Tagli alle partecipate: entro luglio il piano

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Dei giorni scorsi l’annuncio del taglio delle partecipate da 8.000 a 1000. Il piano di razionalizzazione, inizialmente previsto entro l’autunno, ha subìto una accelerazione tanto che ora lo si attende per la fine di luglio. Questa è solo l’ultima delle azioni intraprese dal commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli, nell’individuazione di interventi mirati al contenimento e alla riqualificazione della spesa pubblica. Ma non pensiate che sia semplice, se si va a scoperchiare il vaso esce di tutto: vendita di uova, società che non hanno addetti ma solo amministratori, terme e aziende agricole. E poi siamo proprio sicuri che siano "solo" 8.000? Crediamo proprio di no. Facciamo il punto.

10 Luglio 2014

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Eleonora Bove

Dei giorni scorsi l’annuncio del taglio delle partecipate da 8.000 a 1000. Il piano di razionalizzazione, inizialmente previsto entro l’autunno, ha subìto una accelerazione tanto che ora lo si attende per la fine di luglio. Questa è solo l’ultima delle azioni intraprese dal commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli, nell’individuazione di interventi mirati al contenimento e alla riqualificazione della spesa pubblica. Ma non pensiate che sia semplice, se si va a scoperchiare il vaso esce di tutto: vendita di uova, società che non hanno addetti ma solo amministratori, terme e aziende agricole. E poi siamo proprio sicuri che siano "solo" 8.000? Crediamo proprio di no. Facciamo il punto.

"Giungla", questo è il termine utilizzato dal Commissario straordinario alla spesa pubblica Carlo Cottarelli per definire il variegato mondo delle partecipate locali, davanti alla platea dell’assemblea di Federutilities. Termine che ha poi riproposto in un interessante post sul suo blog dove si legge:"Non riesco a trovare un termine migliore […] Si è parlato di 8000 società, consorzi, agenzie, enti vari partecipati degli enti locali (comuni e regioni soprattutto). Ma sono certo di più". La cifra di 8000 è presa dalla banca dati del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ne censisce circa 7700. In questo censimento rientrano le partecipate direttamente controllate dall’ente (I livello) e quelle direttamente controllate dalle stesse partecipate (II livello); un elenco che non può però dirsi completo, se si va a scavare i numeri lievitano. La Banca dati del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, ad esempio, ne riporta 10.000. Cifra anche questa da verificare, come ammette lo stesso Cottarelli, tanto più che non tutte le amministrazioni hanno partecipato al monitoraggio effettuato per avere conoscenza delle reali dimensioni del comparto, ad esempio il 50% dei comuni sotto i 30.000 abitanti non ha risposto, come quasi la metà delle ASL. Dunque il numero reale potrebbe essere molto più elevato.

Una giungla, si diceva, su cui il Governo intende fare il punto, in primo luogo unificando le banche dati delle società partecipate dello Stato. Il Decreto Renzi – Madia (D.L. n.90 del 24 giugno 2014) all’art.17 istituisce la banca dati delle società partecipate, che farà capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze e prenderà avvio dal 1 gennaio 2015, chiamando in causa anche l’ISTAT nell’attività di raccolta dati. [cosa dice il decreto? Leggi il nostro articolo]

Un’iniziativa che Maria Anna Madia, in occasione del suo intervento a FORUM PA 2014, ci aveva anticipato: "Oggi esistono due banche dati: una sotto il mio ministero, l’altra sotto il ministero dell’Economia che, però, non si parlano, non sono interoperabili. Nelle prossime settimane il Consiglio dei ministri varerà un provvedimento, nell’ambito delle azioni della spending review, che collocherà le informazioni in un’unica infrastruttura gestita dal Mef".

In secondo luogo, premendo sull’acceleratore in merito al programma di razionalizzazione delle partecipate: l’articolo 23 del Decreto Legge 66 del 2014 richiede al Commissario per la Revisione della Spesa di predisporre "un programma di razionalizzazione della aziende speciali, delle istituzioni e delle società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni locali" un programma che deve essere reso "operativo e vincolante per gli enti locali, anche ai fini di una sua traduzione nel patto di stabilità e crescita interno, nel disegno di legge di stabilità per il 2015". Basti sapere che le partecipate dagli enti locali e da altri soggetti pubblici hanno generato nel 2012 perdite per 1,2 miliardi di euro, cui vanno aggiunte, spiega Cottarelli, "Le perdite nascoste dovute a due componenti: i contratti di servizio che prevedono finanziamenti non corrispondenti al servizio erogato e le tariffe troppo alte imposte al cittadino".

Inizialmente previsto entro l’autunno, oggi ci si aspetta che il programma di razionalizzazione venga predisposto entro il 31 luglio 2014, l’obiettivo è quello di scendere da 8mila aziende a circa mille cedendo o sopprimendo subito quelle non di pubblica utilità: "Stiamo lavorando intensamente poiché ci è stato chiesto di presentare entro fine luglio". Fa sapere Cottarelli, evidenziando al contempo delle forti criticità non solo legate alla quantità, ma anche alla varietà dei soggetti interessati.

Troppe partecipate, troppi amministratori

Non solo la sproporzionata lievitazione del numero delle aziende in questi anni, ma anche la loro natura chiaramente anomala dovrebbe mettere in allarme, non solo le casse dello Stato, ma gli stessi cittadini che, a causa di questi pesanti carrozzoni, vedono aumentare i costi dei servizi offerti senza un corrispettivo miglioramento della qualità. Non è un segreto, infatti, che le partecipate siano diventate facile approdo di personale assunto aggirando i vincoli imposti agli enti locali.

Il Cerved indica che in più della metà delle oltre 5 mila partecipate dei comuni, le persone che siedono nel Consiglio di Amministrazione sono più degli addetti. Si tratta di 2671 società che operano in campi del tutto diversi tra loro. 1213  di queste società (tutte operative) addirittura non hanno addetti, ma solo amministratori. Di queste 86 sono holding, 137 gestiscono attività immobiliari, più di 200 sono società con un unico socio, il resto sono società che si occupano delle attività più varie. 

Un primo passo verso la razionalizzazione è quello di predisporre delle norme che prima di tutto impediscano un’ulteriore proliferare.

Criteri per un piano di razionalizzazione

Data la diversità dei soggetti interessati non è possibile pensare a una sola strategia, ma occorrono piani di intervento diversi e di conseguenza diversi criteri valutativi. Accanto ai cinque servizi pubblici locali (elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico urbano) che rappresentano circa il 20% di questo universo, e un fatturato del 50-60%, ci sono le società strumentali, ovvero quelle che forniscono servizi all’ente pubblico di controllo, che costituiscono un 40%. Vi è poi una terza categoria che racchiude le società che agiscono direttamente sul mercato vendendo prodotti e servizi (40%). Sono quest’ultime ad attirare maggiormente l’attenzione del Commissario: "Si va dalle terme alle farmacie, dalla produzione di prosciutti alla vendita delle uova", è quindi opportuno stabilire se esistano motivazioni di interesse generale che ne giustifichino l’esistenza. "Non si capisce perché un ente pubblico locale debba agire in settori in cui c’è già una forte e varia offerta da aperte dei privati" commenta. Pensiamo ad esempio alle oltre 50 aziende agricole (a partecipazione pubblica) emerse dal monitoraggio, che producono vino. Si stabilisce così un primo criterio di razionalizzazione: l’interesse generale.

Un secondo criterio sarà la dimensione. Per quanto riguarda il primo gruppo, che potremmo far corrispondere alle utilities, Cottarelli assicura che verranno effettuate aggregazioni che sfruttino le economie di scala. Un 1/3 di queste società ha, infatti, meno di 20 addetti. Uno studio della Corte dei Conti ha messo in evidenza come il costo del personale incida su quello di produzione per una percentuale che fa dal 22,9% (nella virtuosa Lombardia) anche fino al 54% (in Calabria).

Per le partecipate strumentali (secondo gruppo), il discorso è  più delicato. Tra queste vanno individuate quelle create principalmente per eludere i vincoli del Patto di stabilità interno. Cottarelli al momento non si sbilancia su come procedere, è presto (forse) per scendere più nello specifico.

Il performance budgeting: condizione per una spending review sistematica

Le società partecipate pubbliche rientrano tra i gruppi soggetti all’attività di revisione della spesa [leggi la nostra presentazione e analisi del documento] che dovrebbe riguardare l’intera spesa delle pubbliche amministrazioni e delle società controllate. Un’azione di management pubblico in cui le informazioni, ricavate da analisi di settore, diano il quadro dei risultati raggiunti e possano indicare la strada da percorrere per una migliore gestione della spesa. Concretamente, come individuare le aree di intervento? Dall’analisi delle serie storiche, dal confronto con realtà internazionali, dall’individuazione di quelle amministrazioni che registrano uscite anomale.

Come ci ricorda il Commissario Cottarelli [guarda il suo intervento a FORUM PA 2014] l’approccio da adottare per una corretta ridefinizione della spesa non può essere definito a priori, al contrario degli obiettivi che invece sono chiari fin dall’inizio: sostenibilità della spesa pubblica; efficienza e efficacia dell’agire pubblico;  ricavo di maggiori risorse che favorire la riduzione della pressione fiscale e del costo del lavoro.

I nostri policy makers purtroppo non hanno grande confidenza con questo approccio manageriale: a partire dalla vigente classificazione del bilancio per missioni e programmi, cui sono associati indicatori di performance come guida alla decisione sui programmi di spesa da mantenere, sopprimere o modificare. Tuttavia i programmi e gli indicatori, come attualmente definiti, non rappresentano una base adeguata per una attività di revisione. E’ importante quindi, come afferma lo stesso Cottarelli, prevedere altri tipi di interventi. Ad esempio: l’organizzazione di corsi di formazione per facilitare la diffusione dell’uso di indicatori di e diffondere la metodologia di revisione della spesa anche a livello locale; l’aumento della flessibilità gestionale dei dirigenti pubblici e l’organizzazione di programmi di formazione manageriale; il potenziamento degli strumenti per valutare il grado di soddisfazione da parte degli utenti di servizi pubblici.

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