Open data in Sanità, tutte le opportunità che stiamo perdendo

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Il livello di aggiornamento, la coerenza tra i dati considerati e l’accuratezza e la completezza degli stessi sono fondamentali. Una carenza su una delle caratteristiche chiave dei dati rende il servizio che li riusa del tutto inutile

20 Febbraio 2016

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Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione

Quasi un anno fa ho avuto la fortuna di partecipare alla commissione dell’ Hack4DigitalGov, un hackathon, una maratona per sviluppatori dedicata al riuso dei dati della pubblica amministrazione per la realizzazione di servizi. Non a caso i primi due progetti premiati riguardavano servizi nell’ambito della sanità, per l’utilizzo dei dati in tempo reale del Pronto Soccorso e per la valutazione (e quindi la scelta) delle strutture sanitarie.

Sono, credo, due tipologie di servizi che gli utenti del servizio sanitario nazionale vorrebbero veder sviluppate sempre più, in termini di funzionalità e di affidabilità. Perché toccano un’esigenza legata a stati di necessità, dove la scelta è spesso fondamentale, ma non sempre si dispongono delle informazioni sufficienti per farla in modo accurato.

Ed è una scelta che non di rado deve essere fatta in tempi brevi, ma allo stesso tempo comunque con la necessità di disporre del massimo delle informazioni. La scelta deve essere informata. Perché deve essere buona, non ci sono (sempre) altre possibilità.

Le tipologie sono emblematiche delle esigenze che si possono avere:

  • servizi che utilizzano dati in tempo reale (come le code di attesa ai diversi Pronto Soccorso, per codice colore di gravità), per scegliere dove andare con aspettativa di minore attesa;
  • servizi che utilizzano dati di fonte diversa (posti letto, personale, volumi ed esiti delle prestazioni, ..) e che consentono di descrivere, dinamicamente, il funzionamento di una struttura sanitaria, per scegliere dove andare con aspettativa di miglior equilibrio distanza-qualità ed adeguatezza della prestazione.

È naturale che il livello di aggiornamento, la sua coerenza tra i dati considerati e l’accuratezza e la completezza dei dati stessi sono fondamentali. In altri termini, la qualità dei dati che vengono riusati. Una carenza su una delle caratteristiche chiave dei dati rende il servizio che li riusa del tutto inutile (pensate alla disponibilità di dati solo su alcune strutture sanitarie o ad un aggiornamento poco frequente dei dati delle code di attesa).

E però è evidente che sono servizi fondamentali.

Sono servizi che sono possibili solo se i dati sono disponibili in formato aperto, e se quindi possono essere realizzate elaborazioni e integrazioni tra dati di fonte diversa e in modo non predeterminato. Dati che aprono alle imprese innovatrici un fecondo terreno da coltivare.

Il Ministero della Salute ha lanciato la strategia sugli open data. Ha aperto un portale open data e ha cercato anche di dare un supporto ai cittadini per l’utilizzo di alcuni dati, con un sito dedicato per la scelta e la valutazione delle strutture sanitarie. Ma, come puntualizzato da una recente ottima inchiesta di Rosy Battaglia , il bilancio non può dirsi positivo: sono soltanto 30 i dataset presenti sul portale open data del Ministero, e dopo due anni dal suo avvio il sito dovesalute.gov.it è ancora fermo a 65 strutture e mancano ancora diversi, troppi dati per poter supportare una scelta vera.

E troppo diversificate sono le situazioni relative alle singole regioni, al punto da minare anche le potenzialità sviluppate dalle regioni che più stanno investendo virtuosamente sul fronte open data. Solo un esempio, rimanendo nell’ambito dei dati in tempo reale dei Pronto Soccorso: se questi dati non sono relativi a tutte le regioni, ma solo ad alcune (come il Lazio), che utilità possono avere per un abitante nelle province di confine?

La mancanza di una strategia nazionale sugli open data, con una pianificazione coordinata di sviluppo su tutto il territorio (l’ultima agenda annuale nazionale, prevista nel Cad, è stata realizzata per l’anno 2014), è certamente una delle ragioni a monte di una diffusione a macchia di leopardo degli open data che, soprattutto nel settore sanitario, rendono improponibile qualsiasi servizio di vera utilità.

Il decreto di modifica al Cad oggi prevede una maggior possibilità di coordinamento da parte di Agid e quindi, di conseguenza, di forzare su alcuni percorsi di innovazione come questo dello sviluppo degli open data. Ma non basta, occorre anche far prevalere una nuova consapevolezza pubblica delle potenzialità che il patrimonio informativo ha per migliorare il servizio complessivo verso i cittadini. Una consapevolezza che permetta di andare oltre un’autonomia talvolta mal interpretata e che consenta di rimettere al centro l’utente e le logiche dei servizi, territoriali ma sempre meno confinabili a livello regionale.

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