante l’Agenzia delle Entrate: nel febbraio 2015, la Corte Costituzionale – con la sentenza n. 37/2015 – ha dichiarato illegittimi gli incarichi di 767 dirigenti dell’Agenzia, tutti a termine e tutti rinnovati più volte nel corso degli anni, perché conferiti senza la necessaria procedura concorsuale; dopo la sentenza, quei dirigenti sono stati retrocessi al ruolo di funzionari. Nelle more della regolarizzazione della loro posizione, sono state conferite loro delle deleghe a operare nel ruolo superiore, quello cioè rivestito fino al momento della retrocessione. Il recente d.l. n. 193/2016 (convertito con l. n. 225/2016) ha prorogato al 30 settembre 2017 le deleghe di funzioni dirigenziali attribuite presso l’Agenzia delle Entrate, in attesa del concorso. Nella confusione che c’è al momento sulla situazione descritta, almeno l’Anac mette un punto fermo sotto il profilo della trasparenza degli incarichi dirigenziali in questione.

Uno dei punti nodali dell’intera riforma, e certo tra i più contestati, è la non rilevanza – ai fini dell’attuazione degli obblighi cui i titolari di incarichi politici sono tenuti – della eventuale gratuità della carica: Anac sottolinea “il chiaro disposto normativo”, con la deroga contemplata nel comma 1-bis dell’art. 14 per gli incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo. Come già sottolineato in nostri precedenti scritti, un attacco di miopia governativa ha, di fatto, introdotto una disparità di trattamento rispetto a quanto disposto dal successivo art. 15 per i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza, per i quali il tenore dell’articolo vuole una comunicazione anche in assenza di compenso, con conseguenze relative in caso di omissione, ovviamente.

La ratio della norma appare davvero opaca: non c’è motivo alcuno per tenere distinte le due fattispecie, dal momento che soprattutto gli incarichi che ricadono sotto l’art. 14, per la delicatezza delle funzioni esercitate, dovrebbero essere conosciuti. È di tutta evidenza, infatti, come la retribuzione sia solo uno dei “benefit” sui quali può contare il titolare di uno degli incarichi suddetti: sarebbe quantomeno opportuno che la trasparenza proattiva investisse pure loro, dal momento che, nella maggior parte dei casi, è su di essa che fa affidamento il cittadino, spesso inconsapevole dei propri diritti. La negazione della trasparenza nelle ipotesi in discorso sembra essere fondata sul convincimento che la gratuità degli incarichi conferiti esenti il potere pubblico dal rendere conto circa la scelta di soggetti che potrebbero concorrere a decisioni, anche di spesa, riguardanti la collettività: ciò rende ancor più rimarcabile la cortina fumogena da cui detti incarichi resteranno avvolti in forza del disposto della legge e delle considerazioni dell’Anac a suo supporto.

A limitare la portata della deroga sta la precisazione dell’Anac secondo cui la stessa “è da intendersi applicabile esclusivamente alle ipotesi in cui la gratuità sia prevista da disposizioni normative e statutarie che regolano l’organizzazione e l’attività delle amministrazioni e degli enti”. Non rileva, quindi, una eventuale rinuncia al compenso – a fini elusivi della normativa, evidentemente – qualora la tipologia di incarico sia normalmente retribuita. Tuttavia, si resta perplessi circa il fatto che l’ANAC non sia intervenuta più incisivamente a limitare la portata della norma suddetta, considerato che negli ultimi anni certe “parti correlate” col potere, ma avvolte da un’opacità variamente legittimata, hanno prodotto danni rilevanti per la collettività. Peraltro, è del tutto evidente che la mancanza del “vil denaro” non è garanzia dell’assenza di altre contropartite, la cui corresponsione potrebbe essere favorita proprio dall’assenza di trasparenza: sarebbe stato forse opportuno che l’Autorità preposta alla lotta contro la corruzione ne tenesse conto, provvedendo a correggere – nei confini della delega conferitale, ovviamente – la disposizione del governo.

Particolare perplessità desta anche il silenzio dell’Anac circa la disposizione in forza della quale “negli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e nei relativi contratti sono riportati gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico. Il mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi determina responsabilità dirigenziale ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Del mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi si tiene conto ai fini del conferimento di successivi incarichi”.
Nella prima parte della disposizione si sancisce il già richiamato concetto di controllo sociale sugli “obiettivi di trasparenza” – espressione oltremodo sintetica e non agevole da sostanziare in maniera puntuale – in conformità al fine ultimo del decreto c.d. Foia, vale a dire quello di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 1). Il paradosso è dato dal fatto che la norma non è tale da chiudere il cerchio di una compiuta trasparenza: alla previsione che i dati pubblicati debbano essere immediatamente comprensibili/consultabili dal cittadino non ne corrisponde un’altra che, pariteticamente, preveda un riscontro da parte del cittadino stesso circa la rispondenza delle informazioni divulgate alle caratteristiche normativamente prescritte. In sintesi, si sancisce che i dati e le notizie debbano essere rese in modo tale da consentire una consapevole conoscenza, non si chiarisce come ciò possa essere verificato, ma dal mancato conseguimento dell’obiettivo si fanno scaturire conseguenze gravi in relazione alla carriera del dirigente interessato. Dunque, considerato che il mancato raggiungimento degli obiettivi di trasparenza dà luogo a responsabilità dirigenziale, ma che nulla si dispone sui modi in cui ciò possa essere accertato dall’amministrazione di riferimento – nello specifico mediante le osservazioni della cittadinanza cui la trasparenza è indirizzata – la previsione sembra razionalmente monca e la norma giuridicamente traballante. Ma Anac tace al riguardo, ed è un peccato. Se la rivoluzione della riforma Madia sulla responsabilità dirigenziale dovrebbe essere quella di fissare obiettivi chiari e misurabili ex ante, nonché verificabili ex post puntualmente, appare evidente che la norma citata non è funzionale a che ciò accada.

La violazione degli obblighi di trasparenza comporta specifiche sanzioni, sia per i soggetti titolari dei dati (art. 47, comma 1), sia per i responsabili della pubblicazione (art. 47, comma 1-bis). Si tratta di sanzioni di entità pressoché irrilevante, che stenteranno a essere percepite come un effettivo deterrente.

Alcune considerazioni sono necessarie anche in merito alla tempistica: Anac precisa che per i soggetti già ricompresi nell’ambito di applicazione del previgente art. 14 è “ragionevole” che la pubblicazione continui a essere effettuata alle usuali scadenze; in tali ipotesi, gli adeguamenti previsti – titolari di incarichi di amministrazione, di direzione o di governo che svolgono le funzioni a titolo gratuito – entrano (rectius: sono entrati) in vigore dal 23 dicembre 2016, rendendo non richiesta la pubblicazione dei dati in questione.

Tuttavia, Anac precisa che, per i nuovi soggetti e le ulteriori amministrazioni che sono tenuti per la prima volta alla pubblicazione dei dati richiesti dalla norma – dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative con deleghe o funzioni dirigenziali, comuni sotto i 15.000 abitanti – le PA dovranno fornire indicazioni chiare, e che comunque per essi si terrà conto in carica o cessati dal 1° gennaio 2017, con obbligo, quindi, di pubblicazione entro il 31 marzo 2017 di tutti i dati richiesti dal nuovo art. 14. Unica eccezione, le dichiarazioni reddituali previste alla lett. f), per le quali vale l’ordinario termine del mese successivo alla scadenza del termine utile per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Stranamente, in questa mole di legittimi controlli, l’obbligo relativo all’attestazione della situazione patrimoniale e reddituale del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado vige solo “ove gli stessi vi consentano”, ed è posto in capo ai titolari di incarichi destinatari degli obblighi dell’art. 14. I casi di mancato consenso vanno – almeno questi – dichiarati con evidenza da parte dell’amministrazione sul proprio sito istituzionale e, in tali casi, va, inoltre, indicato il legame di parentela con il titolare dell’incarico: data la formulazione della norma, può forse dubitarsi che i casi di mancato consenso saranno molti? Peccato che i regolatori non imparino dall’esperienza già maturata in tema di trasparenza.

*Giurista, Stati Generali dell’Innovazione
**Giurista, lavora in un’autorità di vigilanza (esprime opinioni a titolo esclusivamente personale)

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