EDITORIALE

Una caccia al tesoro per la spending review

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In questi giorni, dopo molti mesi di sottotraccia è riemersa, come un fiume carsico, la spending review. L’occasione è stata data dalla relazione del Presidente della Corte dei Conti che ha dato un giudizio preoccupato sugli esiti di questa politica di revisione della spesa. Ha risposto immediatamente il MEF e subito dopo ecco una dichiarazione molto netta del Presidente Renzi . Qualcosa non torna e quando questo succede io piano piano, come un esploratore, cerco di sbrogliare la matassa leggendo direttamente le fonti.

25 Febbraio 2016

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Carlo Mochi Sismondi

In questi giorni, dopo molti mesi di sottotraccia è riemersa, come un fiume carsico, la spending review. L’occasione è stata data dalla relazione del Presidente della Corte dei Conti che ha dato un giudizio preoccupato sugli esiti di questa politica di revisione della spesa. Ha risposto immediatamente il MEF mettendo in home page del proprio sito un comunicato su “Quanto pesa la spending review?”; subito dopo ecco una dichiarazione molto netta del Presidente Renzi che ha parlato di cura da cavallo e di un successo pari a 25 miliardi di risparmi.

Qualcosa quindi non torna e quando questo succede io piano piano, come un esploratore, cerco di sbrogliare la matassa leggendo direttamente le fonti.
La questione non è né semplice né del tutto chiara, ma qualche risultato l’ho portato a casa. Condivido con voi i punti principali.

La relazione orale del Presidente della CdC Raffaele Squitieri in realtà non fa neanche un numero e non dice quindi se abbiamo conseguito grandi risparmi o meno, però dice (nelle note il testo ufficiale) al Governo:

  • Avete tagliato, ma non sapevate né esattamente cosa né quali erano i vincoli e le regole della spesa pubblica. [1]
  • Non riuscendo a tagliare la spesa corrente avete tagliato gli investimenti che sono il futuro del Paese. [2]
  • Non avete tagliato solo gli sprechi, ma anche i servizi che il cittadino si aspetta. [3]
  • Specie nella sanità questo ha creato gravi differenze tra le regioni creando così cittadini di serie A e cittadini di serie B. [4]

Il MEF non risponde direttamente a questi rilievi, ma afferma che sono stati risparmiati tra il 2014 (3.608) e il 2015 (14.395) ben 18.003 milioni di euro e che ne risparmieremo altri 7.177 nel 2016. Il sito del MEF suffraga poi questa affermazione in due modi: da una parte riporta i provvedimenti che hanno portato o porteranno a risparmi, dall’altra ci indica alcuni siti dove meglio documentarci. Non mi sono fermato e sono andato a guardare:

  • I provvedimenti elencati sono 14 e sarebbe troppo lungo per un editoriale citarli tutti (ma li trovate qui). In generale però si tratta di provvedimenti importanti, ma che daranno effetti, sempre che non siano abrogati nel frattempo, tra qualche esercizio. Valga come esempio la razionalizzazione degli acquisti tramite la riduzione drastica delle stazioni appaltanti (da 35.000 a 35 dice il MEF) o i limiti di spesa per le consulenze (che intanto sembrano per altro crescere) o ancora la dismissione degli immobili della Difesa, lodevole iniziativa che spero non attuino ora che i prezzi degli immobili sono ai minimi storici. Insomma noi vogliamo assolutamente crederci, ma si tratta di risultati futuri, non di risparmi attuati.
  • Molto peggio va se andiamo, come il sito del MEF ci consiglia, a guardare il sito del Commissario per la revisione della spesa. Nel leggere le slides di Cottarelli riportate in home page di questo sito devo reprimere una sensazione di disagio: parlano di quanto avremmo potuto risparmiare nel 2014, poi nel 2015 per arrivare a regime nel 2016. Si parla, tra gli altri, di risparmi in quel triennio ormai quasi passato di oltre un miliardo per il ridimensionamento del Senato e degli Organi Costituzionali (da fare), di circa 1,3 miliardi da conseguire con i pagamenti elettronici (da fare); di altri 1,2 miliardi per i risparmi derivati dalla digitalizzazione della PA (da fare); di 1,7 miliardi nel 2016 per l’accorpamento delle forze di polizia (da fare) ecc. ecc. Non infierisco, sono conscio che le riforme richiedono il loro tempo e che questo tempo in Italia non è calcolabile, ma consiglio il MEF di non indirizzare i cittadini a questo sito per verificare i risparmi. Ne nasce uno sconforto pari a quello che proveremmo trovandoci davanti i biglietti non usati di un bel viaggio che abbiamo dovuto annullare per il morbillo di un figlio.

Infine interviene il Presidente del Consiglio Renzi, a cui consiglierei di essere più prudente con i numeri specie se parla ad una platea di giornalisti che provengono da Paesi che hanno il culto dell’esattezza. La sua dichiarazione tranchant alla Stampa estera è (cito a memoria perché non c’è una trascrizione ma potete guardare il video della conferenza stampa): “altro che Cottarelli, lui immaginava 20 miliardi di tagli, noi ne abbiamo fatti 25: una cura da cavallo!”

Breve conclusione:

  • Questo Paese ha bisogno di numeri chiari, definitivi, non contestabili. Mi sono scocciato di sentire dire cose così diverse da soggetti tutti istituzionalmente rilevanti, così come mi sono scocciato di sentire ogni sindaco entrante dire che ha trovato un enorme buco nelle finanze e quello uscente affermare che i conti erano in perfetto ordine. Open government vuol dire questo: mettere i cittadini in condizione di leggere i numeri, di capire, di giudicare.
  • La spending review è una cosa molto seria che richiede pazienza, tempo e soprattutto coerenza. Per tanti versi abbiamo intrapreso una buona strada, per tanti altri siamo ancora in alto mare. Un po’ di umiltà non guasterebbe.
  • La revisione della spesa non si può fare che coinvolgendo tutti i soggetti, in primis chi nella PA ci lavora. Ascoltare in questi casi fa molto bene.

[1] Ovviamente non scrive proprio così, ci va più morbido, ma testualmente dice che : il parziale insuccesso o, comunque, le difficoltà incontrate dagli interventi successivi di “revisione della spesa” sono anche imputabili ad una non ottimale costruzione di basi conoscitive sui contenuti, sui meccanismi regolatori e sui vincoli che caratterizzano le diverse categorie di spesa oggetto dei propositi di taglio.

[2] Anche qui il testo è meno diretto, Squitieri dice che: i risultati conseguiti – che sono importanti a livello di dati aggregati – nascondono i segni delle rigidità e delle difficoltà incontrate nella scelta delle modalità di contenimento della spesa. Il sacrificio degli investimenti pubblici – un punto su cui il Governo sta ponendo una attenzione particolare – è una prima evidenza emerge dall’esperienza degli ultimi anni e che testimonia un risultato molto sbilanciato nella composizione tra spesa corrente e spesa in conto capitale.

[3] Anche qui ecco il testo: Ma di pari importanza è l’osservazione secondo la quale il contributo al contenimento della spesa non è più solo riconducibile ad effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto, piuttosto, ad operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività. Dai tagli operati è, dunque, derivato un progressivo offuscamento delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall’intervento pubblico cui è chiamato a contribuire.

[4] Solita traduzione dal linguaggio aulico che dice: Queste contraddizioni appaiono, naturalmente, più stridenti sul fronte degli enti territoriali. Così, per le regioni, al netto di quanto destinato al finanziamento della spesa sanitaria, si evidenzia come il progressivo taglio delle risorse disponibili si sia tradotto in una modifica del rilievo delle funzioni svolte, con caratteristiche diverse tra regioni, e come ciò stia progressivamente portando a delineare particolari modelli territoriali e diversità di accesso dei cittadini ai servizi.

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