Parità di retribuzione tra donne e uomini: allo studio le misure per ottemperare alle disposizioni Europee.

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Il Ministro Renato Brunetta a seguito di alcune dichiarazioni apparse con riferimento alla questione della sentenza della corte di giustizia europea precisa quanto segue "La Corte di Giustizia Europea, con la Sentenza del 13 novembre u.s., ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 141 del Trattato UE  che riguarda "la parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore".

15 Dicembre 2008

Articolo FPA

Il Ministro Renato Brunetta a seguito di alcune dichiarazioni apparse con riferimento alla questione della sentenza della corte di giustizia europea precisa quanto segue "La Corte di Giustizia Europea, con la Sentenza del 13 novembre u.s., ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 141 del Trattato UE  che riguarda "la parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore".
La Corte di Giustizia, su ricorso della Commissione della Comunità europea,  è stata chiamata a pronunciarsi sul quadro giuridico pensionistico applicato ai dipendenti pubblici italiani per i quali, secondo il combinato disposto dall’art. 5, n. 1, e della tabella A del Dlgs 30 dicembre 1992, n. 503, l’età normale per il pensionamento di vecchiaia è di 60 anni per le donne e di 65 per gli uomini. Secondo la Corte è vero che  l’art. 141, n. 4, del Trattato autorizza gli Stati membri a mantenere o ad adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale, ma da questo non se ne può dedurre che questa disposizione consente la fissazione di una tale condizione di età diversa a seconda del sesso. Infatti, i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all’uomo e poiché la pensione in Italia viene calcolata – osserva la Corte – sulla base degli anni di servizio prestati e in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico, costringendo le donne ad andare in pensione 5 anni prima degli uomini, le si condanna di fatto a percepire una pensione inferiore.
Pertanto, sostiene la Corte, "mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all’art. 141 CE".
A seguito della sentenza, che mette in mora l’Italia nei confronti dell’Europa, i Ministeri interessati (Funzione pubblica, Politiche comunitarie, Economia ed Esteri) si sono riuniti al fine di adottare le opportune misure per studiare le misure volte ad ottemperare alla sentenza della corte.

FONTE: Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione

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