Il mercato della smart city e la ribellione delle istituzioni pubbliche

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Anche quest’anno ci occuperemo di smart city. L’appuntamento con ICity Lab 2018 è per il 17 e 18 ottobre presso il Palazzo degli Affari di Firenze, che come anticipato, sarà focalizzato su due aspetti strettamente legati – quello della tecnologia e quello della governance – perché si possa ancora parlare di città intelligenti sostenibili

18 Luglio 2018

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Marina Bassi

Vi ricordate il contributo del nostro articolo sulla Urban Crisis di Richard Florida? La conclusione a cui siamo arrivati in quell’occasione passava per il modello di governance collaborativa che FPA ha immaginato per le città, intendendo con questo una serie di processi condivisi tra PA, stakeholder e cittadini per un governo del territorio basato sul consenso positivo e continuativo. In questo senso le città – alcune più di altre, ça va sans dire – si sono scoperte negli ultimi anni creative. È il caso della stessa Firenze, che ha previsto di affidare attraverso un bando pubblico il servizio di bike sharing stabilendo alcuni paletti d’entrata (come ad esempio la garanzia all’amministrazione comunale di avere accesso alla piattaforma dati gestita dall’operatore privato), di cui abbiamo parlato soprattutto in termini di governance di gestione dei dati del cittadino-utente.

Può sembrare scontato, e può sembrare che il meccanismo sia utile in termini di individuazione del fabbisogno dei residenti. È sicuramente questo – e non è banale – ma è anche di più. È l’ago della bilancia del potere che viene recuperato dalle istituzioni pubbliche con lo stesso meccanismo con cui negli anni precedenti si è spostato a favore dei big player che con le nuove tecnologie si sono posizionati in quello che Evgeny Morozov e Francesca Bria hanno chiamato il “Mercato della smart city” nel loro Rethinking the smart city. In realtà, eempi di risposta a quello che potremmo definire “deriva della smart city” si stanno diffondendo a macchia di leopardo a livello mondiale. Per citare alcuni casi, sempre Morozov e Bria ci fanno sapere che sul tema gestione dei dati – ad esempio – si stanno muovendo:

  • Mosca, che ha raggiunto un accordo con Uber per il quale il gigante statunitense può operare sul suolo russo a condizione di fornire all’amministrazione locale l’elenco degli autisti legittimamente registrati come Uber-drivers, nonché chiaramente la condivisione dei dati di trasporto utenti;
  • Amsterdam, che si è accordata con Airbnb per stabilire un limite di prenotazione fino a 60 notti per utente all’anno, con un massimo di quattro utenti per appartamento.

Dal controllo sulle piattaforme private alla PA come piattaforma abilitante

Quelli visti sono esempi di come le istituzioni locali possono prendere il controllo dei servizi gestiti su piattaforme digitali private, quando gli effetti hanno un impatto economico e sociale che incide sul territorio. In alternativa, si configura la possibilità per le amministrazioni di diventare esse stesse piattaforma, partendo dalle infrastrutture.

Molte città in tutto il mondo stanno investendo in infrastrutture – come la banda larga – che consentano un’equa distribuzione di servizi digitali. La risposta alla forte disparità tra gestori privati in termini di digitalizzazione e connettività sta spingendo le città a diventare più proattive rispetto alla fornitura di un’infrastruttura neutrale, immaginando – ad esempio – la banda larga come diritto fondamentale, Wi-Fi pubblico, o sistemi di gestione dati condivisi. L’obiettivo è promuovere un intero ecosistema di servizi e piattaforme aperte all’interno delle città, basato su un modello di innovazione partecipativa che utilizza software open source.

Innovazione partecipativa e software open source. Qual è il nesso? Molte città sono impegnate nello sviluppo di nuovi modelli organizzativi [1], coinvolgendo i cittadini nei processi decisionali. Emergono sempre di più nuovi modelli ibridi che combinano democrazia rappresentativa e diretta, interazione online e offline (si pensi alla nascita di movimenti politici come Podemos in Spagna). La società digitale dovrebbe essere costruita insieme ai cittadini che la abitano.

Barcellona, ad esempio, incoraggia l’uso della tecnologia per facilitare una democrazia attiva. Questo significa sviluppare ambienti digitali che ospitano forme di inclusione innovative. Non è quindi un caso che nella rilevazione effettuata da Morozov e Bria sia confluita anche Decidim, la piattaforma partecipativa del Comune di Barcellona di cui abbiamo discusso in precedenza e che è stata oggetto di analisi anche nella Manifestazione ICity Lab dello scorso anno.

A queste realtà già esistenti il ragionamento di quest’anno vuole aggiungere alcuni ingredienti, uno su tutti l’approccio regolatorio ai servizi di gestori privati che hanno provato a sostituirsi alle istituzioni, che invece si sono opposte. Assistiamo alla ribellione positiva di un settore – quello pubblico – da sempre caratterizzato dalla sua staticità.


[1] Ci stiamo interrogando molto sul tema dei nuovi modelli organizzativi, tema per il quale si rimanda al nostro Libro Bianco sull’Innovazione della PA, ora in fase di consultazione.

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