Democrazia e medioevo high-tech per la città del futuro: una chiacchierata con Tomas Diez di Fab City

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Tomas Diez è un urbanista e utopista venezuelano a cui stanno molto a cuore empowerment dei cittadini e democrazia. Vive a Barcellona, dove collabora con l’amministrazione cittadina per realizzare Fab City: l’iniziativa che punta a creare una rete di fab lab dislocati nei diversi quartieri della capitale catalana. Abbiamo chiesto a Tomas di offrire la sua esperienza come contributo alla creazione del Collaborative Territories Toolkit (CTT), per il progetto Sharitories e lui ha riposto di si. Godetevi questa prima intervista che abbiamo realizzato in preparazione del workshop del 23 ottobre a Smart Citty Exhibition 2014, dove vi aspettiamo per lavorare insieme al CTT!

15 Settembre 2014

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Stina Heikkilä e Silvia Candida, OuiShare Italia

Tomas Diez è un urbanista e utopista venezuelano a cui stanno molto a cuore empowerment dei cittadini e democrazia. Vive a Barcellona, dove collabora con l’amministrazione cittadina per realizzare Fab City: l’iniziativa che punta a creare una rete di fab lab dislocati nei diversi quartieri della capitale catalana. Abbiamo chiesto a Tomas di offrire la sua esperienza come contributo alla creazione del Collaborative Territories Toolkit (CTT), per il progetto Sharitories e lui ha riposto di si. Godetevi questa prima intervista che abbiamo realizzato in preparazione del workshop del 23 ottobre a Smart Citty Exhibition 2014, dove vi aspettiamo per lavorare insieme al CTT!

d. Partiamo dalle basi: come si fa a presentare l’economia collaborativa ai policy maker locali?
E’ abbastanza difficile, perché quando ti relazioni l’amministrazione locale c’è sempre tensione tra i nuovi metodi e le strutture consolidate. Più che parlare di economia collaborativa, credo che si debba guardare ai processi democratici e partecipativi. C’è bisogno di più partecipazione attiva, c’è bisogno che i cittadini diventino protagonisti, ad esempio delle transazioni che avvengono all’interno della città. Per fare questo dobbiamo potenziare la pratica della democrazia a livello locale. Credo che il punto di partenza fondamentale sia mettere al centro i diritti dei cittadini.

d. Quale dipartimento dell’amministrazione locale credi sia meglio posizionato per “accogliere” i temi che riguardano l’economia collaborativa e la condivisione?  
L’economia collaborativa è una sorta di tema trasversale, quindi non è facile. Potrebbe essere magari quello per l’occupazione, il cui ruolo tradizionalmente è stato quello di creare posti di lavoro. Ora si tratta più che altro di creare opportunità e abilitare le persone. È un modello nuovo, le amministrazioni cittadine dovrebbero aiutare le persone ad essere produttive.

d. Quali sono gli ostacoli maggiori che hai incontrato nel tuo lavoro o nei tuoi progetti?
Non saprei… sono un tipo fortunato! Quello che abbiamo scoperto noi e che credo scopriranno tutti è la tensione tra vecchio e nuovo e il fatto che molte persone non sono ancora pronte. Per esempio, una cosa frustrante quando lavori con le amministrazioni comunali è che funzionano ancora alla vecchia maniera. Invece dovrebbero capire che sono piattaforme: il loro ruolo consiste nell’abilitare cittadini e imprese, consentirgli di realizzare quello che hanno in mente. Se si cimentassero in questo nuovo ruolo, ben presto si renderebbero conto da sole che, alla fine, gli introiti arrivano comunque!

d. Quest’ultimo punto di fatto è una risposta alla domanda successiva: come si possono posizionare le amministrazioni locali rispetto agli altri portatori di interessi per co-creare una vision per i territori collaborativi?
Appunto, dovrebbero essere delle piattaforme. Quello che tende a succedere è che le amministrazioni locali che cercano più di tutte di porsi come leader cercano di fare marketing, di offrire di sé l’immagine di “amministrazione virtuosa” agli occhi dell’opinione pubblica. Per me la sfida vera è dare potere alle persone.

d. Le autorità locali come possono collaborare con quelle nazionali per evitare di finire nella “zona grigia” delle leggi e dei regolamenti?
Sicuramente ci sono tensioni su questo aspetto. In Spagna, ad esempio, c’è una legge che vieta alle persone di produrre energia in casa propria. D’altro canto, nella visione di Fab City, l’idea è produrre l’energia localmente e creare distretti autosufficienti. So di essere un utopista, ma penso che l’idea di Stato nazionale sia obsoleta, come ha sottolineato Benjamin Barber, secondo cui a governare il mondo dovrebbero essere i sindaci. In fondo la gente vota per i politici nazionali ma non li vede mai, un sindaco invece è molto più vicino alle persone. Se si dessero loro più poteri, questo aiuterebbe a creare città più produttive e autosufficienti.

d. Se dovessi proporre uno strumento per il Collaborative Territories Toolkit che stiamo creando, quale sarebbe?
Molte cose le hanno inventate già, quindi più che agli strumenti credo sia importante guardare ai processi. Non potrà mai esserci un unico toolkit specifico, bensì tanti processi e tanti strumenti. Un progetto interessante di cui ho letto di recente si chiama Ethereum, una piattaforma open source che si ispira a Bitcoin, in cui le persone possono creare le proprie valute locali, di qualsiasi tipo. Credo che assisteremo ad un ritorno ai modelli medioevali nel modo in cui si svolgono le transazioni all’interno delle città, però in chiave high-tech. Anziché scambiare moneta la gente scambierà ad esempio latte, acqua e altri beni.

d. Siamo nel 2025: come vedi l’economia collaborativa a livello locale?
Il fatto è che l’economia collaborativa è già esistita in passato, solo che ora funziona in modi nuovi. Guarda per esempio gli indios del Sud America, oltre 600 anni fa avevano già un’economia collaborativa. Per quel che vedo, forse ora la tecnologia ci può aiutare a reinventare l’umanità e l’umanesimo.

d.Nel tuo keynote speech a OuiShare Fest 2014, hai accennato al fatto che nella Fab City dovrebbe esserci un network misto di lab non finanziati e gestiti esclusivamente da soggetti pubblici. Quale sarebbe secondo te il modello ottimale di partnership tra i portatori di interessi dei fab lab (utenti, enti pubblici, imprese private)?
Per prima cosa, credo che non debba esserci un modello. Di fatto quello di cui abbiamo parlato alla recente conferenza Fab10 a Barcellona è la sparizione programmata dei fab lab. Per come la vedo io, succederà che la fabbricazione digitale si sposterà nelle case, proprio come con i computer. All’inizio c’erano luoghi dove si andava per usare un computer, ora le persone ne hanno uno in tasca e uno inserito nella propria lavatrice. La cosa importante è non permettere ad organizzazioni pubbliche di essere proprietarie dei fab lab, perché abbiamo visto fino a che punto può andare a finire male. E’ per questa ragione che con Barcelona Fab City stiamo assumendo un ruolo guida nell’aiutare le organizzazioni locali ad aprire fab lab in maniera indipendente.

d. E invece che ne pensi dei fab lab di proprietà delle grandi multinazionali?
E’ una gran cosa. Anche questo sta già accadendo, per esempio Renault, Airbus eccetera. Penso che abbiamo molto da imparare da questi esempi e da come i fab lab stanno mutando funzione da hobby per pochi appassionati ad abilitatori di attività imprenditoriali su scala locale e globale, oltre a creare impatto sociale.
 

d. Tu parli spesso di istruzione centrata sui fab labs e la fabbricazione digitale, compresa la Fab Academy e la possibilità di introdurre la fabbricazione digitale nei curricula scolastici. Hai qualche idea riguardo a come promuovere l’istruzione per il “cittadino comune” – intendo né studente né professionista del digitale – in questo ambito?
Credo che avverrà in maniera spontanea, quando in diversi luoghi cominceranno a comparire diversi strumenti. Prendi ad esempio uno che lavora da Zara, un cittadino “comune”. Oggi forse il lavoro di questa persona consiste principalmente nel piegare e vendere vestiti, ma immagina se Zara decidesse di passare ad un modello in cui ci si crea da sé i propri vestiti. Il compito di questa persona cambierebbe completamente. Non credo che il punto sia insegnare queste cose, perché le nuove generazioni saranno per lo più “native” di questo contesto, come i bambini con il pc: chiunque potrebbe raccontarti di un bambino di 3 anni che prende in mano uno smartphone e comincia a usarlo senza istruzioni. Credo che dobbiamo progettare il futuro per i bambini piuttosto che per i nostri nonni, perché sono loro quelli che prenderanno le redini.

d. Tu hai fondato il progetto Smart Citizen. Come pensi che potrà aiutare a sviluppare progetti collaborativi?
Questo progetto fa parte di una visione di città dotate di sensori diffusi, un percorso per trasformare le città in piattaforme che incentivino i cittadini ad essere produttivi. Ora la prima versione della scheda sensore è nella fase cd di “proof of concept”, in cui gli utenti raccolgono dati che possono essere utilizzati. L’anno prossimo, quando lanceremo la seconda versione, credo che succederanno grandi cose! L’idea è che questo diventi uno strumento “politico”. Le persone collaborano quando hanno un interesse comune, e la scheda Smart Citizen aiuterà a scoprirle. Mille schede Smart Citizen sono già in uso a ricercatori, appassionati di tecnologia e persone curiose (finora gruppi piuttosto specifici). Mi piace quello che dice Jaron Lanier a proposito di “automazione” del lavoro umano e di come i computer stanno facendo avanzare continuamente questo processo. Ogni volta che interagiamo on line, lasciamo una traccia digitale. Per ora queste tracce hanno portato agli imperi dei proprietari dei dati, come Google e Amazon. Nel futuro prossimo il “cittadino intelligente” sarà in grado di creare la propria traccia personale ed esserne proprietario. E questo probabilmente creerà un’intera economia nuova e una nuova classe media, che userà i dati per essere produttiva. Sono impaziente di vedere la ricerca avanzare in questo campo, come stanno già facendo al MIT.  

Buon lavoro per il Collaborative Territories Toolkit!

Appuntamento il 23 ottobre a Smart City Exhibition con il workshop:  Collaborative Territories Toolkit: progettare lo sviluppo di Economia Collaborativa nei territori (partecipazione gratuita)

 

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