Al via la nuova Direttiva sui servizi di pagamento, ecco i fronti aperti per le PA

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14 Dicembre 2015

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Eugenio Prosperetti, avvocato e docente presso la LUISS di Roma

Il 2015 è stato caratterizzato dal lancio in Italia e all’estero di numerosi sistemi di pagamento digitale. Tali sistemi, tra cui si possono menzionare Jiffy di SIA, Zak dell’ICBPI, Satispay dell’ICCREA, MyBank di Preta SAS, Sofort, PosteID-PostePay di Poste, solo per citarne alcuni, con altri ancora pronti al lancio e non ancora noti al pubblico.

Anche solo constatando l’elevato numero di sistemi di pagamento digitale alternativi alle tradizionali carte ora disponibili, si può comprendere come “qualcosa” stia cambiando e vi sia fermento nel settore dei pagamenti digitali. I sistemi sopra citati, ognuno con le proprie particolarità e caratteristiche, hanno in comune il fatto che è possibile inviare un pagamento direttamente dallo smartphone, tra utente ed utente, senza dover digitare alcun numero di carta di credito o coordinata di conto bancario. L’operazione di pagamento, in sostanza, equivale in termini di complessità e di percezione dell’utente all’invio di un messaggio ad un altro utente: i sistemi in questione hanno in comune, infatti, il fatto di selezionare il destinatario del pagamento in una apposita “rubrica”, specificare l’importo e consentire così di avviare una operazione di pagamento.

Ogni sistema poi ha specificità per quanto riguarda le modalità con cui avviene il pagamento, il modo con cui si attiva il sistema, la presenza o meno di un wallet da precaricare tramite bonifico, carta di credito o versamento per contanti, la possibilità di addebitare o meno le somme su conto corrente e, soprattutto, si differenziano per la possibilità di essere utilizzati (o meno) solo in un certo circuito bancario o in più circuiti bancari. Vi sono poi sistemi di pagamento, come Apple Pay, Samsung Pay e Google Wallet che abbinano lo smartphone e l’account Apple/Samsung del pagatore ad una carta di credito (ad un borsellino nel caso di Google Wallet) consentendo di utilizzare il sensore NFC del dispositivo per comunicare al POS del merchant i dati necessari al pagamento. I dati con i quali si effettua il pagamento sono quelli dell’account degli store digitali sopra citati i quali, a loro volta, addebitano lo strumento di pagamento dell’utente.

Sono poi sempre più usati i pagamenti attraverso istituti di moneta elettronica, quali Paypal, i quali consentono ai propri utenti di inviare e ricevere pagamenti attraverso conti correnti e carte di credito collegate all’account e sono utilizzati su siti internet ed applicazioni per smartphone. I pagamenti Paypal hanno i tempi e le regole (inclusa la clausola “salvo buon fine”) propri degli strumenti di pagamento abbinati.

Un’ultima menzione in questo breve quadro riassuntivo merita il c.d. “bitcoin”, capostipite delle criptovalute alternative alla valuta corrente e riconosciuto recentemente, anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sentenza C-264/2015 del 22 ottobre 2015), come una vera e propria valuta senza però uno Stato di appartenenza e alla quale non sono applicabili le regole dell’imposta sul valore aggiunto. [leggi qui il nostro approfondimento]

Chi paga in Bitcoin, in sostanza, è come se pagasse in una valuta che non è dello Stato in cui si effettua la transazione, con tutte le conseguenze del caso, anche in termini di ammissibilità del pagamento. Essendo quello appena delineato il panorama – in rapida evoluzione tecnologica – appare naturale che il Legislatore, nel disegnare la riforma della PA in senso digitale, si ponga il problema dell’eventuale adeguamento dei mezzi di pagamento che possono essere utilizzati dal cittadino e dalle imprese per i pagamenti dovuti alla PA e viceversa.

In particolare, la delega per la riforma del CAD contenuta nella riforma Madia (art. 1, L. 124/2015) denominata “carta della cittadinanza digitale” prevede sul tema che il nuovo CAD debba: “prevedere che i pagamenti digitali ed elettronici effettuati con qualsiasi modalità di pagamento, ivi incluso l’utilizzo per i micropagamenti del credito telefonico, costituiscano il mezzo principale per i pagamenti dovuti nei confronti della pubblica amministrazione e degli esercenti servizi di pubblica utilità”.

La delega al Governo è indubbiamente molto ampia se si considera che non si parla di specifici mezzi di pagamento elettronico: la PA dovrebbe essere messa in grado di ricevere “qualsiasi modalità di pagamento” incluso il credito telefonico e tale disposizione riguarda anche gli esercenti servizi di pubblica utilità quali operatori telefonici, società elettriche, gas, ecc.

A questo punto il ragionamento che probabilmente sarà chiamato a compiere il Legislatore riguarda cosa costituisca una “modalità di pagamento”: si può ad esempio considerare il Bitcoin sopra citato una modalità di pagamento? Risponde alle norme sul pagamento vigenti nel nostro ordinamento? Altra domanda che probabilmente il Legislatore sarà chiamato a farsi è se sia onere della PA dotarsi delle tecnologie per adeguarsi ai vari sistemi di pagamento (es. interfacce, codifiche, API, ecc.) o se invece sia il sistema di pagamento a dover produrre una operazione secondo standard interoperabili e noti e dunque per la PA siano accettabili esclusivamente i pagamenti che rispondono a standard universali quali, ad esempio, quelli basati su IBAN bancario o sulle coordinate standard delle carte di credito e il cambiamento sia nell’accettare ogni possibilità di generare tali operazioni.

Probabilmente, anche se la riforma del CAD seguirà – come è certamente possibile – i recenti annunci del Ministro e dunque vedrà la luce prima della fine del 2015, il tema sarà da sviscerare dal punto di vista tecnico.

Si tenga conto che nel 2016 in Italia inizierà il percorso di attuazione della nuova Direttiva sui servizi di pagamento (la c.d. PSD2) e, a quanto noto, tale attuazione verrà demandata a un tavolo cui siederanno tutte le istituzioni aventi competenza al riguardo dati i molteplici aspetti e versanti impattati dalla attuazione delle norme in questione.

La Direttiva PSD2, tra l’altro, consente ai prestatori di servizi di pagamento di porsi come intermediari tra la banca e l’utente che vuol pagare, facendosi carico dell’accesso al conto corrente e gestendo, per conto dell’utente pagatore, l’ordine di pagamento. Nella pratica un service provider (magari lo stesso che ci fornisce l’identità digitale o altri servizi) potrebbe farsi carico di effettuare un pagamento per nostro conto verso la PA, previa autorizzazione sicura ad accedere al nostro conto.

E’ dunque possibile che le nuove norme sui pagamenti della PA saranno l’avanguardia di una serie di norme innovative sulla disciplina dei pagamenti che, nel 2016, cambierà molto il modo in cui siamo abituati a pagare ed incassare somme quotidianamente.

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