“L’altra faccia della luna”: Francesco Monaco e Walter Tortorella ci raccontano i Comuni ai margini tra quotidianità e futuro

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Un racconto a 28 voci sulla faccia nascosta della luna, un universo di migliaia di Comuni ai margini, fragili, interni, montani che fanno del nostro Paese un unicum per biodiversità e varietà territoriale. È il libro a cura di Francesco Monaco e Walter Tortorella, di cui vi forniamo alcuni spunti in questa recensione

28 Luglio 2022

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Redazione FPA

L’altra faccia della luna è quell’insieme di aree marginali, fragili, piccole, interne dell’Italia o periferie di centralità, i cosiddetti “luoghi che non contano”, che non devono essere trascurati dalle politiche di sviluppo nazionali affinché il benessere dei cittadini e la salvaguardia del territorio siano garantiti lungo tutta la Penisola. Trascurare, infatti, tali aree dall’agenda politica, o peggio ancora renderle protagoniste di interventi estemporanei, avrebbe come effetto implicito quello di sostenere una strategia dell’abbandono, estremamente costosa e tutt’altro che neutra nei suoi effetti. È questa la visione di Francesco Monaco e Walter Tortorella, della Fondazione IFEL ANCI per la Finanza Locale, che hanno curato il libro L’altra faccia della luna. Comuni ai margini tra quotidianità e futuro”, edito da Rubbettino.

Perimetrare la dimensione territoriale delle marginalità è il primo passo. Una questione di metodo articolata che supera il dualismo aree urbane/aree rurali, o Nord/Sud, ma che invece fa riferimento al grado di accessibilità ai servizi di base, alle dinamiche demografiche, alla vivacità del sistema produttivo, allo stato di salute dei conti finanziari, alla salvaguardia dei territori.

La caduta della natalità ha avvolto l’intero Paese in un rigido inverno demografico. Nel 2020, in piena pandemia, l’Italia ha stabilito il nuovo record di 405mila nascite, il dato più basso mai registrato dall’Unità di Italia, inferiore anche ai valori delle due guerre mondiali.

Tale tendenza, insieme alla conquista di una vita più lunga, ha generato effetti sull’incremento della popolazione anziana: gli over64 sono il 23,5% nel 2021, contro il 13,2% di 40 anni fa, con punte prossime al 29% nei comuni fino a 1.000 abitanti. Non è difficile immaginare le conseguenze in termini di squilibri sul sistema del welfare e sul sistema economico. Un sistema economico d’antan caratterizzato ancora da una forte diffusione del primario, in particolare tra i piccoli comuni: basti pensare che in Italia il 60% dei comuni è specializzato nell’agricoltura e nella pesca e tra questi l’80% conta meno di 5.000 residenti. Aree che hanno ricevuto i colpi più duri della crisi del 2007/2008, che hanno cominciato a fatica la ripresa del 2010, che impattano sull’economia del Paese con una produzione del 4,1% del valore aggiunto nazionale.

Ulteriori fragilità emergono sul fronte della finanza locale: guardando agli equilibri di bilancio, dei 7.903 comuni italiani il 13,2% è in sofferenza finanziaria. Si tratta di comuni in condizioni di dissesto o predissesto, o con un disavanzo superiore al 30% delle entrate correnti, o che hanno accantonato nel bilancio di previsione 2020 risorse al Fondo crediti di dubbia esigibilità per un importo superiore al 15% delle entrate correnti accertate nel 2019. Una boccata d’aria potrebbe provenire dal PNRR che ha come effetto l’espansione della spesa in conto capitale, ma che potrebbe generare un’ulteriore polarizzazione dovuta alla diversa capacità amministrativa di progettare e realizzare.

Infine, la crisi ambientale intesa come il venir meno in tempi rapidi delle condizioni di esistenza della specie umana, che si sostanzia in crisi climatica, inquinamento e riduzione della biodiversità ecosistemica, i cui rimedi non sono di diretta competenza dei comuni. In sintesi: i comuni subiscono gli effetti della crisi ambientale, ma per poter agire spesso devono rivolgersi a organismi tecnici sovraordinati di natura pubblica. Cosa succede con i servizi ambientali dei comuni delle aree marginali? Le piccole dimensioni e la tendenza a comprimere il numero di addetti della pubblica amministrazione hanno progressivamente svuotato i comuni delle competenze “hard” ossia quelle che comportano la gestione di grandi infrastrutture: servizio idrico integrato, raccolta dei rifiuti e fornitura di energia sono da tempo in mano ad utility, che agiscono con grande autonomia gestionale e finanziaria nonostante il controllo dei comuni con la maggioranza delle azioni.

Come agire quindi sulle aree più deboli e periferiche? Ai due approcci prevalenti in ambito accademico e di policy, uno di abbandono secondo una logica di efficienza e liberismo e l’altro di sostegno in favore di uno sviluppo economico sostenibile e sostenuto, il volume suggerisce una terza via. Una via intermedia che si concretizzi in un’alleanza tra aree centrali e marginali, con il centro che, per le forniture di servizi, supporti e sussidi la periferia e con le aree remote e periferiche che non siano sola ricchezza lenta e preziosa di chi vi risiede, ma un patrimonio collettivo nazionale e/o regionale. Oltre a questo, risulta fondamentale un ripensamento della fornitura dei servizi, che dovrà essere unificata o coordinata per tutti i micro-comuni vicini e accessibili tra loro. In ultimo, la necessità di integrare le politiche ai diversi livelli di governo, con l’obiettivo di sviluppare le complementarietà presenti o potenziali tra i comuni delle aree marginali e centrali.

Si tratta di sfide epocali che andranno a definire l’identità territoriale del Paese nei prossimi decenni. Una delle ricchezze riconosciute dell’Italia consiste infatti nella presenza di varietà e diversità non solo ambientale ma sociale, culturale e antropologica, che sarebbe un peccato perdere di fronte a meccanismi spontanei globalizzati che spingono verso l’omologazione. L’obiettivo è mantenere le diversità e rendere possibile a tutti i cittadini di godere delle specificità ed unicità presenti sul territorio nazionale.

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