Il semestre caldo degli enti locali, la proposta Anci e il tagliando alla Delrio

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Per Anci è arrivata l’ora di fare un tagliando alla legge Delrio. Dall’annoso nodo delle Province a una nuova disciplina per l’associazionismo intercomunale, Matteo Ricci, vice Presidente Anci Nazionale e Sindaco di Pesaro ci spiega quale è la proposta di legge che dovrebbe essere approvata entro giugno.

25 Gennaio 2017

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Chiara Buongiovanni

Lavorando in ottica di “territori collaborativi” scopriamo che il 70% dei Comuni italiani ha obbligo di collaborare nella gestione delle proprie funzioni da circa trent’anni. E’ il tema dell’associazionismo comunale. Un processo che ha in sé qualcosa di paradossale: conveniente per tutti sulla carta, richiamato di norma in norma negli ultimi ventisette anni, si è rivelato sinora un insuccesso. Per capirci, parliamo di 5585 Comuni su cui ricade l’obbligo di gestire in forma associata le funzioni principali, dieci in totale, in un valzer di estensioni e proroghe che, partito con la Legge 142/1990 passando dal decreto legge n. 78/2010 fino alla Legge 56/2014, dovrebbe ora trovare compimento entro il 31 dicembre 2017, scadenza fresca di proroga ex decreto Legge 244/2016 (Milleproroghe).

La prima analisi da fare è di tipo quantitativo.
A che punto siamo con i numeri? Secondo gli ultimi dati resi disponibili da Anci, a novembre 2016 le Unioni di Comuni erano 538 (73 in più rispetto al marzo dello stesso anno) coinvolgendo 3104 Comuni degli aventi obbligo e interessando una popolazione di 12 milioni di abitanti.
Da considerare che la scadenza per tutti era fissata al 31 dicembre 2016, già in proroga rispetto alla scadenza del 31 dicembre 2015 e a quella precedente del 31 dicembre 2014. Ora, senza soluzione di continuità, la proroga continua lungo tutto il 2017.

In una lunga conversazione sul destino del riordino degli enti locali, il professore Mario Collevecchio sottolinea il carattere di obbligatorietà della gestione associata già fissato con decreto 78/2010, anche se inizialmente riferito a sole tre funzioni. “In caso di inadempienza – ricorda – il decreto prevedeva l’avvio di una procedura sanzionatoria che avrebbe dovuto portare al commissariamento”. Interessante il fatto che, pur a fronte di evidente e diffusa inadempienza, pare che questa procedura non abbia dato luogo ad alcuna sanzione e, a fronte delle relative relazioni dei Prefetti, la scelta è sempre ricaduta sulla proroga, rischiando di minare la credibilità dell’intero processo.

Per Collevecchio bisogna domandarsi seriamente perché i Comuni non si associano. “Secondo me – sostiene il professore – si dovrebbe partire da un’analisi attenta dei motivi dell’evidente insuccesso della normativa sull’associazionismo. Questo significa innanzitutto considerare la profonda diversità dei territori italiani”. E, a partire dalla sua esperienza sul territorio, sottolinea alcuni punti su cui lavorare E’ innegabile che ancora prevalga una concezione campanilistica dell’ente locale, ma soprattutto ciò che manca – nell’analisi di Collevecchio – è l’evidenza della convenienza nel rapporto associativo. “Bisogna puntare sulla formazione oggettiva di situazioni di convenienza nella ripartizione tra costi e benefici, premiando la formazione volontaria di associazioni”. In parallelo, bisognerà puntare su una leadership adeguata a livello politico, una leadership “creativa”, capace di promuovere nuovi modelli organizzativi in risposta alla nuova governance”. “Guardando dentro le organizzazioni – insiste Collevecchio – non possiamo non invocare un repentino cambio di marcia su due fronti: la necessaria formazione e un approccio diverso alla gestione delle risorse umane, puntando sulla promozione delle professionalità e delle aspirazioni dei dipendenti invece di rimanere fermi in un approccio giuridico – garantista, concausa dell’immobilismo istituzionale e organizzativo in cui versiamo”. Infine e non da ultimo, da tener presente l’aspetto economico – finanziario. “L’associazionismo degli enti locali – conclude il professore – è un grosso traguardo di riforma della PA italiana e dell’assetto istituzionale in base all’art. 114 della nostra Costituzione. Come tutti i grandi traguardi prevede investimenti, non si può fare a costo zero”.

La situazione persistente di inadempienze e proroghe inizia dunque ad essere imbarazzante. E a prendere in mano la situazione per sbloccare finalmente la governance della gestione associata delle funzioni principali sui territori arriva l’Anci, in rappresentanza degli attori protagonisti di questa complicata vicenda: i Comuni. Il tema è stato infatti al centro dell’ultima Assemblea dell’Associazione (ottobre 2016), quando, a partire dallo stato dell’arte è stata esplicitata una nuova fase. “Una fase complessa per quanto innovativa improntata innanzitutto al riordino ed al rafforzamento della governance locale di tutti i Comuni come attori principali di tale processo anche nell’ottica della ridefinizione degli ambiti provinciali e delle aree vaste. Il tema centrale è quello di una nuova governance per il sistema locale, prima ancora di concentrare il dibattito sulla scelta tra Convenzioni, Unioni e Fusioni, tutti “strumenti” potenzialmente validi se espressione del territorio”. (Dossier associazionismo intercomunale 2016)

L’Anci si fa così promotore di una proposta di legge per rendere finalmente il riordino degli enti locali realtà, per volontà degli enti locali stessi. E il vice presidente nazionale Anci, nonché Sindaco di Pesaro, Matteo Ricci si dice ottimista. “Stiamo lavorando da mesi con Governo e Parlamento ed è attivo un Tavolo di lavoro comune presso il Ministero Affari regionali e autonomie. Speriamo che la grande collaborazione che registriamo sul tema produca presto una proposta di legge vera e propria che possa essere approvata entro il primo semestre. I tempi sono stretti: non dobbiamo arrivare di nuovo alla fine dell’anno per evitare di rientrare in area urgenza e rischiare così di avere una nuova proroga”. Il sindaco Ricci, parlando a nome di Anci, si dice in disaccordo con il meccanismo della proroga, ma specifica: “In questo caso l’abbiamo richiesta facendo una controproposta. La nostra tesi è che la normativa sull’aggregazione dei Comuni è impostata secondo un criterio sbagliato, quello dei piccoli Comuni. Alla luce dello svuotamento delle Province ad opera delle Legge Delrio abbiamo invece bisogno di rafforzare i Comuni, evitando il rischio di indebolire l’intera governance del territorio”.
Dunque cosa dovrebbe contenere la nuova normativa in materia di associazionismo intercomunale? “La proposta – spiega Ricci – è aggregare i Comuni non secondo l’attuale criterio demografico (Comuni sotto i 5000 abitanti) ma secondo il criterio del bacino omogeneo”. In pratica si parte dalla constatazione che “in ogni territorio provinciale esistono dei bacini omogenei, per motivi socio-economici morfologici, geografici, che devono diventare luoghi stabili di collaborazione tra Comuni. Il criterio del bacino omogeneo permette di includere tutti i Comuni italiani, anche i capoluoghi di provincia e i comuni medi, perché sappiamo che le Unioni che hanno funzionato meglio sono quelle che hanno al loro interno un Comune più grande di altri, che svolge una funzione di pivot”. L’idea è che ci sia obbligo di gestione associata per tre funzioni, fermo restando che laddove i Comuni volessero associarsi su più funzioni, non solo potrebbero farlo ma sarebbero per questo “premiati”. In parallelo, argomenta Ricci “chiediamo ulteriori semplificazioni e incentivi in tema di fusioni, che rimangono del tutto volontarie secondo l’iter previsto da legge”.

Nella lettura del sindaco Ricci, il territorio provinciale rimarrebbe al centro della governance locale. In primis, in quanto organo Costituzionale a tutti gli effetti, in capo alla Provincia rimangono a pieno titolo le funzioni principali, in particolare in materia di strade e di scuole. “Questo – sottolinea Ricci – significa che non si possono immaginare trasferimenti di funzioni ad altri organi dello Stato, e qui penso alle Regioni. Alle funzioni previste da legge poi devono corrispondere risorse adeguate, cosa che al momento non avviene, causando non poche difficoltà su tutti i territori”.
Per sintetizzare, la nuova governance nella proposta di Anci sarebbe così disegnata. La Provincia, rimanendo un ente di secondo livello, è il luogo dove si svolge l’Assemblea dei Sindaci che decide quali sono i bacini omogenei. Dentro i bacini omogenei nascono le Unioni di Comuni tra enti che si associano nella gestione di almeno tre funzioni. “Se i Sindaci per un motivo o per un altro non decidono – specifica Ricci – il potere sostituivo è affidato alla Regione, che a quel punto decide quali siano i bacini omogenei provincia per provincia”.

Per Anci, ai fini di un riordino efficace del territorio, alla luce delle difficoltà finora riscontrate e dell’esito del Referendum costituzionale, è arrivata l’ora di fare un tagliando alla Delrio. In particolare è necessario garantire all’ente provinciale le risorse necessarie e, aggiunge Ricci “introdurre un elemento di semplificazione, facendo cioè coincidere con l’Assemblea dei Sindaci i vari Consorzi sul territorio che oggi non sempre corrispondono al livello provinciale, generando spesso un proliferare di organismi”.

“Qualora la nostra proposta divenisse legge – conclude Ricci – darebbe in tempi brevi un buon contributo alla riorganizzazione complessiva degli enti locali. Ed è possibile portare a termine l’iter legislativo già entro i primi sei mesi dell’anno” .

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