EDITORIALE

Cara Ministra Bongiorno…

Home Riforma PA Cara Ministra Bongiorno…

…un po’ più di cinque anni fa, nel febbraio del 2013, appena dopo le elezioni che poi portarono al Governo Letta, scrissi in un editoriale alcuni consigli non richiesti per un futuro Ministro che non conoscevo ancora. Credo che siano ancora molto attuali e mi permetto di riportarli qui: parlavano di tre tentazioni che sono nascoste nella splendida “Stanza del Ministro” del cinquecentesco Palazzo Vidoni in cui Lei è ora.

14 Giugno 2018

C

Carlo Mochi Sismondi

Cara Ministra Bongiorno,

un po’ più di cinque anni fa, nel febbraio del 2013, appena dopo le elezioni che poi portarono al Governo Letta, scrissi in un editoriale alcuni consigli non richiesti per un futuro Ministro che non conoscevo ancora. Credo che siano ancora molto attuali e mi permetto di riportarli qui: parlavano di tre tentazioni che sono nascoste nella splendida “Stanza del Ministro” del cinquecentesco Palazzo Vidoni in cui Lei è ora.

“La prima e più pericolosa tentazione è quella di voler passare alla storia con una riforma epocale: è necessario rinunciare a mettere il proprio nome su un ennesimo tsunami e non cadere nella straordinaria, quanto del tutto immotivata, fiducia nelle funzioni taumaturgiche delle norme.

La seconda tentazione è di restare a Palazzo Vidoni e di giudicare l’amministrazione, la sua efficacia e il suo grado di innovazione, da lì. Lo sguardo dal Ministero è quanto meno parziale, spesso di comodo, e nasconde la straordinaria ricchezza della realtà e anche tutte le sperimentazioni positive, ma anche e soprattutto tutti gli errori e tutti i fallimenti che, invece di scoraggiarci, dovrebbero insegnarci il cammino.


Da qui scaturisce una terza possibile seduzione, che nasce, come la maggior parte dei suggerimenti del diavolo, da buone intenzioni, ma che forse è la più subdola: quella di vedere una PA in bianco e nero invece che a colori o, fuor di metafora, di pensare che esista un’unica amministrazione che possa essere governata da un unico corpus normativo che, necessariamente a quel punto, vada a regolamentarne tutti gli aspetti operativi.”


A questi tre consigli ne aggiungo ora altri tre, che allora forse non mi erano così chiari:

  • È assolutamente necessario far di tutto per svecchiare la PA italiana: nell’ultimo rapporto che abbiamo presentato in occasione del FORUM PA 2018 leggiamo che sono 3.247.764 gli occupati nelle amministrazioni pubbliche, al netto degli enti entrati di recente nel conto annuale della Ragioneria dello Stato, con una riduzione del 7,2% dal 2008, vale a dire 246.187 persone sono uscite dalla PA e non sono state rimpiazzate. L’età media dei dipendenti è di 50,34 anni e cresce con una media di 6 mesi ogni anno. Oltre 450.000 sono over 60; solo circa 200.000 gli under 34. Le nuove assunzioni non riescono a contrastare questo declino, sono troppo poche. Né tanto meno ci riescono le stabilizzazioni, anche queste poche e soprattutto non riguardano giovani ma precari di lungo corso. Ma non è possibile fare innovazione senza giovani, non è possibile fare innovazione senza introdurre nuovi profili, non è possibile attirare i migliori giovani né le professionalità più avanzate nella PA se non facciamo veder loro un posto di lavoro non “ingessato”, ma dinamico, in cui è possibile far carriera mettendo a frutto i talenti e vedendo premiato il merito. In questo contesto la trasformazione digitale non è un settore o un comparto tra gli altri, ma costituisce l’ecosistema in cui questo rinnovamento deve trovare spazio.
  • È altrettanto necessario occuparsi con tenace attenzione di chi nella PA c’è già e ci resterà ancora per decenni. Non sono “risorse umane”, sono persone con la loro vita, la loro testa, le loro straordinarie potenzialità che si esprimeranno solo se diamo loro la possibilità di “pensare”. Sono stati spesso assunti in un altro contesto storico, quando alla PA si chiedevano adempimenti ed autorizzazioni; sono di solito confinati, da una mobilità praticamente inesistente, nello stesso ufficio e a volte sulla stessa scrivania per troppi anni; non sono stati messi a parte delle strategie e della missione del loro ente altro che, a volte, dai giornali tutt’altro che benigni verso gli impiegati pubblici; usufruiscono del numero di giornate di formazione più basso in Europa e di solito solo per un aggiornamento su altre leggi, altri adempimenti, altri piani, altre relazioni da mandare a chissà chi e chissà perché. Le riforme del “pacchetto Madia” hanno già reso possibile cambiamenti importanti, ma ora, come diciamo da tempo, non è più tempo di norme, ma di manuali. Formazione, competenze, scouting delle potenzialità di ciascuno, premialità, valutazione on the job, partecipazione alle scelte e alla costruzione dei nuovi modelli organizzativi, empowerment, comunità di pratica, cassette degli attrezzi: sono tutti temi che devono essere in prima fila e che possono fare la differenza che le norme non potranno mai fare: quella di incidere sui comportamenti.
    Ma sui comportamenti incide anche, e forse ancor di più, sapere che si sta lavorando per il bene della collettività. Avere chiaro il fine dell’azione pubblica. Noi lo abbiamo identificato con lo sviluppo equo e sostenibile dell’Agenda 2030. In quei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, nessuno dei quali può essere raggiunto senza una “buona” PA, sta il perché di un impegno sempre maggiore che deve essere chiesto a tutti e a ciascuno con una maniacale attenzione al benessere organizzativo di ogni unità operativa.
  • È importante infine che esca dal nostro vocabolario legislativo l’illusione che si possano davvero fare le riforme a costo zero. La locuzione “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” deve sparire dai provvedimenti e dai programmi che parlano di “cambiamento”. Gestire cambiamenti veri, positivi e duraturi costa e non costa poco. Per questo è necessario avere chiare le priorità, ma anche usare bene le risorse. Risorse che ci sono perché l’apprezzabile azione portata avanti dalle precedenti gestioni ci ha consegnato una programmazione europea che lascia grande spazio proprio alla riforma della macchina pubblica. Non c’è più tempo per tergiversare e, anche in questo caso, bisogna fare presto e bene, ma non bisogna dimenticare il vecchio detto che dice che “il meglio è nemico del bene”.

Cara Ministra, le faccio quindi i migliori auguri di buon lavoro. Noi cercheremo, come sempre, di fare la nostra parte, con grande rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno, ma anche sapendo di poter contare sui 16.000 innovatori della PA che ci hanno lasciato, nell’ultimo FORUM PA 2018 da poco concluso, idee, entusiasmo, esempi positivi, stimoli e, a volte, anche un po’ di frustrazione e di disillusione per dover ripetere troppo spesso le stesse parole d’ordine. Stiamo restituendo il contributo di molti di questi innovatori all’interno della rubrica “Caro Governo”, pubblicando ogni giorno una video-intervista con contributi, riflessioni e spunti. Stiamo infine distillando tutto questo tesoro e quello che arriva dai quasi 250 incontri di FORUM PA, in un “libro bianco sull’innovazione” che sarà messo in consultazione il 28 giugno e che, se vorrà, volentieri porteremo alla sua attenzione. Sarà un’opera collettiva, perché noi crediamo che solo passando dal concetto di “open government” alla pratica della “open governance” la PA sarà in grado di rispondere ai diversi e pressanti bisogni di una società sempre più complessa.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!