EDITORIALE

La burocrazia difensiva fa danni, fermiamola!

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Meglio star fermi che rischiare. Meglio avere un ordine che avere un’iniziativa. Meglio porre un quesito che decidere. Così la burocrazia difensiva fa danni: crollano i ponti, ma anche la nostra economia è a rischio…

2 Novembre 2016

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Carlo Mochi Sismondi

No, non poteva proprio chiudere la strada il dirigente della provincia: aveva bisogno di un’ordinanza dell’Anas, la legge parla chiaro: mica poteva rischiare. Poteva essere citato per abuso d’ufficio o per danni o chissà perché. Così si è astenuto dal firmare e qualcuno ci ha rimesso la vita.

Certo questa è una situazione estrema, ma la burocrazia difensiva sta facendo danni enormi al Paese. Chiariamo non sono i dirigenti pubblici tout court a fare danni al Paese, anzi quelli in molti casi fanno quello che possono e spesso (non sempre) anche con la massima buona volontà. Ma il “combinato disposto” (come dicono i giuristi) tra una normativa bulimica e sovrabbondante che, come un tumore maligno, si sta mangiando l’organizzazione degli uffici e la “pancia” del Paese a cui si tributano liturgie sotto forma di quegli sciagurati shift tra fisiologia e patologia che ci hanno portato ad avere paura di qualsiasi scelta autonoma e responsabile del dirigente, fanno sì che alla fine è meglio star fermi che rischiare. Meglio avere un ordine che avere un’iniziativa. Meglio porre un quesito che firmare. E il bello è che chi se la ride e prolifica felice, in quest’epoca di emiparesi della mano che regge la penna, è proprio la corruzione che la sua strada la trova sempre e anche il suo dirigente (o politico o entrambi) che firma.

Le prove di questa situazione e le esperienze sono ormai così diffuse che non c’è bisogno di citarle, basti ricordare il crollo delle gare d’appalto dopo l’introduzione del nuovo codice (se non capisco, mi astengo) o il rifiuto di delibera dirigenziale per acquisti sottosoglia (se scelgo io rischio, chi me lo fa fare!). Siamo di fronte ad una specie di obiezione di coscienza, diremmo con un sorriso, se questo non mandasse alla malora un bel numero di piccole imprese. Oppure l’avversione profonda per qualsiasi scelta di autonoma responsabilità: non si fanno quindi dialoghi competitivi né vere partnership pubblico-privato perché è meglio che a decidere chi scegliere sia un algoritmo, piuttosto che un superpagato dirigente generale. Si sceglie di fare concorsi pubblici con quiz e quizzetti piuttosto che con un colloquio esplorativo e una prova sul campo: così chi sceglie è un correttore automatico!

Sono questi i temi su cui vorremmo si applicasse una nuova legge sulla dirigenza: porre le condizioni perché sia possibile esercitare scelte basate sul proprio sapere e sulla propria coscienza, in forma autonoma, responsabile e trasparente. Altrimenti continueremo ad avere un apparato burocratico che giudica un’operazione dal suo svolgimento tecnico e non dalla vita o dalla morte del paziente.
E’ ora di dire basta! Cambiamo strada e paradigma, scegliamo l’efficacia piuttosto che l’efficienza, misuriamo gli outcome piuttosto che gli output, perché come output i nostri dirigenti della provincia o dell’Anas non hanno nulla da rimproverarsi: peccato che l’esito (outcome) sia stato un tragico crollo.

Avevo scritto questo pezzo sabato sera, prima della tragica scossa di terremoto di domenica mattina. In questo frangente di grande e terribile fragilità la “burocrazia difensiva” può risultare ancora più perniciosa. Per combatterla c’è una sola strada: autonomia, responsabilità, trasparenza.

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