PNSD, l’attuazione passa (anche) dal nodo della carriera dei docenti

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Accanto ai numerosi aspetti positivi del PNSD esistono degli ostacoli di carattere strutturale alla piena realizzazione dei risultati auspicati. Se tali criticità non saranno affrontate e risolte nel breve periodo l’intero impianto del piano rischia di restare vano

14 Ottobre 2016

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Alessandra Rucci, dirigente scolastico IIS Savoia Benincasa di Ancona

Dopo il Piano Nazionale Scuola Digitale, ha appena visto la luce un nuovo documento programmatico del MIUR, il Piano per la Formazione dei Docenti per il Triennio 2016/19.

La linea che caratterizza l’azione del Ministero è indubbiamente quella di un notevole sforzo nel dare vita, su aree di importanza strategica per il sistema educativo, ad impianti di ampio respiro dotati di notevole coerenza interna e di aspetti innovativi importanti.

In questo caso si va a toccare uno dei punti scoperti e maggiormente critici del sistema educativo italiano, quello della formazione del personale, in particolare dei docenti. La Legge 107/15 ha infatti istituito per questi, con il comma 124, la formazione in servizio “obbligatoria, permanente e strutturale”, attribuendo per la prima volta ad un’attività da sempre discrezionale ed obiettivamente trascurata, delle caratteristiche molto forti e innovative che il Piano ha cercato di declinare al meglio.

Dopo aver inserito la tematica in una cornice contestuale internazionale ed economica, caratterizzando la qualità del personale docente come uno dei fattori di crescita di un Paese, il Piano focalizza il punto di partenza nella scarsa qualità dei percorsi formativi fino ad oggi offerti, nella bassa frequenza dei docenti italiani, rispetto alla media dei loro colleghi europei, a percorsi di formazione in servizio e nella necessità di ridefinire la formazione iniziale.

Nel Piano viene delineato un nuovo modello formativo, funzionale sia allo sviluppo delle professionalità individuali, sia all’apprendimento permanente di ciascuna organizzazione scolastica e di conseguenza alla crescita dell’intero sistema nazionale di istruzione. La governance dell’intero processo è delineata nell’articolazione dei ruoli, da quello centrale del MIUR di regia e di fissazione di un numero di priorità nazionali così ampio da raccogliere sicuramente i bisogni di tutti i territori ed Istituti, al ruolo di coordinamento territoriale da parte degli Uffici Scolastici Regionali, a quello di impulso, da parte delle reti di ambito territoriale, nella promozione di percorsi formativi pluriennali anche in partnership con Università ed Enti di ricerca, senza escludere il livello decentrato delle progettualità delle singole scuole in un’ottica di piena valorizzazione dell’autonomia. Si rende tuttavia necessario, per il rispetto dei tempi del Piano, che a livello di ciascun Ufficio Scolastico Regionale vengano promossi in tempi brevi momenti di incontro e di indirizzo per una rapida individuazione delle scuole polo con compiti di coordinamento in materia di formazione. A tal fine, per non disperdere le esperienze già capitalizzate nella gestione di impegnativi percorsi formativi, potrebbe essere efficace individuare, quali scuole polo per la formazione a livello territoriale, gli stessi snodi formativi PON già attivi.

Per quanto attiene al livello dello sviluppo delle professionalità individuali, l’istituzione di alcuni strumenti, quali l’e-portfolio delle competenze del docente e il piano di sviluppo professionale, consente di spiccare un vero e proprio salto di qualità rispetto al passato sul piano della valorizzazione e della capitalizzazione delle esperienze e competenze individuali. Queste necessiterebbero tuttavia di possibilità di applicazione più ampie dell’”individuazione per competenze”, trovando piena espressione nell’articolazione delle carriere dei docenti, argomento mai affrontato dalla legislazione, su cui si rifletterà più avanti.

Molto forti risultano i riferimenti per l’azione formativa di respiro triennale che, partendo dalle priorità già presenti nella Legge 107/15 e più dettagliatamente declinate nel Piano, dichiarano l’importanza del fondamento sui bisogni specifici della comunità scolastica e si interfacciano con l’atto programmatico fondante l’attività di ciascun Istituto, il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, che dovrebbe a sua volta essere scaturito dall’autovalutazione espressa nel RAV (Rapporto di Autovalutazione) e dal conseguente Piano di Miglioramento, nell’ottica virtuosa di un processo di apprendimento permanente dell’intera organizzazione in cui la formazione si inserisce come parte attiva.

La novità più dirompente risiede tuttavia nel disegno di un nuovo modello dell’intervento formativo che abbandona la modalità unicamente frontale e si sposta sul fronte di una formazione mirata alla creazione di comunità di pratica e di ricerca, fondate sullo scambio, sul confronto e sul protagonismo attivo dei docenti, oltre che su un nuovo ruolo di formatore-mentor, figura di accompagnamento di lungo periodo, destinata a sostenere la reale introduzione dell’innovazione.

La portata di questa innovazione dipenderà tuttavia dalla sua corretta applicazione e dalla capacità, affidata dal Piano ad INVALSI e INDIRE, di individuare i migliori formatori già attivi sul territorio nazionale, di sostenerne la crescita e di pervenire a forme di certificazione per il riconoscimento di questo ruolo professionale.

Accanto ai numerosi aspetti positivi esistono tuttavia degli ostacoli di carattere strutturale alla piena realizzazione dei risultati auspicati. Se tali criticità non saranno affrontate e risolte nel breve periodo l’intero impianto del piano rischia di restare vano.

Il primo punto di debolezza riguarda purtroppo un aspetto strategico: la nozione di obbligatorietà, chiamata in causa nella 107/15, non si concilia con l’attuale condizione contrattuale dei docenti ed è stata oggetto di un lungo confronto con le organizzazioni sindacali, che ha indotto il Ministero a compiere un passo indietro rispetto alla formulazione normativa, ripiegando nell’ambigua nozione di “diritto-dovere”, che poco potrà incidere su chi fino ad oggi non ha sentito il bisogno né il dovere etico di formarsi. Il tutto con buona pace degli estensori del documento, secondo i quali, assai ottimisticamente, “Ai singoli insegnanti spetta inserire, nel proprio codice di comportamento professionale, la cura della propria formazione come scelta personale prima ancora che come obbligo derivante dallo status di dipendente pubblico”.

Il secondo aspetto di criticità ha a che vedere con la possibilità di realizzare effettivamente gli obiettivi previsti dalla prima area di priorità individuata nel Piano, quella relativa allo sviluppo dell’autonomia organizzativa e didattica. Anche in questo caso si tratta di un’area strategica per via delle note debolezze di cui ha sofferto l’autonomia scolastica sin dal suo nascere. Nel Piano si fa riferimento esplicito all’esigenza di preparazione di figure di docenti con particolari funzioni che sono correlate a “profili professionali”. Si tratta in effetti di figure necessarie per il funzionamento delle scuole autonome, ma la loro formazione di per sé non potrà bastare al raggiungimento dell’obiettivo atteso. Esiste una questione irrisolta che dovrebbe essere affrontata con coraggio: l’istituzione, ope legis, delle carriere dei docenti e l’istituzionalizzazione del middle management, senza il quale l’autonomia scolastica non potrà mai trovare piena realizzazione. Lo stiamo vedendo in questo periodo in cui l’istituzione da parte del MIUR di una figura di sistema, l’Animatore Digitale, sulla cui formazione sono state investite considerevoli risorse, incontra oggi un fronte di ostilità e di protesta legato al mancato investimento economico da parte del Ministero per il suo riconoscimento, affidandolo alle scarse risorse disponibili nelle scuole.

Improduttivo dunque formare i docenti per rivestire ruoli che non troveranno un riconoscimento ufficiale né dal punto di vista professionale, né da quello economico, tanto più che ricorre nel Piano, anche in altre aree di priorità, l’obiettivo di formare un numero di figure altamente specializzate per ciascun Istituto (Area della coesione sociale e della prevenzione del disagio, area dell’integrazione e delle competenze di cittadinanza, ecc.).

Da ultimo il riferimento del Piano alla formazione dei docenti dell’organico di potenziamento e a tutte le possibilità ad esso legate, non può non farci rivelare una delle grandi occasioni mancate della Legge 107, che in molti casi ha vanificato Piani Triennali dell’Offerta Formativa e Piani di Miglioramento. Questi si sono infatti basati sulla richiesta di uno specifico organico potenziato e sulla promessa implicita da parte del MIUR che tale richiesta sarebbe stata soddisfatta. Ciò non è avvenuto, essendo purtroppo prevalsa sulle progettualità degli Istituti la necessità di assegnare i posti ai docenti disponibili sulla piazza. E’ accaduto dunque che a scuole che hanno chiesto ad esempio docenti di Italiano e Matematica per progetti sul rafforzamento delle competenze di base degli studenti (che peraltro il Piano stesso lamenta essere insufficienti nel nostro Paese, facendole oggetto di specifici interventi formativi sui docenti), siano toccati in sorte docenti di strumento musicale, di scienze motorie e molto spesso docenti di classi di concorso addirittura non presenti nel proprio organico.

Collegi dei Docenti e gruppi di progetto hanno lavorato per mesi su Piani dell’Offerta Formativa progettati per un Triennio su certi obiettivi, che hanno dovuto essere disfatti e ricostruiti a causa dell’assenza delle risorse dell’organico potenziato richieste, con la sconfortante constatazione di aver speso tante energie invano. Cosa ancor più sconfortante è che le scuole e i dirigenti dovranno essere valutati su obiettivi che sono stati imposti da una situazione contingente.

Senza contare che l’esordio del primo anno di applicazione della Buona Scuola è stato a dir poco travagliato per il completamento degli organici: dirigenti che hanno individuato per competenze docenti cui è stato consentito, anche dopo un mese dall’assunzione, di abbandonare classi e scuola per ottenere assegnazioni provvisorie altrove, cattedre vuote ancora oggi, con famiglie furiose che se la prendono con i Dirigenti Scolastici. Il Diritto all’apprendimento sacrificato purtroppo ad altre esigenze che non possono essere affrontate in questa sede.

Ecco, nessun Piano Nazionale delle Scuola Digitale, nessun Piano di Formazione del personale, per quanto ben strutturati e innovativi, potrà porre rimedio a problemi strutturali di questo tipo. Si auspica che il Governo, che ha già intrapreso molti passi coraggiosi su questo fronte, possa lavorare per risolverli.

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