Non solo Big Society. L’ora della sussidiarietà in Italia

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Elemento centrale nella declinazione italiana di anglofoni modelli emergenti – dall’open government alla big society alla social innovation – la sussidiarietà ha celebrato lo scorso 18 ottobre i suoi primi 10 anni in Costituzione. Un compleanno importante in un contesto difficilissimo per il nostro Paese. Nel discorso pubblico che fa da sfondo a questa crisi la sussidiarietà è entrata di prepotenza, ma nel Paese reale chi la conosce? E chi la fa? Gregorio Arena, professore di Diritto Amministrativo all’Università di Trento e presidente Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà ci aiuta a scoprire un principio avanguardistico di amministrazione partecipata per la cura dei beni comuni.

7 Novembre 2011

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Chiara Buongiovanni

Elemento centrale nella declinazione italiana di anglofoni modelli emergenti – dall’open government alla big society alla social innovation – la sussidiarietà ha celebrato lo scorso 18 ottobre i suoi primi 10 anni in Costituzione. Un compleanno importante in un contesto difficilissimo per il nostro Paese. Nel discorso pubblico che fa da sfondo a questa crisi la sussidiarietà è entrata di prepotenza, ma nel Paese reale chi la conosce? E chi la fa? Gregorio Arena, professore di Diritto Amministrativo all’Università di Trento e presidente Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà ci aiuta a scoprire un principio avanguardistico di amministrazione partecipata per la cura dei beni comuni.

La sussidiarietà, questa sconosciuta?
Iniziamo dalle presentazioni non ufficiali.
L’art. 118, comma 4, inserito nella Costituzione italiana con la riforma del Titolo V attraverso la Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 stabilisce che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Con il principio di “sussidiarietà orizzontale” così sancito si è introdotta, in cima alla gerarchia delle fonti, una profondissima innovazione giuridica e istituzionale. Ma non molti ne hanno colto la portata, complice un termine troppo intriso della freddezza per non dire poca accessibilià dell’universo terminologico a cui il nostro ordinamento giuridico ama attingere. Se, come sembra, è arrivata “l’ora della sussidiarietà” sarà ora il caso di capire concretamente di che si tratta e perché la sua applicazione segna una discontinuità fortissima con il modello di amministrazione a cui per decenni siamo stati socializzati.  
Per questo la prima domanda che abbiamo fatto a Gregorio Arena è “in parole povere cosa è la sussidiarietà e cosa dice a riguardo l’art. 118?” Lui ha risposto così: “La sussidiarietà è un principio che instaura una relazione. Si tratta di una relazione tra i cittadini che coltivano l’interesse generale e le pubbliche amministrazioni che, in tal caso, devono sostenerli”. Il modello è semplice. “I cittadini che si attivano diventano per le amministrazioni degli alleati e tra alleati ci si sostiene. L’obiettivo dell’alleanza tra i cittadini e l’amministrazione è la cura dei beni comuni, l’avversario comune è la complessità della società in cui viviamo”.

Perché la cura dei beni comuni dovrebbe essere un obiettivo comune?
"Per l’amministrazione pubblica la cura dei beni comuni è un modo di realizzare la propria missione di perseguire l’interesse generale e lavorare per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, mentre per i cittadini è sempre più chiaro che, se si vuole mantenere un livello di vita proprio di un paese civile, non basta prendersi cura dei propri beni privati ma bisogna prendersi cura anche di quelli comuni”.  
Quali beni  sono “comuni”?  "Sono comuni quei beni diffusi di cui tutti possiamo usufruire e che, proprio per questo, sono soggetti a un degrado molto accelerato. Pensiamo, ad esempio, ad ambiente, acqua, aria, legalità, beni culturali, infrastrutture, beni che usiamo tutti. La questione è semplice: se nessuno si preoccupa di ricostituirli, poi come faremo?”.

“Nessuno si può tirare indietro” Una domanda viene un po’ spontanea. Ma i cittadini sono pronti ad allearsi con le pubbliche amministrazioni, spesso percepite come la black-box dove finiscono i soldi delle loro tasse, pagate il più delle volte malvolentieri? 
“La comunicazione su questo punto – spiega Arena – è fondamentale ma per niente semplice. Richiede infatti un rapporto di fiducia e una buona dose di affidabilità e autorevolezza da parte dell’amministrazione, perché i cittadini, soprattutto in un tempo di crisi come l’attuale, davanti a un Comune che propone di collaborare possono legittimamente rispondere che il proprio contributo passa già attraverso il pagamento delle tasse. Ed è un’obiezione perfettamente fondata". Dunque, quale è la risposta? “La risposta ad una obiezione di questo tipo non è legata al fatto che non ci sono i soldi. Il punto è un altro: la scuola, come il parco e mille altre cose sono anche di ciascun cittadino e, se vogliamo che la loro qualità rimanga quella a cui siamo abituati o migliori, bisogna che tutti quanti ci diamo da fare. Questa è la verità: nessuno si può tirare indietro. E’ un fatto di solidarietà, di responsabilità, di democrazia".

Per approfondimenti sul tema "sussidiarietà e beni comuni" visita la sezione Editoriali di Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà

Art. 118, geometrie di sussidiarietà per amministrazioni vicine ai cittadini
Torniamo alla sussidiarietà orizzontale che, non a caso, nella nostra Costituzione è “caduta” nell’art. 118. “Esiste – ci spiega infatti Arena – un nesso molto forte tra la sussidiarietà verticale del primo comma dell’art. 118 e quella orizzontale del quarto. E direi che il motivo è molto pratico. Se consideriamo le amministrazioni come interlocutrici dei cittadini, come naturalmente avviene nelle iniziative di sussidiarietà orizzontale, bisogna che gli siano vicine. La sussidiarietà verticale, collocando tutta una serie di funzioni a livello più vicino ai cittadini, facilita da un lato l’alleanza tra cittadini e amministrazioni, dall’altro il controllo da parte dei cittadini, in quanto elettori diretti”.

Non solo Big Society. La sussidiarietà torna in auge in Italia proprio quando si prospetta il collasso del nostro stato sociale, così come il modello della Big Society di Cameron è emerso nel Regno Unito per contrastare la crisi del welfare. I due modelli sono assimilabili?
"Il discorso è complesso, ma sintetizzando mi sentirei di dire che il punto comune più evidente è l’empowerment di comunità e cittadini . Sulla Big Society l’impressione è che, dopo un iniziale innamoramento dell’opinione pubblica, la sua realizzazione stia lasciando diversi analisti perplessi, come se la volontà dichiarata di rendere la società più importante e autorevole, di fatto, si stia traducendo in uno smantellamento dei servizi pubblici. La differenza sostanziale tra il modello della “nostra” sussidiarietà e la Big Society inglese è in questo: i cittadini inglesi si sono visti di fatto smantellare i servizi e accollare dallo Stato stesso delle funzioni, mansioni, compiti, senza che fosse stata vagliata la loro disponibilità a prendersene carico. La Costituzione italiana ha un approccio molto più rispettoso dei cittadini, perché nell’articolo 118 si parla di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini. Si suppone cioè che i cittadini si attivino autonomamente e che, a quel punto, le amministrazioni li sostengano. Non c’è un ritrarsi delle istituzioni con corrispettivo caricamento di responsabilità sui cittadini.  Per questo dico sempre che con il 118 i cittadini diventano soggetti attivi della Costituzione, perché se loro non si attivano questo principio non si realizza”.

Cosa fa un’amministrazione per favorire i cittadini attivi ?
Innanzitutto – sottolinea Arena – favorire non è un semplice lasciar fare, ma c’è a sua volta un ruolo attivo da parte dell’amministrazione. Sostanzialmente ci sono tre cose da fare. La prima è informare i cittadini, perché la stragrande maggioranza degli italiani non ha idea del fatto che potrebbe, volendo, diventare un soggetto attivo nella cura dei beni comuni. La seconda è formare i dipendenti pubblici, perché la stragrande maggioranza non concepisce che i cittadini possano essere loro alleati. La terza è stimolare l’emergere delle capacità dei cittadini. Soprattutto a livello locale, le amministrazioni dovrebbero avere la funzione di imprenditori di risorse civiche

Cosa succede dentro l’amministrazione che favorisce i cittadini attivi?
“Oltre a formare il personale le amministrazioni devono organizzarsi per facilitare il rapporto con i cittadini.” Spieghiamolo meglio. “Se un gruppo di cittadini vuole attivarsi per prendersi cura di un bene comune presente sul territorio di un Comune deve poter individuare facilmente l’interlocutore all’interno dell’amministrazione. Si può chiamare Ufficio per la cura dei beni comuni piuttosto che Ufficio per la sussidiarietà, ma è importante che abbia autorevolezza politica all’interno dell’amministrazione”. “Non possiamo dimenticare – continua – che le amministrazioni sono abituate da 200 anni ad amministrare per conto dei cittadini e non insieme con i cittadini e non possiamo in poco tempo cambiare mentalità e cultura se non mettiamo in atto una serie di interventi che vanno nella direzione verso cui vogliamo muovere. Perché la sussidiarietà prenda davvero piede bisogna cercare di capire anche il punto di vista di chi sta nelle amministrazioni pubbliche”.  Infine, ma non in ultimo, Arena insiste sulla necessità di attrezzarsi sul piano delle procedure amministrative. "Come inserire in bilancio la voce dedicata al favorire i cittadini attivi? oppure come si fa una delibera in cui si dice che il comune mette a disposizione dei cittadini  gli attrezzi per sistemare un giardino pubblico?  Sono queste le domande che le amministrazioni mi fanno in giro per l’Italia e non sono solo tecnicalità, ma elementi chiave per il successo di un nuovo modo di amministrare orientato alla sussidiarietà, quello che già nel 1997 avevo chiamato amministrazione condivisa.

Fuori dalla Costituzione, come sta la sussidiarietà in Italia?
"Il bilancio non è molto positivo dal punto di vista della diffusione e della conoscenza del principio e di conseguenza anche le applicazioni consapevoli non sono state molte in questi 10 anni. Però l’interesse degli amministratori, soprattutto dei piccoli comuni è notevole. Una cosa che ancora manca è la messa in rete delle migliaia di piccole esperienze. Questa carenza da un lato fa sì che si riscopra ogni volta la ruota con spreco di energia e tempo, dall’altro impedisce che si crei un movimento, un interlocutore collettivo. Detto questo, non c’è da scoraggiarsi perché sappiamo che i tempi di mutamento delle amministrazioni si calcolano su base di decine di anni. Un dato confermato da questi primi 10 anni di sussidiarietà è che le amministrazioni italiane più interessate alla sua applicazione sono quelle locali, Comuni in testa".

Cosa augurerebbe all’art .118 per il suo decimo compleanno?
Gli augurerei di diventare popolare e conosciuto come il numero telefonico 118… ma per opposti motivi! Augurerei alla sussidiarietà di diventare un termine familiare, conosciuto da tutti e che le persone sappiano usare con dimestichezza. Che diventi qualcosa di cui si possa parlare a tavola senza essere guardati con perplessità e/o sconcerto…che diventi un amico, qualcuno con cui ci si confronta con frequenza e piacere”.

Guarda l’intervista a due voci a Graziano Delrio e Teresa Petrangolini "Chi la fa e chi la favorisce. Cittadinanza attiva a due voci"

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