Open Data nei territori: dal ruolo degli enti locali al coinvolgimento delle community

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6 Febbraio 2019

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Giovanna Stagno

Responsabile Area Advisory e Gare FPA

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Il dibattito sugli Open Data è più attuale che mai. Recente la pubblicazione dell’Open Data Maturity Report 2018 che colloca l’Italia al 4° posto (4 posizioni in più del 2017) e ne conferma la posizione tra i trend-setter. Nei primi mesi dell’anno, peraltro il DESI 2018 registrava per l’Italia un balzo in avanti in materia di Open Data, dal 19° posto del 2017 all’8° posto nel 2018, diversamente da altri indicatori in cui l’Italia registrava invece valori al di sotto della media UE.

Le riflessioni dei primi mesi dell’anno – che l’appuntamento “Sistema Open Data: esperienze italiane verso una strategia nazionale” tenutosi all’interno del FORUM PA 2018 ha contributo a nutrire – hanno portato alla luce alcuni importanti trend:

  • l’ingegnerizzazione dei processi di apertura, sotto la spinta del Piano Triennale e del Data and Analytics Framework che vede negli Open Data uno dei tasselli della logica sistemica in cui si colloca il processo di razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio informativo della PA italiana. Il passaggio da logiche manuali a processi automatizzati contribuisce alla qualità perché agisce sui processi rendendone più efficace e sostenibile la gestione;
  • l’insistente richiesta di liberare dataset considerati ad alto impatto, e di valutare il concetto di “alto impatto”. Da questo punto di vista – sebbene siano pochi gli studi sul monitoraggio del valore dei dati aperti – la risposta economica alla liberazione di dati pubblici da parte delle aziende resta ancora prevalentemente legata alla produzione di dati utili a terzi o alla generazione piattaforme per gli open data e solo marginalmente collegata invece al riuso (vedi: italy.opendata500.com);
  • la crescente necessità di stringere sulla strategia e vision nazionale unitaria in materia di Open Data nel nostro Paese, come peraltro ribadito nel resoconto dei due anni di attività svolta dal Team per la Trasformazione Digitale.

I numeri entusiasmanti del DESI 2018 prima e dell’Open Data Maturity Report 2018 poi sono stati intervallati da alcuni dati sconfortanti di settembre. L’indagine dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano ha ristretto il focus sui processi di apertura degli enti locali e, combinata a quella di Unioncamere, ha messo insieme soggetti detentori di dati e soggetti potenzialmente utilizzatori di dati. L’indagine sovverte in un certo senso però i segnali di ottimismo registrati a livello nazionale e trova nel report europeo 2018 alcune conferme importanti in termini di governance e riuso. La percezione è quella di un contesto frammentato in cui il collante tra le iniziative nazionali e la reattività degli enti locali stenta a passare per il ruolo chiave delle Regioni e degli Enti Centrali.

Lasciando per un attimo da parte i numeri, le esperienze di questi mesi di confronto con amministrazioni regionali, comuni e comunità Open Data territoriali, ci rivelano alcune tendenze interessanti:

  • diverse domande aperte sullo stato dell’intero ecosistema dell’Open Data italiano. L’implementazione del DAF e la sperimentazione del data portal hanno creato grande attesa sull’evoluzione di dati.gov.it, inserita nel Piano Triennale stesso;
  • un grande lavoro ancora da fare sulle dinamiche base in materia di Open Data, ma parallelamente la necessità di spingere le amministrazioni a spostare l’asticella verso il tema più ampio della data governance collaborativa e dei processi decisionali data driven, come emerso nel corso degli appuntamenti ad ICity Lab 2018; 
  • il focus forte su due aspetti cruciali nel dibattito maturo sul tema: non si può più prescindere da dati di qualità e il valore dei dati sta nel loro effettivo riuso;
  • amministrazioni locali che – come dice la ricerca dell’Osservatorio – lamentano carenza di competenze per portare avanti processi di apertura dei dati da una parte e la reattività e proattività di alcune amministrazioni comunali che si qualificano come vere e proprie officine di sperimentazione dall’altra.

In un saggio dal titolo “Città di paure, città di speranze”, pubblicato postumo, Zygmunt Bauman parla della “sfida alla convivenza pacifica” e della lotta alla “fobia della mescolanza”, sostenendo che, seppure non esistano risposte locali alle ansie generate da incertezze e insicurezze di scala globale, le città rappresentano “il laboratorio in cui mettere in campo, sperimentare ed eventualmente adottare, i mezzi per placarle e dissiparle”. Questo esempio – forse azzardato per i più – riproduce in modo chiaro il meccanismo che è necessario che si attivi per uscire fuori dall’impasse sul tema Open Data. Un meccanismo che riconosca a ciascun ente il proprio ruolo in un processo di collegamento “a cascata”. La sperimentazione e il lavoro delle realtà locali contribuiscono alla creazione di una cultura sul tema Open Data, che muove dalle specificità delle singole realtà locali. È proprio qui che amministrazioni e attori territoriali si incontrano e lavorano insieme dando vita a progetti collaborativi e partecipati che trovano nella contaminazione tra pubblico, privato e associazionismo il vero punto di forza. La stessa Indagine 2018 sul livello di maturità degli Open Data in Italia, condotta da AgID, mostra come l’azione delle amministrazioni regionali e locali contribuisca fortemente alla creazione di una cultura Open Data sui territori, agendo sulle leve dell’empowerment dei dipendenti pubblici e sull’engagement del territorio.

Tutto ciò però non può non trovare un riferimento in una strategia e in una governance nazionali che sistematizzi le lezioni apprese sui territori e le richieste degli attori locali per attivare dinamiche virtuose di trasferimento di competenze, di soluzioni e pratiche. Significherebbe dare compimento al paradigma dell’Open Government e alla nascita, dal basso, di nuove forme di governo.

In questo meccanismo, che ruolo hanno le regioni? Fondamentale nello stimolare le forze locali e nel “mettere a sistema” un framework nazionale. Le stesse Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico presentano un modello di governance che “attribuisce alle Regioni il ruolo di aggregatori territoriali”. Quante regioni stanno facendo questo? Sono ancora troppo poche quelle che, disponendo di un portale open data maturo, ospitano dataset di enti locali, ma è chiaro che il ruolo non si limita a questo. Esso implica azioni più profonde e ragionate di coordinamento e di indirizzo dei processi di pubblicazione degli Open Data rivolti alle amministrazioni locali, di ingaggio delle comunità locali e di disseminazione della cultura degli Open Data sul territorio, di valorizzazione e di attivazione di pratiche di riuso. È fondamentale allora accompagnare le regioni in questo ruolo e occorre farlo con consapevolezza.

Per concludere, gli Open Data in Italia pare quindi debbano fare i conti con fattori di tipo:

  • tecnico, legati all’implementazione di portali di ultima generazione, all’allineamento agli standard di riferimento e alla capacità di liberare dati di qualità, “pochi ma buoni”;
  • professionale, legati alle competenze adeguate a far sì che le amministrazioni siano effettivamente data driven. Il Syllabus delle competenze digitali di base della PA, recentemente pubblicato in consultazione dal Dipartimento della Funzione Pubblica, inserisce una sezione dedicata alle competenze per la gestione degli Open Data: punto di partenza per colmare il gap di competenze rilevato e per far maturare una visione sul tema open data;
  • culturale, di apertura oltre l’adempimento per gli obiettivi di trasparenza. Da questo punto di vista, vuol dire lavorare su due fronti: da una parte sulla generazione di valore pubblico a partire dagli Open data e dall’altra sul rafforzamento e valorizzazione degli ecosistemi territoriali. Qui il ruolo delle community Open Data a livello locale può essere cruciale per un vero cambio. Tutto il meccanismo funziona se insieme ad una PA aperta e che coinvolge i cittadini, consapevole e in grado di attivare meccanismi collaborativi, lavorano le comunità territoriali che si sporcano le mani, che possono contribuire a trainare cittadini e amministrazioni verso il concetto del “prendersi cura” insieme, in modo collaborativo;
  • di governance. Gli “enti locali fanno quello che riescono a fare. Lo fanno come possono e quando possono”, serve un modello di governance chiaro e forse – è arrivato il momento – anche definitivo. Il lavoro fino ad ora fatto in questa direzione va adesso capitalizzato e finalizzato verso tempi ed esiti certi.

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