Robin Hood smart citizen. L’hacker civico che (non) ruba le informazioni e che rende visibile l’invisibile

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A mente fredda ripensiamo alle aspettative di partenza, agli obiettivi di analisi che ci avevano incuriositi quando abbiamo preparato le prime bozze del programma di ICity Lab 2018, a cosa volevamo dimostrare quando abbiamo parlato di attivismo civico nel Libro Bianco sull’Innovazione nelle PA. Siamo tornati sull’argomento nell’incontro Hacking civico e smart citizen: chi abita la smart city? e abbiamo scoperto che Robin Hood è un hacker civico

7 Novembre 2018

B

Marina Bassi

“Per ogni hacker che cerca di rubarvi l’identità ce n’è uno che progetta uno strumento che vi aiuterà a ritrovare le persone care dopo un disastro o a monitorare la qualità dell’ambiente dopo una perdita di petrolio. L’hacking è una qualsiasi innovazione su un sistema esistente, ed è un’attività profondamente democratica. Si tratta di pensiero critico. Si tratta di mettere in discussione il modo comune di fare le cose. È l’idea che si vede un problema, e si lavora per sistemarlo”[1]. La spiegazione di Catherine Bracy (2013) sull’hacking democratico, ripresa da Vincenzo Patruno nel corso dell’incontro Hacking civico e smart citizen: chi abita la smart city? sembra essere la sintesi puntuale di quanto emerso all’appuntamento nell’ambito della Manifestazione ICity Lab 2018. L’incontro, diviso in tre momenti di approfondimento, ha voluto analizzare

  • cosa si intenda per hacking civico, e in quali forme può manifestarsi;
  • la sua dimensione identitaria;
  • l’ipotesi di riportare a un quadro giuridico definito le iniziative di attivismo civico.

Per capire chi è l’hacker civico, con un esempio portato da Erika Marconato, si pensi all’esperienza di Giovanni Pirrotta con http://www.visualcad.it/. L’hacking civico nasce sempre come soluzione creativa a un problema concreto. In questo caso il problema concreto ha riguardato la difficoltà di seguire tutti gli aggiornamenti del CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale negli anni. “E’ fisicamente impossibile tenere a mente tutte le modifiche che il Codice ha subito negli anni” – ha raccontato Erika; la soluzione creativa proposta è stata di racchiuderli in un’unica infografica navigabile, evidenziando con colori diversi tutte le modifiche apportate nelle modifiche successive al 2005.

Questa prima iniziativa virtuosa suggerisce di indagare anche le conseguenze di un utilizzo più o meno consapevole della tecnologia come strumento per le nuove forme di attivismo civico. Qualche tempo fa Vincenzo Patruno (presente in qualità di relatore come rappresentante OnData) ha dimostrato come questa può essere una leva per “rendere visibile l’invisibile”. Ne abbiamo parlato insieme anche a ICity Lab, dove è emerso sul tema della viabilità che “una buca è un problema personale, una mappa di buche diventa un fenomeno di comunità, e in questo senso l’hacker civico è un Robin Hood che si occupa prima di tutto di renderlo evidente”. A valorizzare questa tesi, è stato il contributo di Una Mappa per Amica a cura di Daria Quaresima, che ha portato in mappa il numero degli incidenti nel 2017 sulle strade di Roma, con sfumature di colore differenti per gravità dell’incidente e caratteristiche della strada. Il punto particolarmente interessante della mappa è che utilizza dati forniti dal Comune di Roma, che trasformati da numeri in tabella a punti di calore su mappa hanno avuto un effetto sensibilmente diverso. “Vedere il numero 140 alla voce corrispondente “deceduti per incidente” ha un impatto molto diverso dal vedere un colore viola sempre più scuro in uno stesso punto di una mappa”.

Alla luce di quanto raccontato, siamo riusciti a sintetizzare gli elementi che aiutano a individuare un civic hacker, con il supporto di Matteo Tempestini. “Nel caso di Terremoto Centro Italia, si è trattato di tutti i cittadini che attraverso la tecnologia si sono applicati con creatività per dare una risposta all’emergenza terremoto, e hanno fatto comunità partendo da professionalità diverse”[2]. L’hacker civico è quindi un cittadino, che non fa dell’attivismo civico né una professione, né un hobby, ma ha piuttosto “lo stimolo non subito di risolvere, ma dapprima di rendere visibile qualcosa a cui sente di appartenere” dice Ilaria Vitellio, raccontando lo spirito alla base dell’esperienza di Confiscati Bene, progetto di valorizzazione del patrimonio immobiliare confiscato alle Mafie in logica open data.

Come si incrociano tutte queste iniziative con le amministrazioni? È necessario ricondurre a un quadro giuridico questa attività spontanea? L’evidenza è che esistono già alcuni strumenti di inquadramento a garanzia di tutela per questi processi (basta pensare al Regolamento sui beni comuni di Bologna), e che invece alcuni di questi sono semplicemente “destinati a scomparire in poco tempo, una volta esaurita l’esigenza per cui sono nati”, per dirla con le parole di Ilaria Vitellio. Quello che è importante è che le amministrazioni si facciano promotrici di tali processi, diventando piattaforme abilitanti e garanti delle pratiche di smart citizenship emergenti. “Il più delle volte gli obiettivi dell’amministrazione e dei cittadini coincidono, non sono in conflitto” dice Tempestini. Dobbiamo, quindi, solo fare quel passo in più per sviluppare una cultura della partecipazione. I civic hacker lanciano gli stimoli e sperimentano prototipi. La PA abilitante li mette a sistema trasformandoli in processi ordinati.


[1] Catherine Bracy, TEDCity 2.0, settembre 2013 – https://bit.ly/2R6I5qg

[2] Un caso simile ma senza il supporto della tecnologia è accaduto durante il terremoto in Irpinia dell’80, a seguito del quale il Prof. Gianfrancesco Lanzara ha parlato di capacità negativa (1993), raccontando di come i cittadini – per ricreare il senso di comunità – hanno aperto un bar che accogliesse i sopravvissuti a Sant’Angelo dei Lombardi, fortemente colpito dal sisma (segnalazione di Ilaria Vitellio durante l’incontro, ndr).

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