I politici non sanno usare la rete

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La politica italiana ha scoperto la rete? A giudicare da una ricerca della Sapienza di Roma coordinata dal professor Stefano Epifani sembrerebbe proprio di no, o meglio, i politici l’hanno scoperta ma non sanno usarla e la temono. Scarso uso dei blog, poco coinvolgimento degli utenti, un po’ di facebook giusto per seguire la moda, ma davvero poco marketing relazionale. E pensare che qualcuno negli Stati Uniti ci ha vinto le elezioni con internet…

15 Marzo 2011

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Tommaso Del Lungo

Articolo FPA

Mentre nel resto del mondo le opportunità di comunicazione offerte dai social network hanno avvicinato la politica alla rete, divenendo parte integrante, non solo della campagna elettorale, ma della relazione tra l’eletto e la propria base di elettori, la politica italiana sembra non aver colto a pieno queste potenzialità e guarda ad internet e al rapporto disintermediato con gli altri utenti che essa offre, più come un pericolo che come un’occasione da sfruttare a proprio vantaggio.

A dirlo è il progetto di ricerca finanziato dall’istituto di studi Politici “S. Pio V”, e realizzato – per il secondo anno consecutivo – dal gruppo di lavoro del Professor Stefano Epifani della Sapienza di Roma[1]. Per una lettura dei dati della ricerca abbiamo sentito proprio Stefano Epifani, che ci ha così risposto: “L’idea che ha mosso la ricerca è quella di cercare di capire come gli strumenti di social networking facilitano il processo di avvicinamento o di riavvicinamento dei politici alla base. Per questo siamo partiti dal livello nazionale, analizzando i Parlamentari, per poi passare a tutti i sindaci dei comuni capoluogo e per finire con un campione di amministratori locali (sindaci assessori e consiglieri) sotto i trent’anni”.

Sempre più facebook e sempre meno blog

A fronte del fatto che il 65% dei politici sia presente in qualche modo online, il dato più evidente è sintetizzabile in uno slogan: sempre più facebook e sempre meno blog. Un tratto che accomuna le tre rilevazioni è, infatti, che, ripercorrendo un trend tipico di tutta la popolazione italiana, nell’ultimo anno c’è stata una crescita esponenziale di facebook a fronte di un calo significativo dei blog. Il dato è interessante perché mette in evidenza come la classe dei politici non abbia colto le potenzialità degli strumenti di personal publishing come i blog, preferendo seguire, invece, la tendenza generale a spostarsi verso il social network del momento. “Da un politico – spiega Epifani – ci si aspetterebbe un utilizzo degli strumenti di comunicazione online più «professionale», e invece ci si accorge che, nella maggioranza dei casi, gli strumenti attivati siano spesso male utilizzati o addirittura abbandonati”.

Insomma poca sensibilità verso lo strumento o le potenzialità dello strumento e nessun tipo di cultura. Tanto che spesso i blog sono trasformati in vetrine privi di strumenti interattivi (meno del 40% dei blog attivati presenta uno strumento di interazione con l’utenza), il sito internet diviene uno strumento di comunicazione elettorale (l’85% dei siti di politici non è stato aggiornato nemmeno una volta nei sei mesi precedenti la rilevazione) è fecebook è poco più di un luogo dove pubblicare il proprio profilo e accumulare “amici” o “mi piace” senza alcuno spazio per la discussione.

Al fast food della relazione

                               

La situazione rilevata dalle prime due indagini (i parlamentari e i sindaci) è abbastanza sconfortante e riassunta da grafici qui sopra. I risultati della rilevazione sui giovani amministratori riequilibrano un po’ le parti. Ben il 66% del campione, infatti, ha un profilo facebook (che corrisponde alla quasi totalità di coloro che hanno una presenza online), contro il 19% dei parlamentari e il 40% circa dei sindaci. “Tuttavia – sottolinea Epifani – anche le percentuali dei giovani amministratori sono ben al di sotto di quelle dei loro coetanei, come a dire: «se sei un politico hai meno probabilità di stare su facebook di un tuo coetaneo». Inoltre l’uso dello strumento rivela un comportamento poco professionale privo di una strategia di comunicazione. Basti pensare che quasi un quinto del campione dei giovani politici non parla della propria attività politica su face book”.

Una possibile spiegazione a questo comportamento è che la presenza o l’assenza sui social network corrisponde alla presenza o all’assenza di un interesse reale ad interagire con le persone. I picchi di utilizzo della rete, infatti, corrispondono al periodo elettorale e si “sgonfiano” appena passate le elezioni. “I social network – continua Epifani – funzionano bene per le relazioni di media o lunga durata. Non sono fast food della relazione” gli stessi algoritmi alla base dei social network prendono in considerazione l’intensità della relazione. Questo i politici dimostrano di non averlo affatto compreso. Moltissimi politici si stanno buttando su facebook soltanto perché è lo strumento apparentemente più semplice, il più popolato, quello che da risultati immediati più rilevanti. “Il problema è che su una relazione di lungo periodo questi risultati valgono poco se non vengono sostanziati da un costrutto più serio”.

La paura del dissenso

Per Epifani questo ritardo della politica italiana potrebbe essere dovuto al timore di poter innescare meccanismi difficilmente controllabili come i commenti negativi o la gaffe, che su web si diffondono con incredibile rapidità. “Tuttavia – ci spiega – se andiamo a guardare le dinamiche di chi questi strumenti li utilizza correttamente osserviamo che gli atteggiamenti distruttivi sono fenomeni scarsamente rilevanti, che scompaiono di fronte alla relazione proficua”.
I vantaggi cioè sono maggiori dei danni e lo sanno bene politici nazionali come Nichi Vendola o Antonio di Pietro, ma anche i sindaci Michele Emiliano e Matteo Renzi o l’onorevole Antonio Palmieri (PDL), che hanno capito che usare bene questi strumenti fa bene alla loro immagine e al loro lavoro: blog aggiornati e aperti ai commenti, profili di facebook usati, popolati e resi interattivi, presenza su youtube e messaggi scritti di loro pugno per creare un rapporto costruttivo con l’elettorato. “Il pubblico di questo si accorge – conclude Epifani – e lo si vede chiaramente visitando le loro pagine online, in cui le persone che li conoscono li ritrovano mentre quelle che non li conoscono imparano a conoscerli”


[1] Un estratto della ricerca è contenuto nel volume “Manuale di comunicazione politica in rete” Scritto da Stefano EpifaniAlessio Jacona, Roberto Lippi e Magda Paolillo per l’Istituto di Studi Politici San Pio V.
Una versione cartacea, già acquistabile al prezzo di 10 euro sui principali book store online come Feltrinelli, Amazon, IBS, Unilibro.
La versione in PDF, gratuita, è già disponibile per essere condivisa e scaricata qui.

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