Lavoro di squadra e più commitment: così un RTD può fare la differenza

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Non solo nuove tecnologie ma anche change management e cultura digitale: quello del RTD è un ruolo multidisciplinare che se prima della pandemia veniva poco contemplato, solo per adempiere alla normativa, ora è essenziale per la ripresa e la competitività del Paese tra smart working e nuovi servizi per i cittadini. Il rischio però è che rimanga “un super eroe solo” mentre c’è un forte bisogno di lavorare in squadra, con un maggior commitment e qualche scoglio tecnologico da rimuovere a partire dalla mancanza di interoperabilità delle banche dati. Questo è quanto emerso in occasione del primo incontro della community RTD di FPA

3 Giugno 2021

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Redazione FPA

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Figura chiave per la trasformazione digitale delle PA e ultima tappa del percorso evolutivo delle strutture deputate a governare i processi interni di innovazione, il RTD (responsabile transizione digitale) è stato introdotto nell’ambito della Riforma Madia già nel 2015 ma nell’ultimo anno, con la pandemia, ha goduto di una maggiore visibilità e, spesso, anche di una nuova centralità operativa. Osservare l’evoluzione di questo ruolo e le opportunità ad esso legate significa fotografare non solo lo stato del Paese ma anche la sua propensione all’innovazione che è ben emersa durante il primo incontro della community dei RTD di FPA, lo scorso 28 aprile.

La community RTD di FPA si riunisce tre volte l’anno, nell’ambito del progetto Cantieri FPA, in tavoli di lavoro riservati e realizzati in collaborazione con alcuni importanti player del mercato ITC: DXC Technology Italia, Liferay, Samsung Electronics Italia e ServiceNow.

RTD, da adempimento e opportunità a necessità

Fin dalla sua creazione, quello del RTD è stata inteso come un ruolo di coordinamento multidisciplinare chiamato a promuovere la transizione digitale in senso ampio, con una forte connotazione di change management, che ne amplia le competenze ben al di fuori dalla mera dimensione tecnologica. Il suo compito non è quello di informatizzare le strutture pubbliche, ma di portare avanti un cambiamento pervasivo e complessivo della PA partendo proprio con il sensibilizzare e supportare i vertici politici e i decisori con cui è in stretto contatto.

Una figura del genere racchiude molte opportunità che le PA hanno tendenzialmente ignorato per diversi anni: nel 2017 la maggioranza non aveva provveduto ad istituirla al proprio interno, nel 2018 poche erano le realtà che avevano fatto questo passo e solo i dati di fine 2019 mostrano una crescita di consapevolezza, per lo meno di dover adempiere a quanto richiesto per legge.

Se a inizio 2020 poco meno del 37% delle amministrazioni territoriali aveva infatti nominato un RTD, a far cambiare il passo al Paese è arrivata la pandemia: da marzo 2020 a marzo 2021 si passa da 4.500 a oltre 7000 nuove figure, prevalentemente nelle strutture più grosse mentre le piccole amministrazioni locali restano al 50% di copertura per tale ruolo.

L’emergenza sanitaria non ha provocato solo una “corsa alle nomine”, ma ha reso la trasformazione digitale “la” priorità di tutte le realtà di ogni genere e dimensione mettendo nelle mani del RTD il compito di garantire la continuità operativa delle diverse amministrazioni e di sviluppare prima delle forme di lavoro agile emergenziali e poi un maturity model per lo smart working del futuro. Tutto questo portando avanti in parallelo un profondo lavoro culturale, affinché le novità introdotte fossero accolte con favore o per lo meno con curiosità e non come imposizioni ed effort addizionale.

Niente super eroi soli, serve fare squadra e fare cultura digitale  

Ben consapevoli di aver goduto di una quasi improvvisa centralità sull’onda dell’emergenza sanitaria che ha obbligato la PA ad accelerare la transizione digitale, i RTD, a quanto emerso dal tavolo di confronto, si sono trovati in prima linea ad operare su due fronti entrambi sfidanti: la citizen experience e la employee relationship. Nel primo caso è stata l’opportunità per cominciare a contemplare l’utilizzo anche dei servizi telematici fino a quel momento considerati “oggetti avulsi” rispetto al quelli fisici tradizionali, scoprendone anche le comodità e i vantaggi. Per quanto concerne il rapporto coi dipendenti, il RTD ha potuto giocare un ruolo importante nella costruzione del maturity model per il lavoro agile, con la convinzione che il successo della transizione digitale interna sia legata alla presenza di servizi e procedure smart, accessibili a tutti ed evidentemente più comodi di quelli tradizionali.

Nonostante sia ben chiaro fin dalla sua definizione, questo ruolo fatica a prendere le distanze dal concetto di informatizzazione e digitalizzazione, la tecnologia è spesso protagonista dei suoi interventi e della sua posizione. Per abbracciare una dimensione più ampia e anche organizzativa e culturale il segreto condiviso al tavolo è stato quello di riuscire a rendere invisibile la tecnologia, non farne percepire la presenza dimostrando però quanto sia utile e funzionale, rispetto ad un cambiamento radicale che il RTD deve portare avanti facendo leva sulle proprie competenze trasversali, dal change management al employee engagement. Competenze non tecniche, quindi, e che alcuni partecipanti hanno segnalato come carenti, un freno alla transizione digitale insito in chi ne dovrebbe essere il traino.

Ciò non toglie che il RTD non debba comunque passare per un “supereroe”, solo a lottare contro la reticenza al cambiamento di colleghi, cittadini e società tutta. Emerge come bisogno fondamentale, infatti, il lavoro in team, sia con figure interne affini sia con colleghi RTD di altre realtà con cui si collabora, in modo da poter costruire un ecosistema propulsivo che faccia avviare il Paese nella giusta direzione a ritmo sostenuto. Questo non toglie la necessità di rimuovere anche alcuni ostacoli più tecnici, in primis la mancanza di interoperabilità delle banche dati di diverse PA, lo scoglio forse più enorme assieme alla riluttanza di alcuni lavoratori anche legata ad una età media spesso alta. 

Lo switch off: si spezza il circolo vizioso tra domanda offerta

Nello scambio di esperienze e visioni durante l’incontro della community RTD di FPA, c’è stato spazio per analizzare anche i numeri della diffusione di servizi e piattaforme digitali a ridosso della simbolica scadenza del 28 febbraio 2021.

A fine aprile 2021 SPID e le CIE attivati sono rispettivamente 19,9 milioni e 21,2 milioni e le transazioni effettuate su pagoPA raggiungono i 45,2 milioni per un totale di 7,9 miliardi di euro ma entro fine anno potrebbero diventare 178 milioni per un valore di 34 miliardi di euro di transato. L’appIO può contare su 11.2 milioni di download grazie all’operazione Cashback che ha richiamato 8,4 milioni di cittadini e fatto attivare 15,4 milioni di strumenti di pagamenti.

Nell’ultimo anno si è spezzato il circolo vizioso che teneva in ostaggio queste innovazioni: la mancanza di domanda di servizi digitali ritardava la loro integrazione da parte della PA che, a sua volta, non ne stimolava quindi l’adozione. Grazie anche all’idea di legare all’utilizzo delle piattaforme alcuni servizi ad ampia diffusione (es. servizi previdenziali, fiscali e della motorizzazione per SPID; Bonus Vacanze e il già citato Cashback per IO) il meccanismo perverso è stato interrotto ma la strada non è propriamente in discesa.

Dal confronto tra i RTD aperto da FPA, emergono ancora difficoltà e resistenze, anche all’interno delle stesse PA. C’è chi per superarle ha iniziato a far diffondere l’uso dello SPID, ad esempio, tra i dipendenti stessi in modo che ne potessero sperimentare, e apprezzare, l’utilizzo per poi meglio insegnarlo ai cittadini supportandoli e incoraggiandoli al cambiamento.

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