Software open source: verso nuove modalità di relazione tra PA e cittadino

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La capacità di innovazione della PA si fa sempre più utilizzando modelli di business legati alla produzione di software open source, ma anche puntando su modelli di comunicazione capaci di garantire piena fruibilità dei servizi pubblici da parte di tutti i cittadini e ampia diffusione delle informazioni

12 Settembre 2018

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Patrizia Fortunato

Trasformazione digitale, software libero, big dat, interoperabilità: diventano le unità di avvicinamento della PA ai cittadini. La capacità di innovazione della PA si fa sempre più utilizzando modelli di business legati alla produzione di software open source e al riuso di componenti software preesistenti sviluppati in modo collaborativo con l’intento di migliorare la qualità dei servizi al cittadino.

L’evoluzione normativa volta a fronteggiare le esigenze di accessibilità dei siti web della PA, facilità d’uso, trasparenza, ha portato l’Italia ad essere tra le prime al mondo ad adottare una norma nazionale di preferenza per le soluzioni di software libero nella PA. La vera svolta open source è stata segnata nel 2012 con l’entrata in vigore della nuova formazione dell’articolo 68 del CAD (D.lgs 82/2005), che introduce l’obbligo di valutazione comparativa delle soluzioni (legge di conversione 134/2012 del D.lgs 94/2012). Per poter svolgere pienamente la propria missione verso i cittadini, la PA deve, dunque, preferire il riuso dei software e solo dove “risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a software già disponibili all’interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare”, optare per l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso.

Rendere fruibile l’informazione attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione era tra le finalità del Codice per l’Amministrazione Digitale già nel 2005 all’art.2, comma 1: “Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale”.

Ma quello che conta più della norma è la capacità di sostenere la cultura digitale e in questa direzione si sta muovendo il Team per la Trasformazione Digitale di Diego Piacentini, promuovendo un nuovo modo di lavorare all’interno della pubblica amministrazione, definendo le linee guida sull’acquisizione e il riuso del software. Il mondo dell’opennes è sempre più legato al lavoro di organizzazioni di standardizzazione o di normazione, costituitesi proprio con l’obiettivo di fissare degli standard che permettano di raggiungere l’interoperabilità dei sistemi informativi.

Come ridurre in Italia il digital divide, permettere quindi uno sviluppo equo tra le fasce di popolazioni, rendere fruibili i servizi pubblici, se non attraverso una governance dei dati aperti?

Le riflessioni sul tema erano già emerse da un confronto durante FORUM PA 2018. Non mancheranno altre occasioni, soprattutto durante ICity Lab 2018, in cui racconteremo quali progetti avviati sul territorio risultano essere uno strumento di accountability per le amministrazioni, finendo con l’attivare una partecipazione costante dei cittadini alla vita pubblica.

Qui di seguito riportiamo gli esempi emersi proprio durante FORUM PA.

La Regione Piemonte propone una nuova concezione di sistema informativo per la descrizione dei beni culturali, la raccolta di oggetti digitali correlati, la gestione dei dati e delle informazioni. In collaborazione con il CSI-Piemonte, l’amministrazione ha dato avvio alla piattaforma Mèmora per la gestione digitale del patrimonio archivistico e museale. Il primo passo per l’evoluzione del Sistema è avvenuto con l’adozione di Collective Access, il software gestito da una community internazionale di esperti informatici, garantendo alti standard tecnici, aggiornamenti continui e interoperabilità.

L’amministrazione capitolina ha attuato una strategia per la migrazione verso il software libero, il cui utilizzo è stato previsto da una delibera, la n. 55 del 14/10/2016. È stato anche rinnovato dopo oltre ben 35 anni un software presente all’interno dell’amministrazione per l’erogazione dei servizi anagrafici, il cui contratto dal 1983 era stato sempre rinnovato con lo stesso fornitore senza alcuna gara.

La Provincia di Brescia ha intrapreso la strada dell’accesso libero ai dati per lo sviluppo della rete bibliotecaria di area vasta (nella quale rientrano biblioteche della Provincia di Brescia – ben 235 -, Bergamo, Cremona e Mantova). Quasi 500 mila utenti sono registrati sulla piattaforma e ogni anno più di 2 milioni di prestiti sono gestiti attraverso la stessa, tanto che la Provincia sta pensando di introdurre l’asset della Rete bibliotecaria a supporto dei processi di innovazione del territorio. Si ricollega questo aspetto a quello dei cosiddetti big data. Mettendo in connessione dati che nasceranno dai sensori, da investimenti su infrastruttura IOT o da altri operatori sul mercato, altri soggetti pubblici o privati, il valore stesso dei dati assumerà un’altra rilevanza necessaria per le scelte di pianificazione dell’ente pubblico, ma anche per le scelte di valutazioni di natura imprenditoriale delle imprese. Di “Piattaforme abilitanti, IoT e Data Analytics” si parlerà il 17 ottobre prossimo, sempre durante ICity Lab 2018.

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