Stratificazione anche di soft law, oltre che di hard law? Meglio evitare

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L’Italia, che fatica ad “osservare i patti” sarà capace di operare quell’adesione spontanea alle regole che la soft law presuppone, senza che nella politica, prima ancora che nella società civile, si operi un vero cambiamento culturale? Questo sospetto sorge nel caso delle “Linee Guida sulla consultazione pubblica” definite dal Dipartimento della Funzione Pubblica nell’ambito del Terzo Piano di Azione Nazionale Open Government Partnership

23 Febbraio 2017

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Morena Ragone* e Vitalba Azzollini**

È ormai noto come l’ipertrofia normativa abbia minato l’ordinamento nazionale. L’attivismo regolatorio, utile a certi governanti per dimostrare fattiva esistenza e lasciare una qualche traccia nella vorticosa girandola dei politici di turno, ha prodotto nel tempo stratificazioni e farraginosità normative, nonché conseguentemente complessità interpretative e applicative. Purtroppo, la sovrabbondante produzione di c.d. hard law ha cominciato ad estendersi anche alla c.d. soft law. Soft law è categoria in cui rientrano codici di autodisciplina, linee guida, standard operativi e best practice, codici di associazioni professionali e di categoria, provvedimenti di Autorità indipendenti, raccomandazioni, comunicazioni e atti di organismi sovranazionali, nonché ogni altro strumento contenente regole di condotta che, pur prive di forza legale vincolante, hanno la capacità di indirizzare i comportamenti dei destinatari. Nonostante la soft law comporti “costi” di produzione ed applicazione limitati, tuttavia il ricorso a essa deve essere giustificato dalla motivata esigenza di colmare lacune regolatorie: altrimenti si desta il sospetto che, come accennato con riguardo alle leggi, lo scopo sia solo ed esclusivamente quello di alimentare la visibilità mediatica dei soggetti proponenti, siano essi singoli esponenti politici o amministrazioni.

Questo sospetto sorge nel caso delle “Linee Guida sulla consultazione pubblica” definite dal Dipartimento della Funzione Pubblica nell’ambito del Terzo Piano di Azione Nazionale Open Government Partnership.

Il Dipartimento della funzione pubblica precisa di aver redatto la bozza di linee guida “nell’ottica di definire uno strumento a disposizione delle amministrazioni pubbliche che intendano prendere decisioni pubbliche coinvolgendo i cittadini, le imprese e le loro associazioni”, precisando che le indicazioni ivi contenute “sono ispirate alle raccomandazioni e alle migliori pratiche internazionali”.

Visto che il documento non le esplicita, può risultare utile una breve ricognizione delle fonti cui i redattori della bozza in consultazione intendono forse riferirsi: tra le altre, i principi forniti nel Libro bianco sulla governance della Commissione UE e in varie comunicazioni in materia di analisi di impatto, di semplificazione e di consultazione; alla pubblicazione Oecd “Citizens as Partners: information, consultation and public participation in policy-making”); le normative vigenti in altri paesi (ad esempio negli Usa l’Administrative Procedure Act (APA); nel Regno Unito il Code of Practice on Consultation; in Australia il Best practice regulation handbook); la nutrita sequenza di Executive Order statunitensi e, specificamente, l’Executive Order 12866 che prevede l’obbligo delle Agenzie federali di ricorrere a pubbliche consultazioni per favorire l’intervento degli interessati; l’Executive Order 13563, che ribadisce l’importanza del coinvolgimento dei cittadini e degli stakeholders ai fini dell’open government; l’Executive Order 12866 ai sensi del quale deve essere fornita una compiuta informazione sugli obiettivi della proposta di regolazione, nonché su ogni elemento necessario a definirla esaustivamente, così da consentire tra l’altro una partecipazione quanto più consapevole alle consultazioni; l’Executive Order 11821 che impone alle Agenzie di accompagnare le proprie proposte di legge con un rapporto (Inflation Impact Assessment) sugli effetti inflazionistici delle stesse; l’Executive Order 12291, che obbliga le Agenzie a realizzare un’analisi di impatto della regolazione per ogni testo da adottare – i benefici devono giustificarne i costi, specie per le proposte di legge “significative” (tra le altre, quelle che comportano spese pari o superiori a 100 milioni di dollari, secondo l’Unfunded Mandates Reform Act,1995) – affidando la valutazione all’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA).

Nell’ordinamento statunitense, ai sensi del richiamato APA, le Agenzie sono altresì obbligate a considerare e valutare le osservazioni pervenute nel corso delle consultazioni, a registrarle e a renderle note attraverso un apposito archivio, che costituisce il data-base ufficiale di riferimento; a seguito della pubblicazione della norma finale, l’Agenzia è tenuta a spiegare, con parere motivato, in quale misura ha tenuto conto dei commenti provenienti dal pubblico durante le consultazioni; infine, dopo la loro conclusione, la documentazione prodotta e acquisita nel corso del procedimento di rule making, costituendo il fondamento istruttorio su cui la decisione viene fondata, deve essere schedata e conservata in un record, accessibile a chiunque.

Le fonti citate non appartengono all’ordinamento nazionale e da ciò potrebbe farsi scaturire la necessità di Linee Guida in tema di consultazioni nel nostro Paese; in realtà, in Italia queste ultime sono previste da tempo e, più specificamente, dalla L. n. 246/2005 e dal regolamento n. 170/2008. Al 2001 risale il primo volume predisposto a cura del Dipartimento della Funzione Pubblica volto ad approfondire – anche attraverso l’esposizione delle principali esperienze in area Ocse e nell’Unione Europea – il ruolo della consultazione quale fattore strategico dell’analisi di impatto della regolazione (AIR), vale a dire della valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo, volta a supportare le decisioni dell’organo politico di vertice dell’amministrazione in ordine all’opportunità dell’intervento stesso. “Unitamente all’analisi costi/benefici, la consultazione è uno strumento fondamentale della ‘cassetta degli attrezzi’ dello specialista di AIR, utilizzata allo scopo di verificare empiricamente che la regolazione sia adeguata da un punto di vista tecnico ed efficace nella pratica”. Inoltre, le Autorità indipendenti, che prima di altri enti hanno iniziato a effettuare consultazioni pubbliche (il cui elenco è puntualmente pubblicato dall’Osservatorio AIR), dispongono di regolamenti che ne disciplinano lo svolgimento. Soprattutto, esistono già delle “Linee guida sulla consultazione pubblica” che il Formez ha elaborato e reso disponibili sin dal 2013.

Dalle esperienze internazionali, dagli approfondimenti svolti da tempo sull’argomento e dalle Linee Guida già esistenti emergono principi chiari e consolidati. Le consultazioni devono: sostanziarsi in attività che consentono alle amministrazioni di raccogliere dati e informazioni ulteriori rispetto a quelli già a disposizione e di rilevare le opinioni degli attori coinvolti, ciò al fine di identificare i problemi esistenti e analizzare i costi e i benefici associati agli interventi; essere rivolte a un’ampia ed articolata gamma di soggetti in grado di fornire informazioni nuove, plurime e differenziate; essere svolte secondo tecniche procedurali adeguate al problema da affrontare; essere contraddistinte da un efficace sistema di trasparenza e pubblicità, che garantisca, al tempo stesso, il riscontro di una adeguata considerazione dei dati raccolti e il coinvolgimento dei soggetti consultati al processo decisionale.

Emergono altresì fattori di criticità, rinvenibili principalmente nell’intempestività delle consultazioni rispetto alle fasi del processo regolativo; nella tendenza di restringere il campo di analisi alle sole posizioni convergenti; nella raccolta di opinioni generali, ma non rappresentative; nella genericità dei dati raccolti e la loro non pertinenza ai fini dell’AIR. In Italia le consultazioni sono caratterizzate da gravi deficienze rispetto ai parametri elaborati a livello europeo e alle esperienze degli altri Paesi, come da tempo viene confermato dalla relazione annuale presentata dal Governo alle Camere circa lo stato di applicazione dell’analisi di impatto della regolamentazione. In particolare, nell’ultima (anno 2015) si fa presente la non rigorosità del metodo mediante cui vengono svolte, dalla scarsa trasparenza dell’azione amministrativa, “visto che in molti casi non sono stati pubblicati né i singoli contributi dei partecipanti, né una sintesi degli esiti complessivi”, mentre è “evidente che assicurare un ritorno informativo ai partecipanti rappresenta uno dei principali incentivi alla partecipazione a iniziative future”. Mancano ancora quei “criteri generali e le procedure della fase della consultazione”, che avrebbero dovuto costituire oggetto di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del citato regolamento del 2008; manca inoltre, e soprattutto, una vera cultura dell’ascolto e del fattivo utilizzo dell’opinione degli interessati. Governi e organismi istituzionali continuano a indire pubbliche consultazioni, “fingendo d’ascoltare i cittadini” (Ainis). Data l’enorme produzione di regole, criteri e Linee Guida, anche a livello nazionale, serviranno le consultazioni da ultimo indette sul documento inerente alla consultazione, il quale riproduce quanto già esistente?

La domanda postula un preventivo esame del testo e, in particolare, di alcuni dei nove principi nei quali è stato schematizzato: impegno, chiarezza, trasparenza, sostegno alla partecipazione, privacy, imparzialità, inclusione, tempestività, orientamento al cittadino.

L’articolo 1 denominato “Impegno” si sofferma sui cardini della “apertura di un processo decisionale pubblico”, caratterizzata da condivisione e, appunto, impegno da parte dell’amministrazione proponente, definendone i criteri (secondo uno schema ripreso negli articoli successivi): inclusione, partecipazione, formazione, dotazione, collaborazione. Vengono così enucleati quei criteri che fanno parte della definizione propria di open gov. Al riguardo, una considerazione appare necessaria: laddove sia effettuata una elencazione di qualsiasi tipologia – in questo caso, il riferimento è ai soggetti chiamati a coadiuvare l’amministrazione ed al tipo di strumenti da utilizzare – sarebbe opportuno precisare la non esaustività della stessa. Soprattutto in un ambito in cui la tecnologia produce continui mutamenti di contesto, e, nel caso di specie, può condizionare ed orientare fortemente gli strumenti da utilizzare.

L’articolo 2, denominato “Chiarezza” si fonda sui processi di comunicazione delle “regole del gioco” e delle varie fasi del procedimento. A differenza dell’articolo precedente, in questo sarebbe servita una elencazione – sempre non tassativa – che rendesse più fruibile la definizione di “modalità tali da rendere edotti e coinvolgere i partecipanti nella formulazione di proposte e commenti”. A quali modalità si fa riferimento? E quali possono essere considerate sufficienti e “rendere edotti”?
Qualche perplessità desta il successivo articolo denominato “Trasparenza”, in relazione alla possibile violazione della privacy in un processo che è trasparente e deve esserlo per sua natura. Non si comprende, infatti, quali possano essere i motivi che impediscano – in alcuni casi, quali? – l’eventuale violazione della privacy di un soggetto che ha contribuito alla consultazione pubblica. Al contrario, si ritiene che qui risieda il fondamento proprio del processo decisionale in esame: se il timore è il lobbismo sotterraneo, qualora esistente, è corretto che vada esplicitato: in assenza di una specifica legge in materia di lobby – di cui troppo spesso si parla senza che sia varata – potrebbe essere un primo passo in avanti.

Sempre sul punto, il successivo articolo rubricato “Privacy” fa riferimento, correttamente, alla necessità che “l’amministrazione evidenzia e diffonde le regole di comportamento e i termini di uso per la consultazione a cui i partecipanti sono soggetti (moderazione, rimozioni di contenuti non appropriati, rimozioni di violazioni di privacy altrui, ecc.”. Sarebbe opportuno venisse precisato in quali forme tali evidenziazione e diffusione verranno fatte – normalmente, nelle stesse forme e modalità della consultazione stessa – con rinvio alle specifiche privacy policy e social media policy, che dovrebbero essere presenti nella stessa sezione della consultazione, con link diretti.

Possiamo allora, provare a riprendere la domanda e rispondere: serviranno delle Linee Guida di questo tipo? Si e no.

Il si rappresenta una eterna speranza: che tutte le indicazioni fornite da hard e soft law ad oggi esistenti vengano, finalmente, messe a sistema, affinché il cittadino/utente/portatore di interessi non sia l’ultimo tassello di un processo, ma ne diventi l’elemento chiave, guida, artefice; in questo senso, ottima – nella direzione della chiarezza e della semplicità/semplificazione – la schematizzazione nei nove principi generali, pur nella certezza che qualche precisazione in più – e qualche ridondanza in meno – potranno garantire maggiore efficacia.

Il no rappresenta, al contrario, la parte forse maggiormente aderente alla coscienza critica, al realismo spinto cui spesso l’approfondimento ci avvicina: la consapevolezza – corretta o meno che sia l’affermazione – che non saranno principi e linee guida a condurci verso un metodo di svolta, ma una migliore – e non maggiore – produzione normativa, primaria e secondaria, che guardi, essa stessa, al cittadino/utente/portatore di interessi, e che sappia, allo stesso tempo, convincere e imporre, semplificando procedure e adempimenti. A ciò si aggiunga un altro dubbio: l’Italia, che fatica ad “osservare i patti” sarà capace di operare quell’adesione spontanea alle regole che la soft law presuppone, senza che nella politica, prima ancora che nella società civile, si operi un vero cambiamento culturale?

*Giurista, Stati Generali dell’Innovazione
**Giurista, lavora in un’autorità di vigilanza (esprime opinioni a titolo esclusivamente personale)

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