Fare ordine sul banco di lavoro

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Come forse vi ho già raccontato, per un periodo non breve della mia gioventù, una decina d’anni, ho fatto il falegname e ricordo ancora il grido del mio maestro: "Ordine su quel banco!". Quell’incitamento mi torna alla mente ora che con il Piano Nazionale "Crescita digitale" abbiamo un progetto e con l’Agid (quasi) funzionante abbiamo anche un owner. E’ arrivato proprio il momento di mettere in ordine il banco, chiarendo chi fa cosa, quando e con che soldi. Ma…

27 Novembre 2014

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Carlo Mochi Sismondi

Come forse vi ho già raccontato, per un periodo non breve della mia gioventù, una decina d’anni, ho fatto il falegname e ricordo ancora il grido del mio maestro: "Ordine su quel banco! Da quel casino possono venir fuori solo lavori sporchi!". Il lavoro "pulito", ossia rifinito, senza sbavature, netto e preciso è il fine di qualsiasi artigiano, ma io, giovanotto intellettuale prestato al lavoro manuale, non coglievo quanto questo dipenda dall’organizzazione dello spazio in cui lavori, dalla funzionalità degli attrezzi che hai, dall’interazione dei movimenti tuoi e dei tuoi compagni, che possono aiutarti, ma se ti stanno in mezzo ad ogni passo, possono anche essere un impedimento letale.

Quell’incitamento mi torna alla mente ora che con il Piano Nazionale "Crescita digitale" [per approfondire l’articolo dello Studio Legale Lisi e quello della nostra redazione] abbiamo un progetto e con l’Agid (quasi) funzionante abbiamo anche un owner. E’ arrivato proprio il momento di mettere in ordine il banco.

L’ottimo articolo di Luca Attias e Michele Melchionda su "Agenda Digitale" ci dà alcune indicazioni di quel che servirebbe: un nuovo “reinventing government” digitale.

Ma prima ancora ci serve chiarire finalmente ruoli e competenze. Nelle società complesse come la nostra, sarebbe ingenuo immaginare organigrammi del tutto semplici e lineari, né si potrebbe attribuire un tema ad un solo soggetto, perché il "governo con la rete" è intrinseco nel sistema. Ciò premesso, se date un’occhiata alla tabella sulla governance della sanità digitale che vi riporto sotto e che devo alla pazienza di Stefano Lotti, presidente di HL7 (l’autorità globale sugli standard per l’interoperabilità nell’IT sanitario con membri in più 55 paesi), ci rendiamo conto che abbiamo pochissime possibilità di raggiungere i risultati che ci servono.

(clicca per ingrandire)

Sempre Stefano mi ricorda la vecchia legge di Conway che è stata postulata dal programmatore Melvin Conway in un suo articolo del 1968. La legge dice che qualsiasi lavoro strutturato rispecchierà al suo interno la suddivisioni dell’organigramma della squadra che l’ha progettato e realizzato: le organizzazioni di persone che progettano sistemi sono naturalmente portate a ricalcare nei sistemi che progettano la struttura di comunicazione delle organizzazioni stesse. Immaginate se da questo gomitolo di competenze e da questo intreccio di responsabilità potrà nascere un sistema ordinato ed efficiente.  E’ assolutamente necessario un salto di qualità nell’organizzazione e nella autoconsapevolezza.

E allora? Bè comincerei a chiedere a ciascuno di fare il proprio lavoro. I membri del Parlamento facciano i legislatori con la massima cura ed attenzione e svolgano la funzione costituzionale di “controllori” dell’esecutivo, ma non facciano i player; il Governo centrale esprima chiare ed univoche direttive politiche con obiettivi definiti e risorse certe; le funzioni di staff (consiglieri e affini, per dotti che siano) facciano lo staff e quindi sostengano la line di cui sono risorsa, senza sovrapporsi ad essa; i Governi territoriali declinino le direttive nazionali adattandole alle specificità locali, ma nella massima coerenza con i disegni nazionali che avranno contribuito a redigere; la struttura amministrativa preposta, in questo caso l’Agid, lavori per l’esecuzione di queste politiche con la massima autonomia sulla base di un “contratto di servizio” e sia giudicata solo dai risultati ottenuti; il mercato infine faccia il suo lavoro: studi un’offerta innovativa e mirata, non mal tradotta e importata a caso da esperienze diverse, ma “nativa” per questo momento e questo luogo e si metta in gioco accettando un risk sharing non più eludibile. 

Ieri in un convegno l’amministratore delegato di Consip, Domenico Casalino, ci ha descritto la terribile sorte del Paese di Litigonia in cui la fallita trasformazione digitale è stata causata tra quattro terribili sindromi: a Litigonia tutti comandano e nessuno va avanti; ci sono continui cambi di rotta; manca un qualsiasi coordinamento tra le parti; gli acquisti sono polverizzati e senza strategia comune. A Litigonia la “crescita digitale” se la sognano. Speriamo che le loro malattie non siano contagiose!

 

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