Dal patient engagement all’integrazione territoriale: prospettive per una sanità “connessa”
Il percorso verso una sanità più integrata e partecipata si presenta ancora ricco di sfide, tra resistenze culturali, organizzative e tecnologiche. Quali sono le possibili traiettorie di evoluzione del sistema sanitario? Ostacoli e prospettive di un maggiore coinvolgimento di cittadini e pazienti sono al centro di questa intervista con Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute e direttore del Centro EngageMinds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza , e di Diego Conforti, Direttore dell’Ufficio innovazione e ricerca della Provincia Autonoma di Trento
25 Settembre 2025
Patrizia Fortunato
Content Editor, FPA

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La tecnologia oggi promette di trasformare ogni esperienza, eppure la distanza tra cittadini e sistema sanitario sembra difficile da colmare. Uno dei principali ostacoli nel ridurre questa distanza non è tanto di natura tecnologica, quanto culturale e organizzativa.
Proprio per indagare queste forme di resistenza, a FORUM Sanità 2025 cercheremo di capire quali ostacoli ancora impediscano un reale coinvolgimento attivo di pazienti e cittadini nel percorso verso una sanità sempre più ‘connessa’ e integrata sul territorio. ‘Connettere‘ è la parola chiave che delinea uno dei tre filoni tematici attorno a cui si costruisce il programma delle due giornate di Manifestazione (22 e 23 ottobre prossimi presso lo ZEST HUB di Roma Termini). In questo articolo abbiamo raccolto le riflessioni di Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute e Direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, e di Diego Conforti, Direttore dell’Ufficio innovazione e ricerca della Provincia Autonoma di Trento, che parteciperanno come relatori al Talk ‘Il ruolo del patient engagement nel ripensamento dei sistemi di cura‘.
Il ruolo del patient engagement
La sanità, per funzionare, deve integrare il coinvolgimento attivo di pazienti e cittadini, un concetto noto come patient engagement. Tuttavia, perché questo si realizzi pienamente, secondo Guendalina Graffigna il problema principale è ancora di natura culturale e riguarda anche la cultura organizzativa, che dovrebbe favorire la partecipazione dei pazienti. Ma non solo. I decisori e i tecnici dovrebbero soprattutto cogliere il valore innovativo di tale partecipazione. Finché non si crederà davvero nell’importanza di questo coinvolgimento, finché non si apprenderanno e si sperimenteranno anche modi e metodologie volte a permettere ai pazienti di partecipare, non si riuscirà a ottenere risultati concreti. “E per crederci – continua Graffigna – dobbiamo adottare un approccio scientifico, evidence based, dotandoci di KPI e dati di impatto, che, anche se non saranno soltanto di tipo economico — perché, almeno nel breve termine, è difficile garantire una riduzione dei costi —, potranno riferirsi al miglioramento della qualità di vita e dell’alleanza terapeutica”, aspetti oggi fondamentali.
La resistenza culturale non appartiene soltanto alle istituzioni o agli operatori sanitari. Che cosa accade se ci spostiamo dall’altra parte della riva, sul ‘lato paziente’? Su questo punto, Graffigna sottolinea: “oggi la stragrande maggioranza dei pazienti non ha le competenze, le skills per riuscire a partecipare attivamente, ma neanche il livello di alfabetizzazione: i pazienti attuali, spesso, sono anziani, sono molto fragili, non accedono alle tecnologie, sono molto scettici sull’utilizzo del digitale o dell’intelligenza artificiale o sulla condivisione dei dati nei loro percorsi di cura, e questo rende estremamente faticoso realizzare un patient engagement”.
“Rischiamo di far partecipare solo i pazienti biondi, alti e con gli occhi azzurri, che praticamente non esistono”, la professoressa ricorre a questa immagine per evidenziare un dato di cui tenere conto: i modelli di patient engagement presenti nella letteratura scientifica, spesso sviluppati e sperimentati negli Stati Uniti o nel Nord Europa, risultano poco realistici se confrontati con la situazione concreta dei pazienti italiani.
Non solo cultura, però. Infrastrutture inadeguate, mancanza di tempo e risorse organizzative frenano la sperimentazione. Eppure, alcune realtà italiane iniziano a invertire la rotta: la sanità privata, spesso più agile e ben finanziata, offre esperienze più vicine alle aspettative dei giovani pazienti. Non è un caso che i dati più recenti registrino una crescente fiducia nella sanità privata tra i cittadini più giovani — “forse perché l’esperienza che vivono lì è più vicina alle loro aspettative” — e nelle eccellenze delle reti oncologiche multidisciplinari, dove la presenza dello psicologo agisce da catalizzatore di empowerment.
E qui si apre una prospettiva tutta nuova sul ruolo dello psicologo: “Siamo abituati a pensare allo psicologo in sanità soltanto legato alla psicopatologia e alla mental health. In realtà, lo psicologo può essere un facilitatore di processi di empowerment e di engagement, soprattutto nei pazienti cronici. Laddove questo è stato fatto, ad esempio nelle reti oncologiche, i pazienti acquisiscono quell’empowerment che consente loro di essere attori attivi del proprio percorso di cura”.
“L’altro elemento cruciale è quello di potersi avvalere di una reale collaborazione con le associazioni di pazienti, che sono un po’ un enzima di trasformazione anche culturale, organizzativa a favore dell’engagement del paziente; tuttavia, anche su questo lato c’è ancora molto da fare, in termini innanzitutto di formazione delle associazioni di pazienti”. La formazione dei manager delle associazioni di pazienti — come quella promossa all’Università Cattolica — non punta a indottrinare il paziente, ma a consolidare le realtà di terzo settore e di volontariato affinché abbiano le competenze e la progettualità, anche la possibilità di essere un ente organizzativo intermedio tra il sistema sanitario e il mondo laico.
“Non intendo — specifica la professoressa — in termini di facilitazione all’erogazione di alcuni servizi, che questo, secondo me, è un vulnus, nel senso che le associazioni spesso vicariano l’assenza di alcuni tipi di supporti e sussidi dati dal sistema sanitario, erogandoli loro”. Un esempio è il supporto fornito dallo psicologo. “Quello che l’associazione di pazienti potrebbe fare è essere portavoce di quelli che sono i pubblici sentire, traducendoli in una modalità che, da un punto di vista istituzionale, politico, manageriale, può essere effettivamente un input innovativo e di progettazione. Per fare questo, però, bisogna arrivare a delle associazioni di pazienti che si consolidino nelle loro competenze e nelle loro strutture manageriali e organizzative; e, in Italia, siamo lontani da questa realtà.
Come la psicologia dei consumi, intesa come divisione di consumer health, stia già incidendo sulle policy pubbliche o sulle strategie delle aziende del settore health? Si tratta, dal punto di vista accademico, di studiare come avviene lo scambio tra l’erogazione di un servizio e l’utenza. “C’è molto da fare — specifica Graffigna — perché veniamo da una tradizione di decenni di una sanità autoreferenziale e tutta regolata e disegnata a partire da principi tecnico-scientifici”. Ora il paziente è visto come portatore di aspettative di cura e di qualità di vita. Per rendere il sistema più sostenibile, bisogna ascoltare e comprendere l’utenza.
Da tempo la letteratura scientifica prova a rispondere a questa esigenza, con modelli e scale di valutazione che hanno fatto scuola. Uno su tutti viene proprio dall’Italia: il Patient Health Engagement Model (PHE Model), messo a punto dal gruppo della professoressa Graffigna. Questo modello descrive l’ingaggio come un processo evolutivo e psicologico, fatto di tappe – dal blackout emotivo iniziale fino al progetto eudaimonico di piena partecipazione – che riconosce il vissuto soggettivo del paziente come cardine dell’attivazione . Non basta, dunque, “mettere il paziente al centro”: occorre anche che il sistema sappia adattarsi al suo stato d’animo, alle sue paure e resistenze.
Digitale e partecipazione in sanità: il caso TrentinoSalute4.0
In alcune realtà italiane emerge il valore di approcci sistemici e ‘dal basso’, come racconta Diego Conforti. “Da anni abbiamo attivato TrentinoSalute4.0, un centro di competenza per lo sviluppo della sanità digitale, che vede coinvolti Provincia, Azienda sanitaria (da noi unica) e la Fondazione Bruno Kessler. Il centro è aperto ai professionisti e operatori della salute, ai cittadini e pazienti, all’accademia e alle imprese. L’approccio di sistema e la metodologia della coprogettazione ci consente di governare l’intero processo dalla rilevazione dei bisogni di innovazione, alla porgettazione e prototipizzazione delle soluzioni e infine la messa a servizi. In tale contesto abbiamo implementato un ecosistema di sanità digitale denominato TreC (Cartella Clinica del Cittadino) che consente ai cittadini di accedere ai propri FSE, ai vari servizi offerti dal Servizio Sanitario, alla propria area riservata e alla telemedicina. Sono quasi 300.000 i cittadini utenti su una popolazione di 540.000”.
A cosa serve tutto questo? A costruire un nuovo patto con il cittadino basato su trasparenza, consenso informato e responsabilità reciproca. Attraverso la piattaforma TreC+, ogni fase del patient journey diventa occasione di ascolto: si raccolgono indicatori di qualità di vita, benessere percepito, esiti auto-riferiti. Così la tecnologia non è solo strumento, ma catalizzatore di fiducia e alleanza terapeutica.
“La piattaforma TreC+ rappresenta quindi non solo uno strumento per l’accesso ai servizi sanitari digitali (punto unico di accesso), ma anche un’opportunità per definire un nuovo patto con il cittadino”, sottolinea Conforti.
Questo patto si fonda su alcuni elementi cardine:
- Consenso informato strutturato: grazie all’accesso tramite credenziali forti (es. SPID), la piattaforma TreC+ può diventare il canale privilegiato per raccogliere in modo sicuro e trasparente i consensi dei cittadini alla partecipazione a progetti di ricerca, in ottica GDPR compliant.
- Trasparenza e accountability: il cittadino può essere costantemente informato sulle ricerche in contesto sanitario attive, previste o concluse in Provincia e su quelle a cui ha aderito e sull’utilizzo dei propri dati, favorendo fiducia e coinvolgimento attivo..
- Patient journey, customer experience e PROs: integrata con Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, CUP (Centro Unico Prenotazione) e referti, la piattaforma consente di mappare in modo dinamico i percorsi di cura (esami, visite, accessi ai PDTA).
In sintesi, attraverso notifiche mirate, TreC può proporre:
- questionari di soddisfazione sull’esperienza dei servizi,
- strumenti di raccolta di Patient-Reported Outcomes (PROs) per rilevare qualità della vita, benessere percepito ed esperienza attraverso il percorso di presa in carico dal punto di vista dell’utente.
“In questo modo – conclude Conforti – , ogni tappa del percorso diventa un momento di ascolto non solo dell’esperienza, ma anche degli esiti riferiti dal paziente, fornendo un quadro più completo, trasparente e centrato sulla persona”.
N.d.r. L’evento di scenario ‘Le leve per una sanità “connessa”: territorio, interoperabilità e coinvolgimento del paziente’ è articolato in un Confronto di apertura e due Talk tematici, ai quali è possibile iscriversi:
- Confronto | Sanità territoriale: connettere il sistema sanitario tra pubblico e privato, sociale e sanitario
- Talk | Interoperabilità e Fascicolo Sanitario Elettronico per una sanità realmente “connessa”
- Talk | Il ruolo del patient engagement nel ripensamento dei sistemi di cura