Piccola guida al Data Manager nella PA

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Continua il percorso di Francesca  Sensini – Web Content Manager della Rete Civica del Comune di Città di Castello – tra le professioni del web 2.0 nella comunicazione pubblica. Dopo gli articoli dedicati al community manager e al Digital Strategic Planner questa volta la nostra "piccola guida" si concentra sul Data manager anche grazie al contributo di Matteo Brunati di IWA Italy che ha evidenziato come all’interno delle pa esistano già figure di "responsabili dei dati", quello che manca è la costruzione di un processo di filiera interno che permetta di produrre un flusso in entrata e in uscita di dati di qualità.

27 Marzo 2012

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Francesca Sensini*

Articolo FPA

Continua il percorso di Francesca  Sensini – Web Content Manager della Rete Civica del Comune di Città di Castello – tra le professioni del web 2.0 nella comunicazione pubblica. Dopo gli articoli dedicati al community manager e al Digital Strategic Planner questa volta la nostra "piccola guida" si concentra sul Data manager anche grazie al contributo di Matteo Brunati di IWA Italy che ha evidenziato come all’interno delle pa esistano già figure di "responsabili dei dati", quello che manca è la costruzione di un processo di filiera interno che permetta di produrre un flusso in entrata e in uscita di dati di qualità.

Tutta la pubblica amministrazione da anni sta portando avanti i processi di E-gov attuando giorno dopo giorno, passo dopo passo, le disposizioni che le leggi e le direttive impongono o semplicemente suggeriscono. Ma cosa potrebbe fare in più il responsabile ICT di una PA che già non faccia? Sicuramente può e deve garantire un backend in grado di veicolare ogni novità, tecnica e normativa, dunque pensare già a quello che sarà il futuro dell’ICT per un ente pubblico.

L’Open Data è già una realtà in diverse regioni e alcuni comuni (qui la mappa dell’Open data a cura di Ernesto Belisario) e le proposte di legge regionali stanno aumentando, così come stanno aumentando i portali di open data regionali. Andando ad analizzare i differenti portali si scoprono storie e percorsi diversi sia per l’uso dei programmi che per il formato dei datasets, che per i servizi offerti, ma con un solo unico scopo: favorire i cittadini nella lettura e nell’uso dei dati pubblici, quella che chiamiamo trasparenza.

Una amministrazione che si affaccia all’open data navigherà tra formati di datasets, scelta di software e uso di licenze – quest’ultimo standardizzato per il nostro paese grazie alla IODL 2.0 – ma per la scelta dei formati oltre l’Open Data sarà fondamentale pensare prima anche agli Open Services. Come scrive anche Alfonso Fuggetta, infatti, gli open services saranno alla base dei progetti futuri gestiti dal backend di un ICT di ente pubblico. Ovvero quei servizi che necessitano di apertura di dati pubblici – full open services li definisce Fugetta – per prepararsi alle grandi sfide del futuro: le Smart City. Dunque orizzonti sempre più vasti e prospettive davvero molto interessanti che necessitano di un "operatore della tecnologia" che dentro la PA sappia riconoscere il valore aggiunto di un dato liberato in un certo formato rispetto ad un altro e dell’uso di standard tecnici, riconosciuti anche nella vasta normativa legata ai siti web PA e alla trasparenza, fonti primarie normative per l’Open Data: insomma necessitano di un Data Manager.

Open data e Smart City: parole e concetti che vanno molto di moda e non ne voglio certo abusare. Ma ben vengano le mode se servono a garantire la trasparenza della PA e ben vengano i Data Manager illuminati e "alla moda" che sanno cogliere queste sfide e preparare il proprio ente a scelte importanti avendo già predisposto al suo interno gran parte del materiale e delle strutture necessarie. 
Per questo avere competenze di Data Management è fondamentale oggi nella PA, e queste non si fermano a quelle che potremmo identificare nel DB administrator degli skills profiles IWA, assieme a quelle del Data Analyst degli skillslibrary. Non sono solo competenze tecniche, ma anche creative, linguistiche e di comunicazione, per scegliere il prodotto giusto per il proprio ente, con lungimiranza e favorendo sempre e comunque la trasparenza.

Questo post di Salvatore Marras, nel suo blog su Innovatori PA, offre una panoramica di quanto e cosa è stato rilasciato dagli enti fino ad oggi – dati interessanti anche per il tipo di licenza e di prodotto usato per creare i datasets – ma per meglio definire quali possono essere i requisiti di base di un Data Manager ho voluto chiedere direttamente a chi questo lavoro lo fa da anni. Io ho una preparazione e un background prevalentemente umanistico e un approccio fondamentalmente "filosofico" anche verso l’innovazione, anche perché credo che prima di cambiare hardware e software nella PA sia necessario cambiare il proprio pensiero e punto di vista rispetto alla valenza oggettiva dell’innovazione e delle possibilità infinite che può dare e garantire ad una PA. Per questo mi sono rivolta direttamente ad uno che prima di tutto è un tecnico e che sa davvero cosa sia e come si faccia Open Data: Matteo Brunati[1].

A cosa deve puntare un Data Manager? Qualità dei dati o quantità?

Partiamo da un concetto di base: all’interno della PA ci sono già i responsabili dei sistemi informativi, ed i responsabili dei dati. Per cui serve prima di tutto capire la filiera in gioco, e poi capire come potenziare le figure in essere, ma soprattutto abilitare il processo e la filiera per la gestione dei nuovi flussi operativi.
La filosofia è quella di far uscire i dati grezzi (per evitare costi e troppo lavoro a monte), ma di qualità. Ma a questo punto bisogna soffermarsi un attimo su alcune implicazioni di questo processo che non sono affatto scontate. A mio avviso occorre comprendere la dimensione nuova dell’Open World Thinking. Tipicamente quello dei databases viene definito mondo chiuso, in cui le applicazioni hanno funzionalità ben precise e lavorano in un ambiente “protetto”. Internet ed il Web hanno creato, invece, un nuovo mondo di dati semi-strutturati gestiti attraverso nuovi modelli. Non per nulla esiste il movimento NoSQL ed i relativi databases. Dal fronte poi della dimensione Linked Data, ovvero del Web of Data, le cose cambiano ancora.
Bene, quanti nella PA sono consapevoli dell’esistenza di questi mondi? Quanti si domandano cosa significa diffondere dati di qualità con formati tradizionali e cosa implica ragionare con modelli aperti come quelli del Linked Data?
Questo è quello che serve domandarsi per capire come il reparto tecnico ed il reparto manageriale di una PA possano gestire efficacemente il feedback continuo tra cittadini e amministrazione. Il dato, in questo processo, diviene solo un anello della catena, non la parte centrale.

Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un Data Manager?

Nel documento degli Skill Profiles esiste la figura denominata dall’amministratore del database. Sicuramente un Data Manager deve avere la consapevolezza e l’esperienza analoga a questa figura, ma dovrebbe avere un quadro molto più completo del mondo della gestione del dato. Ad esempio deve come minimo sapere riconoscere il ciclo di vita del dato nel mondo del Web of Data. Licenze, diritti e doveri, qualità e formati sono e saranno il suo pane quotidiano. Ma sono anche utili doti di Community Manager: gestione dei conflitti, gestione e rapporti con i cittadini online, e di gestione dei flussi informativi e relazionali tra reparti e persone con formazioni diverse.

In questo periodo finalmente anche le istituzioni italiane si accorgono che l’Open Data è un aspetto importante del percorso della trasparenza e partecipazione dei cittadini: secondo la tua esperienza le PA sono pronte ad affrontare la sfida dei dati liberi?

Il tema ormai è sempre più presente. In questi giorni anche la Lombardia, ad esempio, ha adottato un portale per diffondere gli Open Data a livello regionale, ma a mio avviso il vero problema italiano è rappresentato dal mondo digitale e dalla cultura digitale. Manca, infatti, una vera e propria formazione interdisciplinare al tema, che non può essere solo un tema tecnologico, e nemmeno solo un tema relativo alla comunicazione, o solo una questione di infrastruttura.
Internet ed il Web sono luoghi esperienziali e per capirne le caratteristiche serve farne esperienza.
L’Open Data, come ho più volte detto, oggi è visto spesso come una mera azione di marketing, senza una visione sistemica del processo che abilita. Il problema della PA è che sul tema Open Data si deve fare un lavoro di squadra: si deve abilitare una filiera interna che adotti e permetta nuovi flussi in entrata ed in uscita, tutti elementi dirompenti nella concezione classica della PA. Si tratta di temi che la visione dell’Open Gov abilita, scontrandosi, però, con situazioni diversissime su scala nazionale. Approcci culturali del secolo scorso, ed idee stantie sul tema del copyright e sui legami sul diritto d’autore e la base dati creano conflitti molte volte inutili, che rallentano l’adozione di tutta una serie di pratiche: non per nulla si parla sempre più di data divide.

Cosa serve per cambiare questa situazione?

Serve sicuramente un’azione formativa massiccia, per facilitare la comprensione del quadro di insieme. Anche perché occorre confrontarsi con il mondo esterno, dove dinamiche simili si sono attivate prima, per capire come facilitare la contaminazione di saperi, e di ruoli. Di certo il tema fondante di tutto questo deve passare per un ripensamento dell’idea che abbiamo dello Stato: lo Stato siamo noi, e lo Stato è quel bene comune che è prima di tutto nostro. Per cui la sfida, ad esempio, è nel rivedere il ruolo del cittadino non più come mero fruitore dei servizi, ma anche come partecipante con ruolo attivo nella dialettica della gestione del proprio territorio. Tutti elementi che vanno gestiti, con strumenti e formazione adeguata.
In più ci sono le questioni più tecniche. Serve una cultura dei dati, e serve cultura nel processo e nella gestione integrata del flusso che si crea. Dato di qualità perché nasce da una gestione avanzata interna, e processo di qualità perché nasce da una reale consapevolezza del quadro di insieme che si abilita. Sono problematiche tutte nuove, che hanno bisogno di una formazione e di una gestione ben precisa.
Ma una cosa è certa: quello che accade ad esempio in liste come Spaghetti Open Data, lascia ben sperare. Discussioni aperte tra cittadini, tecnici, appassionati e le persone all’interno della PA che cercano feedback, guide, best practices. Questa è la reale forza di cambiamento, la reale leva che potrà cambiare molte cose. L’ascolto reciproco, costruttivo e previsto in tutte le fasi della gestione del nostro bene pubblico.

 * Francesca Sensini è Web Content Manager della Rete Civica del Comune di Città di Castello


[1] Chi è Matteo Brunati: un appassionato del Web e di tutte le dinamiche sociali che abilita. Studioso degli standard tecnici alla base di questa piattaforma di condivisione, è tra gli editor della prima versione degli Skill Profiles, per capire come far evolvere le professioni relative al Web. Appassionato della visione del Semantic Web, spinge e supporta il movimento Open Data italiano, sia con l’associazione Wikitalia, che con il supporto ad IWA Italy nella promozione degli standard del Web of Data e delle attività collegate. E’ nel comitato organizzatore di Apps4italy, il primo contest italiano sul tema Open Data. Partecipa alla mailing-list di Spaghetti Open Data, uno dei luoghi dove confrontarsi con esperienze e formazioni diverse sul tema, ed ha contribuito alla realizzazione tecnica del primo sito che ha anticipato il portale degli Open Data nazionale, dati.gov.it. Lavora nel Gruppo TeamSystem per Metodo, una società di Bassano del Grappa, promuovendo l’utilizzo del Web nell’organizzazione, e collabora con progetti di urbanistica partecipata ( etucosacivedi.it ), promuovendo l’utilizzo degli Open Data sia come maggior veicolo per raccontare l’ecosistema territoriale, sia per aumentare l’efficacia della partecipazione dei cittadini nel susseguirsi delle politiche di partecipazione locale. 

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