Primi effetti della Riforma della PA, ma nel lavoro pubblico ancora nessuna rivoluzione

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Primi segnali di cambio di rotta nella lotta all’assenteismo: calo del 10,6% nei giorni di malattia, già 40 licenziamenti disciplinari. Inizia l’introduzione dello Smart Working. Ma serve tempo per vedere nei numeri gli impatti diretti delle riforme. La PA italiana resta anziana, sottodimensionata, poco qualificata, a un passo dalla pensione: 3,2 milioni di dipendenti, età media 50 anni, 25.000 precari in più, calo della spesa a 160 miliardi di euro. Al nuovo Governo il compito di completare il processo di riforma. Sono i risultati dell’indagine sul lavoro pubblico realizzata da FPA e presentata questa mattina al convegno di apertura di FORUM PA 2018, che si è aperto con la lectio magistralis di Stephen Goldsmith

22 Maggio 2018

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Redazione FPA

Si notano i primi effetti della linea dura sull’assenteismo, con una riduzione del 10,6% in un anno dei giorni di malattia[1] e la diminuzione dei certificati medici (da 7 ogni 10 lavoratori del 2016 ai 6 certificati ogni 10 del 2017) soprattutto per il calo delle assenze brevi di un giorno, mentre si riduce di 4 punti percentuali la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia sul totale (dal 33% del 2016 al 29% del 2017). Sono già 40 i licenziamenti disciplinari avviati ai sensi della nuova norma introdotta con la riforma Madia, considerando che nel 2017 complessivamente nella PA sono stati licenziate 324 persone, il 62,8% in più rispetto 5 anni prima, di cui quasi metà per assenze. Inizia a farsi strada il lavoro agile: già 4210 dipendenti pubblici operano in telelavoro (800 in più in un anno), per lo più negli enti locali, e oggi il 5% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di Smart Working, un altro 4% lo pratica informalmente e quasi il 48% è interessata a una prossima introduzione [2].

Ecco le prime tracce della riforma Madia sulla Pubblica Amministrazione, i cui impatti hanno ancora bisogno di tempo per diventare visibili. Ma al momento nei dati del pubblico impiego non c’è alcuna rivoluzione. I dipendenti pubblici italiani sono 3,2 milioni [3], ancora in calo perché gli effetti dei piani di assunzione inizieranno a dispiegare i loro effetti solo nel 2018, con 246 mila persone uscite e non rimpiazzate dal 2008. Oggi la PA italiana può contare su 70% in meno di dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia. Pochi i volti nuovi, con appena 64 mila “nuovi dipendenti pubblici”, mentre aumentano i precari, che raggiungono quota 314mila, 25.000 in più rispetto al 2015, su cui ancora non si vedono gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione. Un personale vecchio – età media di 50,34 anni che cresce di 6 mesi ogni anno, oltre 450.000 over 60 -, per il 62% costituito da diplomati, che fa sempre meno formazione (6/7 ore di media ogni anno). Lo stipendio medio è di 34.500 euro, sostanzialmente lo stesso dal 2009, con molte differenze tra i comparti, dai 138 mila euro della magistratura ai 28,4 mila del personale della scuola. Ma la spesa per la collettività è sempre di meno: ammonta a 160 miliardi di euro il costo per tutto il personale della PA, 10 miliardi in meno rispetto al 2009, un risparmio che porta l’Italia in linea con i principali Paesi europei. E ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 euro l’anno.

Sono i risultati dell’indagine sul lavoro pubblico presentata questa mattina da FPA al convegno di apertura di FORUM PA 2018, che si è aperto con la lectio magistralis di Stephen Goldsmith. Il Direttore del Programma di innovazione delle Amministrazioni presso la Harvard University Kennedy School of Government ha presentato la sua visione di “governo con la rete”, per una PA che deve aprirsi alla collaborazione con soggetti pubblici, privati e non-profit. “La PA italiana si trova oggi sull’orlo del cambiamento possibile – commenta Carlo Mochi Sismondi Presidente di FPA -: l’ultima stagione di riforma ha posto le basi per ridefinire i tratti e il profilo della PA, ma al momento, almeno stando alle ultime rilevazioni disponibili, non si sono modificati i dati strutturali relativi al pubblico impiego: il numero dei dipendenti e la spesa per redditi di lavoro si riducono, anche se meno velocemente del passato, sono stazionarie le condizioni di invecchiamento, i divari retributivi le condizioni di precariato di migliaia di persone che lavorano nel pubblico. È ancora irrisorio l’investimento in formazione, pochissime sono le “facce nuove” e permangono gli interrogativi sulla tenuta strutturale del sistema del pubblico impiego alle sfide del cambiamento e alla crescita dei fabbisogni di cittadinanza e imprese”. “All’Italia serve oggi una PA diversa in grado di ‘governare con la rete’, ossia uscire dal palazzo e interagire con i diversi soggetti attraverso una governance collaborativa – prosegue Moschi Sismondi. – Servono profili diversi, in grado di adattarsi al cambiamento e alla trasformazione digitale in atto. Ora tocca al futuro Governo proseguire la strada della riforma, non con nuove leggi, ma applicando quelle che ci sono e senza perdere quanto di buono è stato impostato in questi anni. Non ci serve una nuova riforma da chiamare con il nome di un nuovo ministro, ma cura, accompagnamento e formazione. Non è più tempo di norme: comincia il tempo dei manuali e delle cassette degli attrezzi”.

I DATI NEL DETTAGLIO
QUANTI SONO I DIPENDENTI PUBBLICI?
Nel 2016 sono 3.247.764 gli occupati nelle amministrazioni pubbliche nel 2016, la contrazione complessiva dal 2008 è del 7,2%: 246.187 persone sono uscite dalla PA e non sono state rimpiazzate. Seppure si debba ancora attendere un paio d’anni per vedere gli effetti dei piani di assunzione che vedono nel 2018 l’anno dello sblocco per molte amministrazioni pubbliche, già dai dati 2016 si osserva un deciso rallentamento del calo dei dipendenti pubblici (-0,3 rispetto all’anno precedente).

Confronto UE. La PA italiana ha il 70% in meno dei dipendenti rispetto alla Germania, il 65% rispetto all’Inghilterra e il 60% della Francia, appena il 10% in più della Spagna.

Usciti dalla PA. Al netto di coloro che sono passati ad altre amministrazioni, nel 2016 sono usciti dalla PA circa 100.000 persone, di queste: 19.000 avevano raggiunto i limiti di età, 21.000 avevano i requisiti per andare in pensione anticipatamente e 33.000 hanno dato le dimissioni avendo comunque maturato il diritto alla pensione; gli altri sono contratti a termine arrivati a conclusione, dimissioni o in piccolissima parte licenziamenti.

I volti nuovi della PA. Sono poco meno di 64 mila i “nuovi dipendenti pubblici” nel 2016: i nominati per concorso sono 61.557 (oltre 24 mila nella scuola e il resto in forze armate, corpi di polizia SSN e autonomie locali), ci sono poi quelli assunti per chiamata numerica o diretta nelle categorie protette (958), e coloro che entrano con assunzioni a tempo determinato e con collaborazioni coordinate e continuative (1229). A questi si aggiungono poi circa 9500 dirigenti assunti con contratto a tempo determinato anche se collocati in aspettativa presso altre amministrazioni, ma non rientrano nei volti nuovi, così come non vi rientrano i precari stabilizzati.

Politiche di stabilizzazione. Nei dati 2016 aumentano i precari ed ancora non è possibile vedere nei dati gli effetti delle recenti politiche di stabilizzazione, li vedremo dai dati 2018. Dal 2007 a oggi sono state stabilizzate 77.730 persone, ma nel 2016 sono appena 1.413 e quasi tutti nel Sistema Sanitario Nazionale e negli Enti locali.

I precari della PA. Nel conto annuale della Ragioneria dello Stato se ne contano complessivamente 314.239, 25.000 in più rispetto all’anno passato, con un’incidenza rispetto al tempo indeterminato del 10,4% (un rapporto 1/10), così suddivisi:

  • tempo determinato/formazione-lavoro: 85.029 (quasi tutti in SSN e Regioni e autonomie locali), 3.132 in più dal 2015
  • contratto di somministrazione (interinali): 12.882 (quasi tutti in SSN e Regioni e autonomie locali), 2912 in più dal 2015
  • lavori socialmente utili (LSU): 12.290 (quasi solo in Regioni e autonomie locali), 1800 in meno dal 2015
  • altro personale (supplenti scuola, direttori generali, contrattisti, volontari e allievi delle Forze Armate e dei Corpi di Polizia): 204.037 (concentrato esclusivamente nella scuola, nelle Forze Armate e nei corpi di polizia e negli istituti di formazione artistico museale), 20.711 in più dal 2015.
I co.co.co e i consulenti. Sono in tutto 120.076 così suddivisi:
  • contratti di collaborazione coordinate e continuative: 32.122 (quasi tutte all’università, SSN e enti ricerca) scese di oltre il 60% dal 2007 e del 15% dal 2015.
  • liberi professionisti: sono 87.954 (quasi tutte in Regioni e autonomie locali, università, ssn) rispetto al 2007 sono il 92% in più ed hanno assorbito a partire dal 2009, una larga parte di quelli che erano co.co.co.

COMPETENZE E FORMAZIONE
L’esercito dei diplomati. Il 62% dei dipendenti della PA ha al massimo un diploma di licenza media superiore, il 4,2% ha una laurea breve e, poco più di 1/3 (34%), ha la laurea o titoli superiori.
Si fa sempre meno formazione. Nel 2008 la media di giornate di formazione per ciascun dipendente era di 1,4, nel 2016 siamo arrivati a 0,9. 6/7 ore di formazione in un anno per rinnovare le competenze sono senza dubbio inadeguate.

L’INVECCHIAMENTO
L’età media dei dipendenti al 2016 è di 50,34 e cresce con una media di 6 mesi ogni anno. Oltre 450.000 sono over 60; poco più di 200.000 gli under 34. Le nuove assunzioni non riescono – ancora – a contrastare questo declino, sono troppo poche. Né tanto meno ci riescono le stabilizzazioni, anche queste poche e soprattutto non riguardano giovani ma precari di lungo corso.

QUANTO CI COSTANO?
Sempre meno. Dal 2014, spendiamo complessivamente poco meno di 160 miliardi di euro per tutto il personale della PA: 10 miliardi in meno rispetto al 2009. Un risparmio che porta la PA italiana in linea con i principali paesi europei: la Germania ne spende 236 miliardi, il Regno Unito 217 e la Francia addirittura 283; la Spagna con i suoi 121 è tra i paesi più vicini alla media EU 28 (129 miliardi).
Ciascun dipendente costa in media 49.000 euro l’anno, meno dei 50.000 dei colleghi francesi e tedeschi, ma più di quelli inglesi 43.000 e spagnoli 40.000.
Ciascun cittadino italiano spende per il lavoro dei dipendenti pubblici 2.632 € l’anno: 685 € per la scuola e 104 € per l’università, 638 € per la sanità, 313 € per regioni e enti locali, 110 € per l’apparato ministeriale. Per tutti gli altri servizi (sicurezza, ricerca, ecc.) restano 781 €, la ricerca ci costa 95 centesimi in un anno, meno di un caffè.

QUANTO GUADAGNANO?
34.500 euro è la retribuzione media dei dipendenti pubblici al 2016, sostanzialmente invariata dal 2009 con differenze sostanziali tra i comparti che vedono una retribuzione media di per la magistratura di 138 mila euro e di 28,4 mila per il personale della scuola e 29 per quello delle Regioni e delle autonomie locali. La media per chi lavora nel privato è di 28.600.
Il personale dirigente guadagna in media 103.000 €, ma anche per i dirigenti le differenze sono estremamente significative: al primo posto come retribuzione media troviamo i dirigenti delle Autorità indipendenti, come ANAC, AGCOM o CONSOB, con 158 mila euro di media, seguiti con 129 mila euro dai colleghi degli enti pubblici non economici, come l’Inps o l’Inail, e della Presidenza del Consiglio.



[1] Dati INPS 2016/2017
[2] Dati Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano 2017
[3] Dati Ragioneria dello Stato, 2016

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