Cooperazione applicativa, il paradosso: facile ma ignorata dalla PA
Ci sono le condizioni di realizzare soluzioni tecnologiche più semplici basate su standard industriali prive di componenti di natura proprietaria e facilmente implementabili utilizzando prodotti open: la cooperazione applicativa richiede capacità e conoscenze oggi relativamente diffuse. Ma il principale problema è che nel corso di 15 lunghi anni in cui il mondo della IT ha fatto passi da gigante in Italia nessun progetto della pubblica amministrazione ha fatto uso delle infrastrutture predisposte per la cooperazione applicativa
11 Luglio 2016
Alessandro Osnaghi, Università di Pavia
Numerosi articoli recenti hanno riproposto la tematica della cooperazione applicativa nell’ambito della pubblica amministrazione italiana. Il termine, che in inglese suona application integration, fu introdotto e utilizzato in modo un po’ azzardato nello Studio di fattibilità della Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione (RUPA) del 1996 e da allora si aggira come un fantasma e non si è mai veramente materializzato.
Si trattava di un modello architetturale, allora innovativo, per la realizzazione di sistemi informatici complessi costruiti connettendo in una rete sistemi preesistenti funzionalmente dedicati e consentendo alle applicazioni dell’uno di scambiare dati con le applicazioni dell’altro.
Chi ha vissuto dall’origine l’evoluzione delle Tecnologie di Informazione e Comunicazione (ICT) potrà ricordare che nella seconda metà degli anni 90 del secolo scorso non erano ancora sviluppati e affermati gli standard industriali che avrebbero soppiantato gli standard de iure relativi alle funzionalità necessarie a garantire l’interoperabilità tra sistemi proprietari destinati a cooperare a livello applicativo.
Allora non esistevano gli standard internet e neppure la rete Internet come oggi la conosciamo. I sistemi dei costruttori sopravvissuti sul mercato allo shake-out degli anni 90 avevano architetture proprietarie e sistemi operativi proprietari e incompatibili e non esisteva l’idea stessa della compatibilità del software a livello binario. Nella migliore delle ipotesi si poteva ottenere la compatibilità a livello sorgente di applicazioni destinate ad essere eseguite su sistemi diversi.
Naturalmente anche i sistemi informativi delle Pubbliche Amministrazioni italiane non potevano sfuggire a questi vincoli tecnici e di mercato: nascevano isolati e restavano completamente isolati rispetto ai sistemi di altre amministrazioni.
Ragioni organizzative e di rapporto costo/prestazioni degli elaboratori unite alla disponibilità di interconnessioni di rete locale o di rete privata favorivano all’interno di una organizzazione la realizzazione di architetture basate su sistemi distribuiti secondo il modello client-server e per realizzare l’integrazione tra applicazioni eseguite su sistemi diversi di una stessa organizzazione, diventava necessario utilizzare le funzioni offerte da componenti software molto complessi e costosi chiamati middleware. Alla fine degli anni 90 i middleware disponibili sul mercato erano tutti proprietari e chiaramente improponibili per realizzare l’interoperabilità e l’integrazione applicativa tra i sistemi informativi delle amministrazione del paese. Per chi non aveva evidenza delle rapide evoluzioni in atto delle tecnologie dell’informazione pensare ad una integrazione dei sistemi di amministrazioni diverse era certamente una fuga in avanti. A questo proposito è interessante ed istruttivo rivelare alcuni particolari inediti di un incontro avvenuto nel gennaio 2001 tra l’allora Chairman & Chief Software Architect di Microsoft (così il suo biglietto da visita) Bill Gates e l’allora ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini. Durante l’incontro era stato presentato a Bill Gates il Piano di azione di e-government approvato dal governo nel giugno 2000, che nella sua parte qualificante di natura sistemica – altre parti del Piano riguardavano iniziative, anche discutibili, di singole amministrazioni alle quali competeva una quota dei fondi messi a disposizione – si proponeva di realizzare l’integrazione applicativa tra i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni.
Il foglio di appunti autografo in Figura 1 documenta la discussione architetturale intervenuta con Bill Gates e la soluzione tecnica basata sulla tecnologia Biztalk che Microsoft offriva per realizzare un prototipo in stretta collaborazione e in sei mesi (delivered in 6 months), collaborazione riproposta nella successiva lettera di ringraziamento indirizzata al Ministro. Allora non se ne fece nulla e non se ne poteva fare nulla mancando peraltro proprio l’infrastruttura di interconnessione tra le amministrazioni che era il presupposto per l’interoperabilità e la cooperazione applicativa: la RUPA infatti non era una rete, ma solo un contratto di fornitura di connettività e servizi internet alle amministrazioni e solo a quelle centrali. Una delle azioni del Piano era proprio la realizzazione di una rete tra le pubbliche amministrazioni, denominata successivamente SPC, e della infrastruttura middleware per il supporto della cooperazione applicativa denominata SPCoop. Sugli errori commessi nei 15 anni seguiti al piano del 2000 è stato detto tutto e con SPCoop disponiamo di una soluzione molto pesante e che richiede l’utilizzo di componenti proprietari.