La filiera della fiducia nell’era dell’IA: la nuova responsabilità della PA

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Nell’epoca dell’intelligenza artificiale generativa, autenticità e verità dei contenuti non si valutano più solo sulla forma o sul contenuto stesso, facilmente manipolabili. La PA, grazie alla sua infrastruttura di fiducia — fatta di tracciabilità, atti formali, interoperabilità e fonti certificate — può diventare modello di verifica sistemica, offrendo a cittadini e società nuovi strumenti per riconoscere e validare l’informazione

28 Novembre 2025

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Andrea Tironi

Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT

Foto di Anne Nygård su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/lettera-damore-rossa-e-bianca-KAx_Ok89I7Q

Viviamo in una fase in cui la produzione di contenuti non è più un ostacolo. Con l’intelligenza artificiale generativa chiunque può creare testi ben scritti, immagini realistiche, video credibili e persino voci praticamente indistinguibili da quelle reali. La forma, che per anni è stata uno degli elementi su cui fondavamo la percezione di autenticità, oggi non è più sufficiente per distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Allo stesso tempo il contenuto non è più un indicatore affidabile: negli ultimi anni molte figure pubbliche hanno reso plausibili dichiarazioni impensabili, al punto che anche ciò che sembra assurdo può risultare comunque reale.

Questo nuovo scenario ci obbliga a ripensare completamente i nostri criteri di fiducia. Finora abbiamo valutato la verità di un contenuto basandoci su ciò che esso mostrava: il linguaggio, la coerenza interna, il realismo delle immagini, la qualità della registrazione. Oggi questi elementi non bastano più. Il contenuto è diventato, in senso tecnico, un oggetto manipolabile in modo indistinguibile rispetto all’originale. Ciò che vediamo non garantisce nulla su ciò che è realmente accaduto.

La domanda, dunque, cambia: non più “questo contenuto sembra vero?”, ma “da quale sistema di fiducia proviene questo contenuto?”. È un passaggio culturale molto profondo. La verità non sta più nel contenuto isolato, ma nella filiera che porta alla sua esistenza: chi lo pubblica, su quale piattaforma, con quale storico, con quali riscontri indipendenti, con quale coerenza rispetto alle norme e ai dati pubblici.

Il contesto diventa un nuovo punto di riferimento. Un video diffuso da un canale istituzionale, un documento pubblicato su un sito ufficiale, un testo firmato digitalmente: non sono solo elementi formali, ma dispositivi che rendono verificabile la provenienza. Allo stesso modo, la coerenza con le informazioni pubbliche — normative, statistiche, procedurali — diventa un criterio essenziale. In altre parole, la valutazione della verità non è più un esercizio estetico, ma un esercizio di verifica sistemica.

Questa trasformazione riguarda in modo particolare il settore pubblico. Gli enti, abituati per natura a definire procedure, firme, protocolli e registri, si ritrovano ora in una posizione quasi privilegiata: la loro infrastruttura di fiducia è già un elemento costitutivo del modo in cui operano. Nell’ecosistema dell’IA, questa infrastruttura — fatta di tracciabilità, atti formali, interoperabilità e fonti certificate — diventa un vantaggio culturale prima ancora che tecnologico. La PA, se lo riconosce, può essere un esempio per la società: non per sottrarsi al rischio della disinformazione, ma per offrire un modello di verifica robusto e replicabile.

Il paradosso è che proprio l’intelligenza artificiale, che oggi amplifica la possibilità di generare contenuti irriconoscibili, diventa anche uno strumento per controbilanciarli. I modelli stessi possono aiutare a rilevare incoerenze, controllare metadati, triangolare informazioni, confrontare fonti. Ma si tratta di strumenti che, per funzionare bene, hanno bisogno di cultura, oltre che di tecnica.

È qui che entra in gioco il ruolo dei cittadini e degli operatori pubblici. Distinguere contenuti reali da contenuti falsi non sarà mai più un atto intuitivo: diventerà un’abilità civica e amministrativa, una competenza che richiede consapevolezza dei processi, non solo degli strumenti. La sfida non è tornare al passato, quando la forma era un indice ragionevole di affidabilità, ma imparare a leggere l’informazione con una logica nuova: non guardare ciò che appare, ma il sistema che lo sostiene.

In un mondo in cui ogni contenuto può essere imitato, ciò che non si può falsificare con facilità è la filiera della fiducia. La PA, da sempre custode di questa filiera, oggi ha l’occasione — e la responsabilità — di renderla più comprensibile, accessibile e riconoscibile per tutti. Perché il problema della verità nell’epoca dell’intelligenza artificiale non si risolve con più contenuti, ma con più capacità collettiva di verificarli.

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