EDITORIALE

Care Ministre vi scrivo. Cosa ci aspettiamo dal Conte-bis su innovazione e PA

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Dopo quasi trent’anni anni è la prima volta che la mia consueta lettera di auguri al nuovo Ministro della Pubblica Amministrazione è indirizzata al femminile e al plurale. Non è una novità da poco. Ecco quindi cosa vorrei dire a Paola Pisano e Fabiana Dadone

5 Settembre 2019

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

Photo by Trent Erwin on Unsplash - https://unsplash.com/photos/UgA3Xvi3SkA

Care Ministre,

dopo quasi trent’anni anni è la prima volta che la mia consueta lettera di auguri al nuovo Ministro della Pubblica Amministrazione è indirizzata al femminile e al plurale. Non è una novità da poco. Conosco da qualche anno Paola Pisano, appena nominata Ministro dell’Innovazione Tecnologica e Digitalizzazione, e ho avuto modo di stimare sul campo la sua competenza e la sua tenacia, non conosco ancora Fabiana Dadone, Ministro per la Pubblica Amministrazione, ma mi rivolgo anche a lei per lunga consuetudine con tanti (se non sbaglio 17) Ministri che l’hanno preceduta nel corso della mia carriera nel FORUM PA (in questi casi mi ricordo che ormai sono “anziano”).

Comincio dalla Ministra Pisano e mi permetto di usare il “tu” dato che, come dicevo, ci conosciamo già da tempo. Cara Ministra, non mi permetto di darti consigli, ti esprimo solo le ragioni della nostra speranza. Sono tredici anni, dalla fine del Governo Berlusconi3 nel 2006, che non avevamo un ministro dedicato all’Innovazione (l’ultimo fu Lucio Stanca) e da allora ad ogni cambio di Governo lo abbiamo chiesto per mettere a posto una governance del digitale che è stata sino ad ora a dir poco confusa. Ora le cose possono prendere una forma istituzionalmente corretta e funzionale dal punto di vista organizzativo.

Facciamo il punto:

  • c’è finalmente, con la tua nomina, una guida politica che ha la responsabilità della visione, dell’individuazione degli obiettivi, della coerenza di questi con la visione di Paese, che è indicata dal programma di Governo;
  • c’è un Dipartimento che a questa guida politica risponde e che deve avere la responsabilità di disegnare la strategia che permetta il raggiungimento degli obiettivi, di coordinare, sotto la supervisione politica, tutti gli enti ( e sono tanti a cominciare dalle “in house” sia statali come la Sogei e la Consip, sia regionali) che in qualche modo hanno competenza sulla trasformazione digitale del Paese, di curare i nostri interessi in campo internazionale con un giusto equilibrio tra collaborazione e competizione. Infine, cosa non da poco, di determinare le risorse sia finanziarie, sia di personale sia infine strumentali che servono per non prenderci in giro. È la logica continuità del team digitale, nato come straordinario, ma che deve rientrare in un quadro più stabile. Team per altro diretto egregiamente in questo ultimo anno da Luca Attias di cui spero continuerai a giovarti;
  • c’è infine un’Agenzia, l’Agid, che deve rispondere al Dipartimento (non al Ministro se non in forma indiretta) attraverso un contratto di servizio che ne evidenzi il compito di attuazione della strategia e che ne individui per ciò tempi e risorse certe, su cui veramente possa contare, tenendosi fuori da ogni contingenza politica. Teresa Alvaro, che ora dirige l’Agid, è persona competente e fattiva, senz’altro in grado, a mio modesto parere, di portare avanti con efficacia i compiti che la legge assegna all’Agid.

Cara Ministra Pisano, hai quindi quel che ti serve in termini di struttura e hai tutto sommato anche le risorse, perché gran parte dei fondi della programmazione 2014-20 per l’innovazione sono ancora da spendere e molti possono ancora essere riorientati.

Ti faccio quindi i migliori auguri di buon lavoro con un solo consiglio, ma grande grande: proprio tu, che sei stata alla guida dell’Innovazione in una città metropolitana, non cadere nella tentazione di pensare che siamo ancora a zero. Molto si è fatto, molto certo resta da fare e forse non abbiamo conseguito tutti i risultati che speravamo, ma non possiamo permetterci di non sfruttare al meglio le esperienze fatte, gli errori commessi, le lezioni apprese. Sarebbe umiliante per i tanti che in questi anni, come ben sai, ci hanno messo il cuore, ma sarebbe anche una perdita di tempo che non possiamo assolutamente consentirci.

Per la Ministra Dadone: in attesa di conoscerla e invitandola già da ora alle nostre occasioni di confronto, a cominciare dal prossimo FORUM PA 2020 di maggio, offro, con semplicità, la nostra esperienza (mia e di tutti noi che lavoriamo in FPA) di questi trent’anni per raccontarle cosa, a mio parere, un dipendente pubblico onesto e potenzialmente innovativo (e si accorgerà cara Ministra che sono la maggior parte) potrebbe voler vedere o non vedere nell’azione di un nuovo Ministro della PA.

Cominciamo da quello che il nostro amico Giovanni Bianchi (Mario Rossi è già abusato), funzionario pubblico, non vorrebbe più vedere o sentire:

  • Giovanni non vorrebbe più sentire un Ministro parlare di grandi riforme, di rivoluzione nella PA, di nuove leggi epocali che cambiano tutto. Ne ha già viste tante nascere e morire prima che qualcuno ne avesse potuto valutare l’impatto. Ha già visto troppi Ministri soddisfatti della legge come se quella fosse il cambiamento e non ne fosse solo un iniziale abilitatore; ha già sentito evocare migliaia di volte le parole “maggiore produttività”, “migliore efficienza”, “migliore qualità dei servizi”, “burocrazia zero” e altre simili per scoprire poi che alla fine erano tutte metafore per celare un obiettivo di risparmio. “le leggi ci sono” dice spesso “l’importante è applicarle e giudicarle dai risultati”;
  • Giovanni poi non vorrebbe più sentire un Ministro parlare delle importanti patologie del pubblico impiego come se ne fossero la fisiologica normalità. Non vorrebbe più sentir neanche nominare i “furbetti del cartellino”: in primis perché non sono furbetti a cui dare un buffetto, ma truffatori da punire, poi perché sono meno di un dipendente ogni 10.000 e Giovanni vorrebbe che si parlasse di più di come far lavorare meglio gli altri 9.999 che in ufficio ci vanno eccome, ma che spesso non sanno bene quali sono i loro obiettivi né per che squadra giocano;
  • Giovanni non vorrebbe poi dover riempire centinaia di pagine di piani, resoconti e analisi per combattere una corruzione che è l’unica che da questo mare di carta ci guadagna davvero, perché è l’unica che sa nuotare. Vorrebbe poi che le impronte digitali rimanessero nelle fiction, non perché ne ha paura (lui in ufficio ci è sempre andato), ma perché, chissà come mai, gli evocano uno modo di lavorare che non è né smart, né moderno, né adatto ad una knowledge farm come è la PA;
  • Giovanni non vorrebbe andare in pensione (lavora già nella PA da un paio di decenni) senza avere avuto la possibilità di crescere nella carriera e di continuare ad imparare; non vorrebbe uscire dal suo ufficio alla fine della sua vita professionale, senza aver avuto continui scambi con colleghi sia italiani sia europei; non vorrebbe aver visto una sola scrivania e mai un collega giovane a cui insegnare;
  • Giovanni infine non vorrebbe sentire più discorsi che contrappongano Stato, cittadini e mercato e che facciano pensare a ruoli rigidi e contrapposti. Giovanni sa infatti che ormai solo una governance distribuita, condivisa e collaborativa, secondo i principi guida della trasparenza, della partecipazione e della collaborazione, può avere qualche speranza di successo in una società che si deve necessariamente “governare con la rete”.

Ma Giovanni ha anche delle speranze, non tante a dire il vero, ma qualcuna gliene è rimasta:

  • vorrebbe che tutti, a cominciare dal Ministro, considerassero la Pubblica Amministrazione e chi ci lavora con onestà e dedizione come un “bene pubblico”. Un bene pubblico da curare: non un peso o un costo quindi, ma uno strumento democratico di garanzia dei diritti di tutti, ma soprattutto dei più deboli a cui offrire capabilities. Per questo vorrebbe che i contratti non fossero una variabile impazzita come una roulette, oggi rosso e domani nero, ma un diritto che i lavoratori hanno con dolore e fatica conquistato e che deve essere adeguato ad un tenore di vita dignitoso e di cui non vergognarsi;
  • vorrebbe poi poter un giorno aver la possibilità di diventare dirigente sapendo che per questo varrà solo il merito… e vinca il migliore!
  • Giovanni vorrebbe imparare, essere formato ai nuovi compiti che una società complessa e variegata mette davanti alla PA. Non sta parlando dei corsi per gli adempimenti di legge, quelli non cambiano nulla, ma di una formazione sfidante, magari a distanza, da cui uscire arricchiti e certi che quello che si è appreso sarà utile per l’organizzazione in cui si lavora. Allo stesso tempo vorrebbe che qualcuno si accorgesse di quello che sa e che sa fare, ma che nessuno lì dove sta gli chiede;
  • vorrebbe avere a fianco qualcuno che l’aiuti nell’innovazione quotidiana e necessaria e che, per favore, non sia un giurista che gli illustri una legge, ma un collega esperto, uno che le cose nuove le ha già sperimentate, che gli mostri un comportamento, un know how, perché, dice Giovanni, “non è più tempo di norme, ma di manuali”;
  • Giovanni vorrebbe avere la possibilità di sperimentare cose nuove senza paura di sbagliare, perché sa che l’errore è il concime dell’innovazione e che evitarlo per principio vuol dire solo percorrere sempre le stesse strade (e gli stessi noiosi e illogici procedimenti);
  • vorrebbe che la trasformazione digitale non fosse sostituire la carta con un pdf o rendere possibile online un servizio o una certificazione che non serve più. Vorrebbe che la trasformazione trasformasse davvero e che il digitale fosse la piattaforma per una PA del tutto nuova;
  • vorrebbe anche, alla sua età non più giovane, non essere sempre il più giovane del suo ufficio perché altri non se ne è assunti. Vorrebbe poi che il Ministro della PA si occupasse anche della qualità del suo posto di lavoro. Si è stufato di vivere metà della sua vita in un posto non curato, brutto, a volte fatiscente. Pensa che sia suo diritto lavorare in un ufficio sicuro, piacevole, ben messo, che abbia spazi per gli incontri e orari che possano conciliarsi con la sua vita fuori ufficio;
  • Giovanni vorrebbe infine che il “suo” ministro passasse qualche ora nel suo ufficio, sì anche se è in provincia, perché ha il sospetto che da Palazzo Vidoni o da Palazzo Chigi le cose non si vedano poi così bene e che tutti i gatti sembrino neri, mentre lui sa bene che ogni amministrazione è diversa e una norma centralistica è sempre un’approssimazione al ribasso dettata dall’illusione del controllo.

Care Ministre, noi in questi trent’anni abbiamo fatto di tutto per stare vicini a Giovanni e per aiutarlo a non perdere la speranza, anche se certe volte sia lui sia noi abbiamo perso la pazienza. Anche ora noi ci siamo, ci crediamo, ci impegniamo a mettercela tutta per aiutare l’Innovazione della PA.

Su questa strada, ne sono certo, ci incontreremo e speriamo di percorrerla insieme dandoci una mano l’un l’altro, ciascuno per i propri ruoli, ma con identica volontà e immutato entusiasmo.


NdR: segnaliamo in chiusura di questo editoriale due interviste che abbiamo realizzato nei mesi scorsi con la Ministra Paola Pisano, in qualità di Assessore all’Innovazione del Comune di Torino. “Innovare nella PA significa fare cose nuove in modo nuovo.  Significa immaginarsi il futuro e cercare di programmare oggi i servizi digitali di domani, ma significa anche non lasciare indietro chi ha difficoltà a usare il digitale”, ci aveva detto in questa intervista raccontando il percorso che ha portato a gennaio scorso alla nascita di TorinoFacile, il nuovo portale dei servizi comunali. Tra i temi centrali, emersi anche dal secondo intervento di Paola Pisano che qui vi segnaliamo (nel contesto degli Studios TV a FORUM PA 2019), anche le “tecnologie di frontiera”, come il 5G, abilitanti per lo sviluppo di aziende innovative che possono portare importanti servizi per le città e i territori.

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