PAT, dal rinvio allo”strano caso” del domiciliatario telematico

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Il Decreto prevede che per un anno dall’entrata in vigore del PAT, dal 1° al 31 gennaio 2017, tutti gli adempimenti in materia di deposito e di comunicazioni processuali debbano essere assolti, anziché dal difensore “dominus” della causa, da domiciliatari “anche non iscritti all’Albo degli avvocati”. La norma non contempla gli attori processuali diversi dai difensori (amministrazioni in proprio; ausiliari del Giudice etc.), inoltre appare inconsueta l’istituzione di una “attività vincolata” affidata o soggetti non iscritti ad alcun Albo

12 Settembre 2016

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Cesare C.M. Del Moro, avvocato, Università degli Studi di Milano

Come è noto, con decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni in legge 12 agosto 2016, n. 161, è stato disposto il rinvio al 1° gennaio 2017 dell’entrata in vigore del Processo Amministrativo Telematico (PAT). Un’ampia analisi sul tema è pubblicata qui . Il Governo, con decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, ha approvato alcune disposizioni volte a garantire l’attuazione, a decorrere dal 1° gennaio 2017, del Processo Amministrativo Telematico.

L’obiettivo primario del decreto sembra essere quello di disciplinare con norma primaria la gran parte degli aspetti del processo amministrativo telematico la cui disciplina era sino ad oggi o mancante o rimessa a fonte secondaria.

Tra tutti, si segnalano i seguenti aspetti.

  • La novità costituita dalla disciplina del rapporto tra PAT e tutela della riservatezza (art. 7, comma 1, lett. B): invero, ancora alquanto generica sia sui presupposti applicativi, che peraltro sembrano postulare una maggior sicurezza del deposito cartaceo rispetto a quello telematico, sia nel dettato, laddove prevede il “deposito e la conservazione” dando per scontato che debbano essere fatti in cartaceo. Il tema meriterebbe un approccio strutturato, così sembra richiedere anche il nuovo Regolamento UE Privacy 2016/679 come argomentato nel maggio scorso qui: Privacy, nascono i “garanti giustizia”: cosa dice il nuovo regolamento UE .
  • Il rapporto tra PAT e tutela del segreto di Stato e delle informazioni riservate (con specifica previsione di inapplicabilità alle controversie di cui all’articolo 22 e agli articoli 39 e seguenti del Capo V della l. n. 124/2007).
  • Il principio generale che prevede, salvi i casi in cui è diversamente disposto, che tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati in primo o secondo grado dal 1° gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche.
  • La previsione di un caso peculiare di rimessione del ricorso all’Adunanza Plenaria del CdS, riservato ai tribunali di primo grado e unico nel suo genere, volto ad ottenere “lumi” qualora il Collegio rilevi che il punto di diritto sottoposto al suo esame e vertente sull’interpretazione e l’applicazione delle norme in tema di processo amministrativo telematico ha già dato luogo a significativi contrasti giurisprudenziali rispetto a decisioni di altri tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato, tali da incidere in modo rilevante sul diritto di difesa di una parte. Sul tema non sembra peregrina l’ipotesi, portata avanti da alcuni alla luce dell’esperienza vissuta con il PCT, di far dirimere le questioni di “informatica giuridica” ad un albo di esperti della materia, che abbiano un percorso accademico e professionale specializzato sulle questioni che un giurista puro e semplice, sebbene preparato, non è sempre attrezzato ad affrontare.
  • Il riconoscimento del potere di autenticazione agli avvocati in sede di deposito di copie informatiche.

Non mancano però aspetti di incertezza, specie ove si consideri che il testo del D.L. esprime alcune disposizioni che non soltanto appaiono in contrasto con le soluzioni ratificate dal medesimo Governo solo qualche mese fa, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 2016, n. 40, recante regole tecniche operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, ma soprattutto difficilmente sembrano utili in termini di effettiva operatività del processo telematico, e anzi sembrano proprio contrastarlo.

Mi riferisco, in particolare, alla disciplina transitoria dettata dall’art. 7, comma 2, lett. d), del DECRETO-LEGGE 31 agosto 2016, n. 168, recante modifiche all’art.13 dell’all. 2, norme tecniche di attuazione del codice del processo amministrativo, secondo cui “Sino al 31 dicembre 2017 i depositi dei ricorsi, degli scritti difensivi e della documentazione devono essere effettuati con PEC o, nei casi previsti, mediante upload attraverso il sito istituzionale, dai domiciliatari anche non iscritti all’Albo degli avvocati. Le comunicazioni di segreteria sono fatte alla PEC del domiciliatario”.

In sintesi, tale disposizione, in parallelo con la previsione contenuta nel comma 4 del medesimo art. 7 circa l’obbligo di depositare almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi (copia di cortesia?), con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico (senza che tuttavia venga esplicitato necessario potere del difensore, diversamente da quanto previsto per il deposito delle copie informatiche ai sensi dell’art.7, comma 1, lett. b) del D.L. 168) prevede che per un anno dall’entrata in vigore del PAT, dal 1° al 31 gennaio 2017, tutti gli adempimenti in materia di deposito e di comunicazioni processuali debbano essere assolti, anziché dal difensore “dominus” della causa come sarebbe del tutto logico oltre che pratico, da domiciliatari “anche non iscritti all’Albo degli avvocati”.

Sorge immediata la constatazione che la norma non contempla gli attori processuali diversi dai difensori (amministrazioni in proprio; ausiliari del Giudice etc.), delle cui modalità di deposito, durante il regime transitorio, nulla è dato sapere, a meno che non si voglia ritenere che anche tali soggetti debbano nominare un domiciliatario per poter depositare i propri atti o ricevere una comunicazione processuale.

Inoltre appare inconsueta l’istituzione di una “attività vincolata” (deposito atti telematici e ricezione comunicazioni telematiche) affidata o soggetti non iscritti ad alcun Albo, con esclusione di quelli che proprio ad un Albo, quello degli Avvocati, sono iscritti.

Ma, anche a volersi limitare ai difensori, apparentemente tale disposizione, oltre a comportare inevitabilmente un vulnus economico ai difensori (e potenzialmente ai loro clienti) – che si vedranno costretti, nel regime transitorio, a nominare un domiciliatario anche per l’espletamento di adempimenti che potrebbero ( rectius: dovrebbero) effettuare agevolmente in proprio – finirà per tradursi in un boomerang ai fini dell’operatività del PAT, in quanto di fatto per tutto il periodo transitorio i difensori non potranno cimentarsi con gli adempimenti telematici, delegati ex lege a domiciliatari anche non iscritti all’albo e, quindi, in tal caso addirittura privi di potere di certificare la conformità del deposito, e si vedranno, quindi, totalmente impreparati con l’entrata in vigore a regime degli adempimenti descritti dal D.P.C.M. n.40/2016 (che, al contrario, come avviene per il PCT, prevede, rectius prevedeva alla luce della norma di rango superiore in parola, che sia il dominus della causa titolare esclusivo degli adempimenti in materia di deposito telematico, mentre in materia di comunicazioni rimette la scelta di nominare un eventuale domiciliatario allo stesso difensore).

Non si comprende, quindi, il motivo di tale disposizione, a meno di non volerla ritenere frutto di un refuso: più corretto sarebbe, infatti, prevedere che nel periodo transitorio il deposito – e le comunicazioni processuali – “possano” essere effettuati anche da un domiciliatario purché iscritto all’albo (e ciò sia perché in tal caso il difensore sarebbe fornito di potere di certificazione che di indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi, tale da rendere ex lege possibili tanto le comunicazioni telematiche, quanto lo stesso deposito, che secondo lo stesso art. 7 comma 6 del D.L. 168 a decorrere dal 1° gennaio 2017, dovrebbe avvenire mediante l’utilizzo esclusivo di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi gestiti dal Ministero della Giustizia).

Va infatti ricordato come l’istituto della “domiciliazione” nasce, tradizionalmente, con l’art. 82 r.d. n. 37 del 1934 – che prevede che gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, debbano, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, e che in mancanza della elezione di domicilio, questo si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria – con riferimento ad adempimenti tipici ed esclusivi del tradizionale processo “cartaceo” – quali le comunicazioni e le notificazioni nonché il deposito fisico in segreteria di atti analogici.

Sull’istituto le stesse Sezioni Unite della Cassazione si sono espresse nel ritenerlo un vero e proprio “relitto giuridico”, con riferimento al processo civile telematico, dopo l’istituzione del “domicilio telematico”, ovvero della PEC (cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 10143 del 20 giugno 2012).

In particolare proprio sotto il profilo delle comunicazioni telematiche il D.L. n. 168/2016 sembra tornare indietro almeno di un quinquennio anche rispetto alle previsioni fino ad oggi contenute nel Codice del processo amministrativo (il cui art. 136 prevedeva esclusivamente l’onere del difensore di indicare un unico indirizzo PEC al quale ricevere le comunicazioni, senza imporre che tale indirizzo dovesse essere quello della PEC del domiciliatario “fisico”).

Si impone che durante il periodo transitorio del PAT le comunicazioni “debbano” necessariamente essere indirizzate al domiciliatario (laddove il D.P.C.M. n. 40/2016, come già evidenziato, rimette tale scelta al dominus della causa, pur evidenziando una netta preferenza alle comunicazioni a mezzo PEC al dominus, secondo l’indirizzo espresso dalla Cassazione), senza peraltro evidenziare in quale atto processuale dovrebbe essere indicato tale indirizzo (fisico o PEC?).

Anche questo sembra essere un passo indietro, considerato che già il D.L. 90/2014 aveva modificato l’art. 136 del Codice del processo amministrativo, eliminando l’obbligo dell’avvocato di indicare l’indirizzo PEC ai fini delle comunicazioni nel ricorso o nel primo atto difensivo (sul presupposto della coincidenza di tale indirizzo con quello del dominus, risultante dai pubblici elenchi).

Del resto, proprio in tale ottica lo stesso D.L. n. 168/2016, come conseguenza dell’applicazione dell’art. 16 sexies del D.L. n.179/2012, sancisce che a decorrere dal 1° gennaio 2018, per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati, non opererà più la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria ex art. 25 C.P.A..

Ne consegue che i difensori saranno anche in tal caso costretti ad eleggere un domicilio fisico quantomeno ai fini delle notificazioni processuali in luogo diverso dalla Segreteria, atteso che anche dopo l’entrata in vigore del PAT le notificazioni a mezzo PEC non sono comunque obbligatorie, oltre che ai fini di eventuali comunicazioni impossibili a mezzo PEC. Sicché, in parte qua, in caso di conversione del D.L. dovranno ritenersi inapplicabili le previsioni dell’art. 13 del D.P.C.M. in materia di comunicazioni in Segreteria.

Né sembra lecito ipotizzare che si sia voluta valorizzare la figura del domiciliatario, in prospettiva futura sovrapponibile ad un nuncius quando non figura destinata a scomparire, conferendogli la responsabilità di ricevere le comunicazioni di cancelleria e (tacitamente!) il potere di attestazione di conformità dell’atto cartaceo all’originale dell’atto depositato telematicamente.

Merita attenzione la già menzionata previsione del comma 6 dell’ art. 7 del D.L.178/2016, il quale sancisce che “Al fine di garantire la sicurezza del sistema informativo della giustizia amministrativa (SIGA) a decorrere dal 1° gennaio 2017 i depositi telematici degli atti processuali e dei documenti sono effettuati dai difensori e dalle Pubbliche amministrazioni mediante l’utilizzo esclusivo di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi , gestiti dal Ministero della giustizia”.

Va evidenziato come la norma risulti applicabile esclusivamente ai depositi effettuati da difensori costituiti in giudizio (ivi comprese le amministrazioni pubbliche rappresentate ex lege dall’Avvocatura dello Stato, i cui indirizzi PEC confluiscono nel Reginde) ma non anche agli ulteriori attori processuali che stanno in giudizio personalmente (come è noto, infatti, non risulta ancora operativa l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, alla quale in futuro potrà essere attribuite la medesima efficacia giuridica degli altri pubblici elenchi).

Per quanto attiene alle amministrazioni pubbliche, il D.L. 168/2016 fa riferimento al pubblico elenco gestito dal Ministero della Giustizia, non quindi all’IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), http://www.indicepa.gov.it., che non è tra i “pubblici elenchi” individuati per le comunicazioni e notificazioni, anche in materia amministrativa, bensì al Registro PP.AA., registro contenente gli indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Pubbliche Amministrazioni ai sensi del DL 179/2012 art. 16, comma 12, consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.

Gli indirizzi PEC presenti nei due “elenchi”, possono ben essere diversi tra loro.

Forse, ma siamo nel campo delle ipotesi, il Legislatore ha voluto creare un meccanismo che incentivi, per non dire imponga, l’uso della PEC, inducendo le Pubbliche Amministrazioni ad ottemperare all’obbligo, ampiamente disatteso, previsto dall’Art. 16, comma 12 D.L. 179/2012: “12. Al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.” .

Del meccanismo di “incentivo all’uso della PEC” avevamo già riflettuto qui Il Giudice del registro dice basta alle pec inattive, partono le sanzioni in relazione all’atteggiamento, a volte ostico, dei soggetti iscritti alle Camere di Commercio.

E’ probabile che la norma porti con sé alcuni problemi di carattere organizzativo per tutte quelle amministrazioni che si troveranno a dover istituire e gestire un indirizzo di PEC non avendo implementato le necessarie procedure interne.

Viste sopra nel dettaglio le incertezze create dalle norme in parola è appena il caso di prendere atto che, ancora una volta, l’esperienza maturata negli ormai 10 anni di applicazione a valore legale del PCT non è stata trasfusa, se non in parte, nel percorso in atto per il PAT.

Sicché restano ancora alcune norme del PCT, come sopra accennato, la cui adozione sarebbe opportuna anche per il PAT.

Ma, soprattutto, non si rinviene, nelle norme e nella politica di attuazione del PAT, una vera consapevolezza che il cambiamento auspicato passa necessariamente da un cambiamento culturale che dovrebbe essere condotto, evitandone incertezze e maldestri tentativi di risparmi di risorse e di spesa, accedendo, come già auspicato nel luglio scorso, alle conoscenze e alle esperienze maturate nel PCT.

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