Competenze vs culture: la sfida si gioca sul campo digitale

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La frammentazione culturale porta linfa innovativa,
ma rischia di collidere con quella che oggi è l’esigenza primaria: la costruzione di
un
ecosistema basato sulle
infrastrutture complesse, sull’interoperabilità dei sottosistemi e sulle
strategie territoriali. Se ne discute a Roma in occasione del convegno “Competenze e culture digitali a confronto”

6 Aprile 2016

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Giulio Lughi, presidente Comitato Tecnico Scientifico del CSI Piemonte, Università di Torino

Le competenze sono viste come insiemi di nozioni, pratiche, saperi che permettono di procedere concretamente in una dimensione operativa, quindi a corto raggio d’azione, con una temporalità di breve durata, in una prospettiva fondamentalmente tattica. Le culture invece, intese come capacità articolate e flessibili di collocare le proprie competenze in una prospettiva globale, assumono una visione a largo raggio e di lunga durata, per sviluppare scelte strategiche in funzione della complessità della società contemporanea.

Questa la prospettiva che accoglie il tema delle competenze digitali, che sarà oggetto di discussione all’interno del convegno “Competenze e culture digitali a confronto” che si terrà a Roma il prossimo 13 aprile organizzato dal CSI Piemonte.

Entrambe le problematiche si incrociano con il tema della formazione, come processo fondamentale di trasmissione della conoscenza fra comparti diversi della società, sia in senso verticale (da docente ad allievo), sia in senso orizzontale (da esperto a non esperto, o da esperto a esperto) in un’ottica di interdisciplinarità e di condivisione partecipativa del sapere. Con il warning che, per quanto riguarda le competenze digitali, ai tradizionali canali formativi (scuole, corsi professionali, master, atenei) si affiancano oggi sempre più numerosi soggetti formativi “dal basso” che – se indubbiamente rappresentano una potente spinta di autonomia e creatività – d’altro canto appaiono come difficilmente integrabili in una visione organica di formazione delle competenze.

Lo stesso accade sul piano delle culture: la teoria educativa ha sempre distinto fra apprendimento formale (nelle istituzioni deputate) e apprendimento informale (nella vita quotidiana, nei rapporti sociali, nelle esperienze personali, ecc.): oggi tuttavia sono proprio le teorie che descrivono l’avvento del digitale (USG, remix culture, informazionalismo, partecipazione social, gamification, ecc.) a dare forte rilievo alla dimensione informale, o di “alfabetizzazione selvaggia”, suscitando un rinnovato interesse per modelli formativi alternativi a quelli istituzionalizzati, quali ad esempio il metodo Montessori, l’esperienza di don Milani, o più recentemente – e su un altro piano – la Scuola 42 di Parigi, o la frammentazione formativa implicita nel modello dei MOOC, o di TEDxAcademy.

Per questo motivo il titolo del convegno declina al plurale sia competenze sia culture: la frammentazione è un tratto costitutivo del mondo digitale, forse perché nato dal modello aggregativo e a-centrato della Rete, ma anche più semplicemente perché il mondo digitale non è più una nicchia unitaria i cui abitanti si intendono perfettamente, ma un universo onnicomprensivo in cui i diversi soggetti che vi operano (grandi aziende, piccole e medie imprese, istituzioni, PA, atenei, scuole, mondo politico, cittadini, associazioni, ecc.) tendono a definire – come è naturale – “il digitale” secondo le proprie finalità e i propri scopi.

Ed è qui lo snodo problematico su cui il convegno vuole porre l’accento: se da una parte la frammentazione è un fatto ineliminabile, da considerare positivamente in quanto portatore di linfa innovativa, dall’altra rischia di collidere con quella che oggi è l’esigenza primaria necessaria per rispondere alle sfide di questa fase di transizione, e cioè la costruzione di un ecosistema basato sulle infrastrutture complesse, sull’interoperabilità dei sottosistemi, sulle strategie territoriali a largo raggio. Il che implica – a cascata – la mappatura standardizzata delle competenze, anche uscendo dalla gabbia dei titoli di studio; la volontà di affrontare criticamente alcune mitologie (i nativi digitali, l’esperienza delle start up); la consapevolezza che il digitale non è solo tecnologia di frontend, ma anche complessità sottostante; la distinzione tra informatica e digitale, inteso proprio come ecosistema sociale; e infine, più sullo sfondo, il cambio di stili di vita e di mentalità.

In questa prospettiva il CSI Piemonte, per le sue caratteristiche strutturali, si è trovato sempre ad operare in una logica di integrazione (fra PA e Atenei, fra Sanità ed Enti culturali, fra complesse realtà metropolitane e piccoli comuni montani, ecc.), sviluppando esperienza proprio sulle problematiche di rapporto fra microrealtà diversificate, da una parte, ed esigenze strutturali di interoperabilità, di ottimizzazione delle procedure, di riuso e ingegnerizzazione del software, di visione di sistema, di scenari di sviluppo a medio-lungo termine: i temi che ora vengono posti all’attenzione e alla discussione del convegno “Competenze e culture digitali a confronto”.

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