Una risorsa interna alla PA non ancora adeguatamente utilizzata è rappresentata dalle donne, che sono ormai il 44,3 del totale dei dipendenti pubblici. Se è stata raggiunta, e spesso anche superata, la soglia di parità uomo/donna quando la selezione è solo meritocratica (pubblico concorso), una forte disparità è invece ancora presente nelle posizioni apicali delle PA, laddove il criterio di selezione è la cooptazione slegata da un confronto meritocratico tra i candidati. Una realtà che vede le donne fortemente presenti nei gradi iniziali della pubblica amministrazione, ma ancora in prevalenza assenti nei gradi apicali, viola sia il principio di eguaglianza che quello di efficienza, sia i principi costituzionali di imparzialità che di buon andamento.
Per migliorare le performance del pubblico impiego occorrerebbe un cambiamento della cultura organizzativa, che elimini ogni forma di discriminazione implicita a svantaggio delle donne, e il rafforzamento delle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; questione, questa, che interessa tutti, uomini e donne.
I problemi che incontrano le donne nel pubblico impiego privatizzato non sono dissimili da quelli che si riscontrano in altre carriere pubbliche. Per questo su iniziativa dell’AGDP (associazione classi dirigenti pubbliche) è stata promossa la costituzione della Rete Armida (www.rete-armida.it), della quale fanno parte donne di alta professionalità operanti nella pubblica amministrazione, (dirigenti, magistrate, diplomatiche, funzionarie della Banca d’Italia e di authorities, docenti universitarie), che sta sviluppando ricerche e iniziative sul tema delle quote di genere, della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e del rafforzamento delle competenze delle donne della pubblica amministrazione.