Smart working e innovazione nei territori, le esperienze a Modena Smart Life 2020

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L’incontro del 22 settembre, organizzato da FPA nell’ambito di Modena Smart Life 2020, è stato l’occasione per fare il punto sui modelli di smart working impostati dalle pubbliche amministrazioni, sia in fase pre-pandemica che emergenziale. Due gli aspetti analizzati: da una parte lo smart working e il tema del cambiamento organizzativo che questo abilita, dall’altra parte lo smart working come leva per lo sviluppo delle città e dei territori

23 Settembre 2020

F

Patrizia Fortunato

Consultant Content Editor, FPA

Photo by bruce mars on Unsplash - https://unsplash.com/photos/S8ffHr_dxHo

I documenti di pianificazione per il rilancio del Paese introducono lo smart working come strumento per garantire migliori condizioni lavorative e produttività, ma anche come strumento che contribuisce alla crescita di un tessuto economico e urbano. Allora ci chiediamo quale cambiamento organizzativo sia stato in grado di abilitare nelle singole amministrazioni pubbliche e quale parte abbia avuto come leva di trasformazione nelle città e dei territori. Il tema è stato affrontato durante l’incontro del 22 settembre scorso, organizzato da FPA nell’ambito di Modena Smart Life 2020, e ha costituito l’occasione per fare il punto sui modelli di smart working impostati dalle pubbliche amministrazioni sia in fase pre-pandemica che emergenziale.

Abbiamo più volte ribadito, soprattutto attraverso le testimonianze che ci sono state restituite dai vari innovatori della PA, che le amministrazioni che avevano sperimentato e investito in modelli di smart working prima della pandemia si sono trovate ad essere più pronte a fronteggiare l’emergenza covid-19. La pandemia è stata sicuramente un fattore di accelerazione di una serie di processi che, in momenti di normalità, avrebbero potuto richiedere anni per la loro attuazione.

Tra gli ospiti Luca Chiantore, Dirigente del Settore Smart City, servizi demografici e partecipazione del Comune di Modena, che ha illustrato un progetto di smart working impostato dal suo ente a inizio anno, con una logica che oggi appare non più adeguata. L’aspetto che Luca Chiantore salva, di quella iniziale impostazione, è il grande lavoro di predisposizione del modello e digitalizzazione dei processi interni dell’ente. Si trattava di una sperimentazione che avrebbe coinvolto un numero limitato di persone, prevedeva la distribuzione di una quarantina di portatili shared da far ruotare all’interno dei singoli servizi (e per le esigenze di sanificazione delle postazioni previste oggi questo non è più possibile); prevedeva anche una serie di vincoli sulle dimensioni logistiche e temporali, non ammissibili per come intendiamo oggi lo smart working.

In fase di emergenza l’ente ha predisposto un piano di risposta immediato (ha portato circa 900 dei propri dipendenti, su un numero complessivo di 1500, ad essere operativi in smart working; ha raggiunto 700 connessioni VPN, ha affrontato il tema della gestione della sicurezza delle reti; ha calcolato 3500 ticket da rimandare al team di informatici). Eppure, nonostante tutto, sono emerse le inadeguatezze di un’organizzazione pensata ancora per lavorare in un altro modo, in presenza e secondo determinati orari.

Cosa è fondamentale fare, quindi, per non rischiare di perdere questa grande opportunità di cambiamento? La regione Veneto ha sistematizzato le lezioni apprese in questo periodo di emergenza sul proprio portale nella sezione “Progetti post Covid”, dove ci sono una serie di delibere di atti che la giunta ha già deliberato e ulteriori atti conseguenti a una delibera madre, la n. 820 del 23 giugno 2020. Tra questi si evidenzia l’iniziativa “Per una nuova PA oltre l’emergenza sanitaria da Covid-19″.

La regione attraverso una serie di interventi normativi sta lavorando nell’ottica del service design, cioè ridefinendo una serie di ambiti, di ruoli, di soggetti, di personas che sono cambiati in questi mesi, iniziando così a ragionare su un nuovo tipo di dipendente. Nonostante i diversi interventi attuati, da un punto di vista del sentiment, secondo Gianluigi Cogo, Project manager di Regione Veneto, a prevalere ancora all’interno del management è la predisposizione a una vecchia e non a una nuova normalità. C’è una grande voglia di riportare tutti i dipendenti in ufficio e di ricominciare a lavorare come prima. Questo spinge ad implementare una serie di strumenti di task management per controllare da remoto, task per task, tutto quello che viene fatto, piuttosto che misurare le performance rispetto agli obiettivi assegnati.

Per superare la resistenza al cambiamento serviranno acculturamento e accompagnamento continuo. Occorrerà puntare sempre più sulla formazione manageriale in modo da anticipare nuove emergenze che, come abbiamo verificato, coinvolgono anche la pubblica amministrazione.
È quello che sta facendo la Provincia autonoma di Trento, che ha lavorato sul management per il coordinamento a distanza di team virtuali, anche mediante l’affiancamento di coach.
Inoltre “nel piano formativo del prossimo anno – afferma Stefania Allegretti – sono stati previsti dialoghi sul digitale per spingere la consapevolezza dei manager e dei dipendenti verso quella direzione ormai tracciata e su cui non si può tornare indietro. È stata, dunque, colta l’opportunità di una spinta verso lo smart working per rivedere i processi in ottica di semplificazione e quindi spingere verso il digitale”.

Il rapporto dello smart working con il territorio, come abbiamo già anticipato, si sta rivelando un elemento fondamentale e queste nuove forme flessibili di lavoro sono viste come occasione per ripensare un nuovo volto delle città, dei territori. Che tipo di cambiamento lo smart working sta provocando a livello urbano e sociale?

Roma Capitale, avendo già individuato nella sua Agenda Digitale un percorso di trasformazione di processi e servizi che si sarebbero riverberati direttamente anche sul territorio, ha potuto trasformare 15mila dipendenti in smart worker potenziali da un giorno all’altro, rispetto ai 150 che erano previsti dal progetto pilota. “Questo – afferma Claudio Ferilli – ha un impatto evidente sul territorio, può avere un riflesso immediato nell’indotto dell’economia locale ed è evidente come la stessa periferia cambi volto, perché diventa una possibile sede lavorativa di prossimità”. Sull’esempio di Modena, vedere le città in una prospettiva Smart Landscape, che si allarga appena al di fuori dei confini del comune, per Roma Capitale vuol dire abbracciare a livello di area metropolitana una serie di varietà territoriali, che possono essere armonizzate con quelle di una città vista non più come un attrattore che svuota il circondario, ma che lo potenzia.

Il punto interessante sullo smart working sta proprio nel fatto di poterlo considerare un equalizzatore delle differenze territoriali. Lo smart working può diventare una nuova leva per il rilancio economico, per riportare gli equilibri territoriali, ma si scontra con un altro tema che è quello delle competenze digitali nei centri più piccoli. Su 7900 comuni italiani, 5495 sono sotto i 5000 abitanti, ed è un dato che a volte dimentichiamo e che in questa occasione ha ben evidenziato Elena Gamberini dell’Unione Bassa Reggiana. Come facciamo a risolvere il dilemma aree interne, piccoli comuni, che sono quasi il 70% del tessuto amministrativo italiano? Questo pone una riflessione anche sul tema del riordino istituzionale.
La differenza non può essere ripiegata solo su aspetti tecnici e competenze digitali, per Elena Gamberini bisogna puntare anche sul tema del turismo, sulla valorizzazione del patrimonio immobiliare, sul coinvolgimento intercomunale e sul rapporto pubblico-privato.

Stefano Bellei della Camera di Commercio di Modena ci ha aiutato a ragionare sul rapporto pubblico-privato, ponendo una prima distinzione tra enti di servizio diretto al cittadino ed enti di secondo livello. Se parliamo di enti di secondo livello, che dialogano tradizionalmente con altre pubbliche amministrazioni, lo smart working può essere una leva sulla quale attuare la semplificazione dei processi, la velocizzazione dello scambio di informazioni, l’ottimizzazione del lavoro; quando invece parliamo di enti di servizio diretti al cittadino o alle imprese il discorso cambia, perché nel passaggio da uno smart working d’urgenza, come quello che ci siamo trovati ad attuare, a uno smart working a regime, non si potrà non tenere conto della percezione che cittadini e imprese hanno di questo cambiamento organizzativo.

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