​Le sfide delle città, tra intelligenza e resilienza

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Di fronte a nuove sfide i comuni e le loro amministrazioni si trovano ad elaborare soluzioni complesse e integrate per problemi cui le politiche settoriali e la pianificazione tradizionale faticano a offrire risposte. Da qui la diffusione anche nel campo delle politiche urbane di un concetto, quello di resilienza.

19 Ottobre 2016

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Massimo Allulli - Area Studi, Ricerche, Banca Dati delle Autonomie Locali - ANCI

Crisi economica, cambiamento climatico, migrazioni, invecchiamento della popolazione sono solo alcune tra le sfide inedite che le città si trovano ad affrontare. Se n’è parlato da ultimo nel corso dei recenti lavori dell’Assemblea Nazionale dell’ANCI, in apertura dei quali sono stati presentati dati eloquenti. La disoccupazione in Italia a giugno 2016 risulta ancora al di sopra del dato europeo, assestandosi all’11,5%. Tra il 2008 e il 2014 più di 180 milioni di persone nel mondo hanno dovuto migrare a causa di eventi climatici avversi, le conseguenze dei quali possono essere aggravate in Italia da un consumo di suolo che nel corso del tempo ha compromesso la sicurezza dei territori. Il progressivo invecchiamento della popolazione sta mutando la composizione demografica delle nostre città, tanto che nell’arco di venti anni per ogni bambino ci vivranno due anziani di oltre 65 anni.

Di fronte a nuove sfide i comuni e le loro amministrazioni si trovano ad assumere compiti che esulano dalle competenze ad essi attribuite per legge, ma soprattutto ad elaborare soluzioni complesse e integrate per problemi cui le politiche settoriali e la pianificazione tradizionale faticano a offrire risposte. Da qui la diffusione anche nel campo delle politiche urbane di un concetto, quello di resilienza, preso in prestito dalla fisica per indicare la capacità delle città di dare risposta agli shock e alle pressioni esterne. Se quindi il termine “resilienza” è stato per lungo tempo identificato come la capacità mostrata dalle città di reagire a emergenze e disastri, nel corso del tempo il concetto è andato assumendo un significato più ampio, identificando politiche integrate per l’adattamento nel corso del tempo a una pluralità di stimoli e sollecitazioni.

I comuni italiani non sono rimasti fermi di fronte alla sfida della resilienza. Sempre di più, a fianco degli strumenti tradizionali e obbligatori di pianificazione, si affiancano nuovi piani di resilienza che i comuni attuano volontariamente. È questo il caso dei Piani di Adattamento ai Cambiamenti Climatici come quelli adottati dai Comuni di Bologna e di Ancona, dei tanti piani di efficientamento energetico prodotti nel quadro del Patto dei Sindaci, delle 138 adesioni dei comuni italiani al programma “Making Cities Resilient: mi City is Getting Ready” lanciato nel 2014 da UNISDR.

Ma a dare conto in modo esplicito della dimensione intersettoriale del concetto di resilienza è soprattutto il programma 100 Resilient Cities. Attivato dalla Fondazione Rockefeller nel 2013, il programma ha gradualmente coinvolto un numero crescente di città nella formulazione di un proprio piano di resilienza sulla base di un Resilient City Framework comune. Il framework individua quattro dimensioni fondamentali: leadership e strategia, infrastrutture e ambiente, economia e società, salute e benessere. Per ciascuna di queste dimensioni si individuano quattro drivers, e per ogni driver un set di indicatori. Le conclusioni della ricerca della fondazione mostrano come una città per essere definita resiliente debba presentare sette caratteristiche: riflessività, ricchezza di risorse, robustezza, ridondanza, flessibilità, inclusività, integrazione. L’Italia è rappresentata nel programma 100 Resilient cities da Roma e Milano.

Quella relativa alla resilienza dunque non è una policy aggiuntiva, che si affianca ai settori esistenti, né un capitolo di spesa da inserire nei bilanci comunali. È piuttosto un paradigma che può avere un impatto sulle politiche urbane nel loro insieme, per accompagnarne formulazione e valutazione sul medio e lungo periodo. È in questo quadro che, pur con la dovuta attenzione rispetto alla rischiosa ridondanza di etichette e concetti, è utile una riflessione e un’attività di analisi sulle ampie sovrapposizioni tra i piani e i progetti urbani improntati a una logica “smart” e quelli guidati dal paradigma della resilienza. Come le tecnologie digitali, l’apertura e l’accessibilità dei dati possono contribuire alla resilienza della città? E in che modo, al contrario, questi stessi elementi possono rappresentare rischi o ostacoli verso la resilienza? Si tratta di domande aperte e in campo, cui solo una attività di confronto, scambio e valutazione può iniziare a dare delle risposte.

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