Emilia Romagna, “la nostra via per migliorare qualità del dato aperto e riutilizzo”

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Dal punto di osservazione privilegiato che si è costituito in Emilia-Romagna, si può ben vedere che l’Italia non è indietro sul tema “dati aperti”, in termini di quantità di dati prodotti, catalogati e interoperabili, ma c’è sicuramente un ampio margine di lavoro in termini di qualità, filiera di produzione e promozione e misurazione del riutilizzo

2 Dicembre 2016

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Massimo Fustini, responsabile progetto Open Data Emilia-Romagna

Nel 2011 la Regione Emilia-Romagna ha lanciato il portale dati.emilia-romagna.it, piattaforma regionale dei dati “aperti” che rappresenta uno dei principali strumenti attuativi delle strategie regionali in materia di Open Data, a disposizione, proprio in riferimento alla volontà regionale di farsi promotrice del processo di riutilizzo dei dati pubblici, anche degli enti locali ed enti pubblici del territorio. Frutto iniziale di un progetto sperimentale di riuso, a maggio 2016 abbiamo realizzato, con il supporto operativo di Lepida Spa, la nuova piattaforma, in coerenza con le linee guida nazionali ed europee e basata sul sistema di indicizzazione CKAN di Open Knowledge Foundation.

Questo strumento, che ad oggi vede la pubblicazione di poco meno di 400 dataset, non è altro che la punta dell’iceberg di una serie di politiche e strategie per l’apertura dei dati che sono state messe in campo in Emilia-Romagna da Regione ed altri Enti del territorio.

A partire, infatti, dalla pubblicazione delle Linee Guida relative al riutilizzo e messa a disposizione dei dati pubblici dell’amministrazione regionale (D.G.R. 2080/2012), ora in fase di aggiornamento, sono stati sottoscritti diversi accordi con enti locali per la pubblicazione di dati aperti in coerenza con le stesse linee guida, ed allo stesso tempo si è lavorato molto per catalizzare competenze e conoscenze attraverso comunità tematiche ad hoc ed iniziative progettuali, nazionali ed europee. Lo scopo era uno solo: valorizzare i vantaggi derivati da un approccio omogeneo alla produzione, validazione e pubblicazione degli open data.

La nostra esperienza ci ha insegnato che le dimensioni fondamentali da tenere presente vanno “oltre” la sola disponibilità del dato aperto in formato “grezzo” (raw), e si possono riassumere in due parole chiave: qualità e riutilizzo del dato.

La qualità del dato è un parametro che si incardina nella produzione stessa del dato e va esteso a tutto il suo ciclo di vita. Il processo di “formalizzazione” del ciclo di vita dei dati – che ha un grosso impatto organizzativo per un ente pubblico – diventa, quindi, un obiettivo imprescindibile perché è condizione sine-qua-non in prima battuta, per i fruitori interni alle PA stesse, che devono utilizzare e scambiare in modo efficiente i propri dati, ed in seconda battuta per la società civile, che potrà maggiormente riutilizzare il dato.

Per questo “la pubblicazione di dati non deve essere un’attività a latere, quindi accessoria, ma compenetrare l’attività istituzionale”[1].

Il riutilizzo, invece, del dato è il fattore più “esposto” alla società civile, la quale come destinatario ultimo del “valore” intrinseco del dato aperto è il motore trainante della domanda del dato. Il riutilizzo, per la nostra esperienza, è anche però un importante indicatore della qualità del dato, soprattutto in termini di possibilità di fruizione e disseminazione. Un dato aperto, ma non fruibile perché catalogato male, ad esempio, non è aperto.

Per questo in Emilia-Romagna abbiamo posto un’attenzione particolare ai metadati, lavorando molto sulla loro compatibilità e coerenza con i profili nazionali ed europei (come ad esempio il profilo italiano di DCAT-AP (DCAT-AP_IT) e sugli strumenti di harvesting automatico.

Un importante corollario di questi due concetti chiave appena esposti, è la valutazione dell’impatto degli open data. Il riutilizzo dei dati e la loro disseminazione è sostanzialmente imprevedibile, ma un buon monitoraggio ne rafforza esponenzialmente il valore, avendo anche attenzione a contestualizzare l’azione Open Data in progetti con obiettivi più ampi e definiti.

Due casi esemplari in Emilia-Romagna sono sicuramente rappresentati dalla iniziativa Open Ricostruzione, derivata dalla liberazione dei dati della ricostruzione post-sisma del 2012, e dal percorso dell’ASL e dell’Azienda Ospedaliera di Ferrara nel contesto del progetto Ferrara Open Sanità.

Open Ricostruzione è un progetto frutto di una collaborazione fra società civile e istituzioni e si tratta di una iniziativa di monitoraggio civico, basata anche sulla disponibilità dei dati aperti relativi della ricostruzione post-sisma, a disposizione degli amministratori locali e dei cittadini per favorire una ricostruzione partecipata e trasparente grazie a una piattaforma che permette di mappare tutti i danni causati alle opere pubbliche e di visualizzare i relativi finanziamenti, i progetti in corso, l’entità economica dei danni e i tempi di realizzazione.

Ferrara Open Sanità, invece, è un programma di azioni integrate per sostenere l’innovazione aperta della sanità nel territorio ferrarese, che ha come obiettivo quello di migliorare i servizi sanitari nell’area ferrarese attraverso il coinvolgimento degli utenti, dei loro famigliari e delle associazioni di volontariato e di tutela dei pazienti. In questo contesto, nel corso dello scorso anno, l’Azienda Sanitaria e l’Azienda Ospedaliera di Ferrara, in partnership con Regione Emilia Romagna e Università di Bologna, hanno attivato il primo laboratorio regionale sul riuso dei dati aperti di sanità e sociale. Questo laboratorio ha costituito un’esperienza regionale in cui la cittadinanza è stata coinvolta in un percorso mirante a creare una base comune di conoscenza sul tema open data per valutare qualità e rilevanza delle informazioni disponibili in formato aperto e raccogliere suggerimenti su quali dati rendere disponibili.

Per concludere, dal punto di osservazione privilegiato che si è in qualche modo costituito in Emilia-Romagna, possiamo affermare che il panorama italiano non è indietro sul tema “dati aperti”, in termini di quantità di dati prodotti, catalogati e fruibili in piattaforme tecnologicamente avanzate ed interoperabili, ma c’è sicuramente un ampio margine di lavoro in termini di qualità, filiera di produzione e promozione e misurazione del riutilizzo.

Per questo Regione Emilia-Romagna è già al lavoro verso l’interoperabilità dei cataloghi e l’omogeneizzazione dei dati per creare una “Banca Regionale Unica del Dato”: un sistema di regole e modalità che agevolano gli utenti ad individuare e riutilizzare i dati in formato aperto della PA, che in una visione più estensiva tenda a comprendere non solo gli open data, ma anche i dati prodotti, conservati e mantenuti ad uso interno della PA.



[1] (Cfr. Cattani/Fustini, Ecoscienza n.5 – 2016 – https://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_doc/ecoscienza/ecoscienza2016_5/Ecoscienza2016_5.pdf)

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