Gianluigi Di Cesare dichiara che la 180 non solo è una legge nuova, ma anche semplice, nell’affermazione stessa che malato e curante psichiatrico sono un malato ed un curante come gli altri. Dalla modifica del loro statuto deriva un’operazione straordinaria, per cui la relazione tra i due va articolata in modo diverso, secondo una logica di comunicazione ed inclusione e non più di esclusione. Da qui una nuova organizzazione dell’intervento, quella dei dipartimenti di salute mentale.
Nasce quindi nuovo approccio alla cura, che si allarga ad una molteplicità di contesti per cui il malato non viene più curato solo all’interno dello studio medico, ma della casa in cui vive e della rete di cui fa parte. E’ un approccio che prima veniva tacciato di antiscientificità, mentre oggi dalla letteratura risulta che gli interventi psicoterapeutici più funzionanti sono proprio le co-terapie di questa natura.
Il problema è che oggi all’egualitarismo si è sostituito un rifiorire delle identità professionali dei curanti e quindi delle pluralità di intervento, mentre il rapporto tra medici e pazienti si è ristrutturato, tornando a forme culturali legate alla esclusione. Non esiste più la dimensione del lavoro di equipe e del dialogo curante-malato, per cui il paziente non è più il centro di un percorso terapeutico personalizzato in cui egli è un interlocutore, bensì una persona che accusa dei sintomi che dicono tutto di lui. E’ necessario invece continuare a lavorare sulla relazione, attraverso la costruzione di servizi responsabili di una centralità territoriale che non può essere solo una petizione di principio, ma la capacità di andare verso le persone in modalità meno stigmatizzanti possibili