Di chi sono le periferie? Su rammendo, agopuntura urbana e l’importanza di chiamarsi Renzo Piano

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Il gruppo Renzo Piano G124, guidato e finanziato dall’architetto attraverso il suo stipendio da senatore*, ha lavorato nei mesi scorsi su tre situazioni localizzate a Catania, Roma e Torino e ritenute emblematiche di molte città italiane, in quanto frutto di un’espansione urbana  incontrollata che ha lasciato opere incompiute e in uno stato di degrado e abbandono. Mentre prende il via la seconda fase del progetto, con nuovi architetti e nuovi sviluppi, raccogliamo qualche spunto dall’iniziativa che sicuramente ha fatto parlare di sé (e delle periferie urbane).

9 Marzo 2015

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Chiara Buongiovanni

Il gruppo Renzo Piano G124, guidato e finanziato dall’architetto attraverso il suo stipendio da senatore*, ha lavorato nei mesi scorsi su tre situazioni localizzate a Catania, Roma e Torino e ritenute emblematiche di molte città italiane, in quanto frutto di un’espansione urbana  incontrollata che ha lasciato opere incompiute e in uno stato di degrado e abbandono. Mentre prende il via la seconda fase del progetto, con nuovi architetti e nuovi sviluppi, raccogliamo qualche spunto dall’iniziativa che sicuramente ha fatto parlare di sé (e delle periferie urbane).

Renzo Piano e le periferie

“A doverlo costruire oggi, il Beaubourg sarebbe in periferia”. Non ha dubbi Renzo Piano sulla centralità delle periferie nella vita urbana. Porta la sua firma il nuovo tribunale di Parigi nella periferia nord come pure la nuova sede della École normale supérieure de Cachan à Saclay nella periferia sud della città. E, senza nulla togliere ai giorni caldi di Tor Sapienza, non si può negare che le periferie italiane devono al primo anno di lavoro del suo progetto G124 il forte e rinnovato interesse dei media. Per capirci, dall’intervista di Fabio Fazio a "Che tempo che fa" (all’indomani della stage parigina di Charlie Hebdo) agli approfondimenti sui principali quotidiani, dal Sole 24 Ore fino al New York Times. Ma cosa sta facendo e come sta lavorando il gruppo Renzo Piano nelle città italiane?

“La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle”.Con queste parole, Renzo  Piano apre il Report 2013 -2014 sul primo anno del progetto di "rammendo" G124, nel quale ha coinvolto sei giovani architetti. “Sviluppando i nostri progetti – spiega Eloisa Susanna, architetto romano del gruppo G124 – non lavoriamo solo per la riqualificazione fisica dello spazio ma per sviluppare un ecosistema aperto al contributo del territorio e della comunità locale, con un approccio estremamente multidisciplinare”.

Missione “rammendo”

Il “rammendare le periferie” di Piano ha fatto già scuola, diventando un’espressione sempre più usata per parlare di processi di “riqualificazione” delle periferie. Nei “venti punti – guida" del lavoro del gruppo, redatti dallo stesso Piano, si fa riferimento a questa prospettiva da più punti di vista. Si fa riferimento ai processi di crescita della città per implosione e non per esplosione, così come al rammendo del costruito, al coinvolgimento necessario degli abitanti attraverso processi partecipativi, alla trasformazione delle aree dismesse, all’autocostruzione, ovvero alla promozione di cantieri leggeri e forme cooperative per il rammendo delle periferie. Elementi centrali rimangono l’identità delle periferie, nella diversità di ciascun luogo così come i luoghi e gli edifici iconici della vita urbana, troppo speso posizionati nel centro delle città, il verde urbano, ad uso agricolo o meno, la capacità di  intercettare e “sfruttare” i finanziamenti europei così come il rapporto con la microimpresa, i finanziamenti pubblici diffusi e il regime fiscale dei processi di rammendo.

Agopuntura urbana

Alla base del lavoro di G124 c’è l’idea di intercettare “scintille di energia” all’interno delle stesse realtà periferiche, per valorizzarle e farle crescere. Abbastanza ovvio che questo non potrebbe avvenire senza il coinvolgimento degli abitanti, in fase di definizione, progettazione delle iniziative e attivazione delle stesse. Su questo processo di agopuntura urbana abbiamo chiesto qualche precisazione a Eloisa Susanna, che ci ha raccontato come hanno lavorato a Roma, per il Viadotto dei Presidenti.

Sotto il viadotto‘ è il nome dato al progetto che, promosso dal Municipio III all’interno del progetto europeo Tutur, ha come obiettivo la riconversione del Viadotto Gronchi Viadotto dei Presidenti.Il Viadotto, sorto al Nuovo Salario negli anni’ 90 per fungere da asse di collegamento tra Roma Nord e Roma Sud attraverso l’uso di una ferrovia leggera, è rimasto negli anni incompiuto e abbandonato, rappresentando oggi una vera e propria cesura sul territorio. 

“Su questa area – racconta Eloisa – il Municipio aveva già deciso di intervenire con il progetto europeo Tutur, che promuove l’uso temporaneo di edifici in disuso e dismessi come strategia di rigenerazione urbana e, allo stesso tempo, erano già attivi alcuni gruppi locali. Per questo ci siamo ritrovati sull’obiettivo: non si tratta di dare una risposta a problemi strutturali molto più grandi ma di sperimentare nuovi usi e proposte, evitando di investire tanti soldi pubblici in un progetto che non vedrà la fine o non sarà poi percepito come utile e quindi rimarrà non utilizzato”. In questo senso si parla di agopuntura urbana: un modo nuovo di vedere le cose per cui “si sperimentano gli usi anche in base ai bisogni che la comunità manifesta. E’ così che si capisce se un determinato uso può essere adatto al territorio e quindi se il processo di rigenerazione può andare avanti”.

"Sotto il Viadotto": esperimento romano

“Il progetto – ci spiega Eloisa – si compone di un percorso che permette finalmente una connessione agevole da una parte all’altra del Viadotto. Il primo punto, nel nostro lavoro, è  individuare degli indizi. In questo caso il primo indizio è stato il fatto che i cittadini continuavano a percorrere questo viadotto perché avevano necessità di andare da una parte, dove c’era l’INPS o la Polizia, all’altra dove c’erano altri servizi. Quindi, primo obiettivo: rendere attraversabile il viadotto. Come secondo passaggio abbiamo portato lì delle funzioni. Abbiamo inserito due container: uno è stato trasformato in uno spazio per laboratori di quartiere, un luogo dove vengono elaborate delle proposte di trasformazione e organizzate delle attività, l’altro è un piccolo deposito di attrezzi per la manutenzione ordinaria. Infine, abbiamo creato una piazza attrezzata con piccoli elementi di arredo urbano, che devono essere implementati con il tempo, magari attraverso laboratori per giovani e ragazzi che hanno voglia, attraverso l’autocostruzione, di migliorare lo spazio”. Sono state coinvolte anche aziende private che, in qualità di partner, hanno fornito i materiali e le strutture. Dunque, ora che queste fasi sono concluse, si tratta di osservarne la sostenibilità e il grado di appropriazione da parte degli abitanti.

L’amministrazione e i cittadini: di chi è l’iniziativa?

Ufficialmente promossa dal Municipio III all’interno del progetto europeo Tutur, l’iniziativa ha avuto il sostegno di Roma Capitale, nella figura degli Assessori alla Trasformazione Urbana e alle Periferie. Gli stessi, in occasione dell’inaugurazione, hanno dichiarato che l’iniziativa "si inserisce in un più complesso progetto di pianificazione e trasformazione dell’asse ex carrabile del viadotto in pista ciclabile e ‘Green Line di Roma”.  

Un po’ più complicata la relazione con gli abitanti. Come Eloisa raccontava, il progetto è stato fin qui portato avanti con la collaborazione di alcuni gruppi già attivi nel territorio sulle tematiche del riuso dello spazio pubblico e della mobilità. Al tempo stesso non si può tacere che una parte del territorio non si è sentita rappresentata dall’iniziativa, tanto da definire  “l’avvio dell’opera di riqualificazione ‘Sotto il Viadotto’ un vero e proprio schiaffo per tutti i promotori e i firmatari della Delibera del Consiglio Comunale n.37/2006". La Delibera in questione aveva ad oggetto la progettazione della Tramvia “Saxa Rubra-Laurentina” e prevedeva "entro sei mesi dalla sua approvazione la messa in cantiere della fase di progettazione”.

Con Piano o contro Piano, oltre Piano

E’ evidente che quando scende in campo su un tema tanto delicato e per sua stessa definizione “fragile” un nome “glamour” come quello di Renzo Piano, il dibattito è tutto aperto, soprattutto laddove le periferie lamentano un problema di rappresentatività e legittimazione nelle scelte che le riguardano oltre che di visibilità nel flusso mediatico mainstream.

Lasciando le analisi di dettaglio ai singoli territori e casi, una cosa è certa: il progetto di Renzo Piano ha dimostrato la capacità di accendere i riflettori su una situazione importante e urgente, aprendo una possibile strada e suggerendo un metodo per rendere fattivo un fermento che in alcune realtà già c’è e che, senza necessità di dirlo, va facilitato (più che instradato) per consentirne l’espressione. Nessuno dice che sia facile, nessuno dice che il lavoro di G124 non sia utile e importante così come nessuno dice che la progettualità proposta da Piano sia la via maestra da seguire per l’intervento nelle molteplici  – e tra loro diversissime – periferie italiane.
Non si tratta di essere con Piano o contro Piano, ma in ogni caso e in ogni situazione si tratta di non fermarsi a guardare il dito mentre indica la luna. Oltre Renzo Piano, verrebbe da dire, c’è ogni singola periferia, ogni quartiere, ogni spazio su cui si lavora. Ci sono i cittadini di quella specifica periferia che restano "gli abitanti" e quindi gli "owner" dello spazio in cui vivono, pur potendo sempre più frequentemente beneficiare di una grande e multiforme competenza di esperti, ma anche di visionari e artisti, che arrivano in periferia spesso dal centro.

Banale a dirsi, difficile a farsi ma, come più di qualche esperienza dimostra. non impossibile.

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* Renzo Piano è stato nominato Seneatore a vita nel 2013 da Giorgio Napolitano

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